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Origini del sistema elettrico a Milano

di Gian Luca Lapini

Il servizio di orologi elettrici iniziato nel 1875 dai fratelli Gerosa

 

“L’elettricità è come l’aria, ti accorgi che c’è solo quando ti manca”.

In questa saggia massima di un tecnico dell’ENEL, ascoltata dopo il recente black-out elettrico della fine di settembre 2003, è implicita una domanda: “ma come facevano i nostri bisnonni a vivere senza elettricità?” od in termini equivalenti, “quando si è cominciato a vivere facendo conto sull’elettricità?”. A questa domanda cercheremo di dare qualche risposta per il “caso Milano”, che rappresenta ad ogni buon conto un ottimo punto di vista per come i fatti si svolsero in Italia e nel mondo.

I primi contatti che i milanesi ebbero con i fenomeni elettrici furono probabilmente riservati ai pochi privilegiati che nei salotti buoni della Milano del ‘700 furono partecipi di una delle mode di quel tempo, quella di impressionare dame e cicisbei con qualcuno di quegli strani effetti dell’elettricità statica (scosse, scintille, capelli drizzati, ecc.), che scienziati professionisti o dilettanti andavano indagando, e un po’ alla volta comprendendo. Verso la fine del ‘700 ci fu poi modo di appassionarsi ai dibattiti fra Galvani e Volta sulla natura dei fenomeni elettrici, e qualcuno avrà assistito di persona alle dimostrazioni della pila di Volta, un’invenzione fondamentale per innescare, nella prima metà dell’800, gli utilizzi pratici delle correnti elettriche "deboli" nel campo della telegrafia e di altre applicazioni[1], che cominciarono sicuramente a coinvolgere un maggior numero di cittadini.

Nella prima metà dell’800 si andarono consolidando le conoscenze scientifiche che permisero di comprendere a fondo l’elettricità, e tecnici ed ingegneri se ne andarono un po’ alla volta appropriando, creando congegni e macchine per il loro utilizzo.

Per assistere ad un primo significativo esempio di utilizzo a Milano di correnti elettriche “di potenza”, bisogna arrivare al 1877, quando, la sera del 18 marzo, fu fatta la prima dimostrazione di illuminazione pubblica elettrica con una potente lampada ad arco posta in cima ad una torre appositamente eretta in piazza del Duomo. Questo episodio non ebbe seguito fino al giugno del 1881, quando in occasione della grande Esposizione Nazionale allestita nell’area dei Giardini Pubblici, la Galleria Vittorio Emanuele venne illuminata con 25 lampade ad arco della Siemens, per una potenza complessiva di 20.000 candele. A quanto sembra la dimostrazione non fu però pienamente convincente perché il flusso luminoso non era costante ed ogni otto ore bisognava sostituire i carboncini delle lampade ad arco.

Prima dimostrazione di illuminazione elettrica con lampada ad arco (1877)

Un utilizzo dell'elettricità per l'illuminazione pubblica sembrava ancora lontano, ma gli eventi stavano maturando rapidamente. In Occidente si era negli anni di quella che gli storici hanno definito la "seconda rivoluzione industriale", e l'Italia del nord si apprestava ad entrare nella sua prima, consistente fase di industrializzazione. Le informazioni circolavano veloci a livello mondiale, e grazie all'opera di figure lungimiranti quali l'ingegner Giuseppe Colombo del Politecnico, Milano sarebbe presto diventata una della prime città europee dotata di illuminazione pubblica elettrica.

La prima dinamo Edison usata per dimostrazioni di illuminazione elettrica  a Milano(1882)L'ing. Colombo aveva avuto modo di conoscere alla Mostra Internazionale dell'Elettricità di Parigi nella primavera del 1881, il sistema elettrico Edison, e di apprezzarne la validità tecnica; con la competenza ed anche il buon fiuto imprenditoriale che lo caratterizzavano, egli aveva subito iniziato dei contatti commerciali con la Compagnie Continental Edison di Parigi, che curava gli interessi di Edison in Europa, giungendo ad un accordo per acquistare a buon prezzo i macchinari che la Edison aveva portato a Parigi per l’Esposizione.

Ritratto di Thomas Alva EdisonNell'autunno del 1881, proprio ad opera di Colombo, si costituì a Milano, con l'appoggio di grossi istituti di credito, il “Comitato promotore per le applicazioni dell'energia elettrica in Italia”. Il Comitato, con l’aiuto di A.G. Acheson, uno dei collaboratori di Edison distaccato in Francia, promosse nel 1882 alcune iniziative dimostrative usando le macchine acquistate a Parigi (la dinamo usata in quell’occasione è ancora conservata nell’atrio del palazzo della Edison Spa, in Foro Bonaparte).
Per il Carnevale del 1882 fu illuminato il ridotto della Scala e, nel novembre dello stesso anno, i portici e i negozi del palazzo settentrionale di piazza del Duomo in occasione della loro inaugurazione. Fu un grande successo, ed in quei giorni il "Corriere della Sera" scrisse: "Dell'illuminazione non esageriamo punto dicendo che ha veramente meravigliato. Coloro che si propongono di applicare l'illuminazione elettrica su grande scala nella nostra città hanno vinto iersera una grande battaglia."

Così fu rapidamente decisa la costruzione di una centrale elettrica, utilizzando il sistema Edison. Il progetto della Centrale fu approvato da Edison stesso in occasione del viaggio che Colombo fece a New York per studiare da vicino l'organizzazione della costruzione ed il progetto della Centrale Elettrica di Pearl Street (fu la prima al mondo), che Edison stava là realizzando. Ritornando dall'America egli portò con sé un altro dei migliori assistenti di Edison, J.W. Lieb, che fu il direttore responsabile dei lavori di costruzione della centrale milanese di Santa Radegonda che concettualmente era assai simile a quella di New York.

Superata rapidamente la fase del "Comitato", nella gestione della centrale subentrò la “Società Generale di Elettricità sistema Edison”, costituita nel gennaio 1884 con apporti di capitale dai più bei nomi della Milano industriale e finanziaria, società con la quale sarebbero stati da allora fortemente intrecciati i destini dell'elettricità a Milano e in Italia.

Peraltro, i risultati dei primi esercizi della "Edison" furono tutt'altro che brillanti e solo dopo il 1885, quando il Comune affidò alla Società, in via sperimentale, l'illuminazione pubblica della piazza del Duomo, dei portici settentrionali, della Galleria e di piazza della Scala, gli affari cominciarono a migliorare.
Questi primi esperimenti di illuminazione stradale vennero effettuati con lampade ad arco Siemens; altre lampade ad arco del tipo Thomson-Houston furono installate nel 1886 per illuminare corso Vittorio Emanuele, via Manzoni ed altre vie centrali.

P.za Duomo verso 1885, ancora illuminata da numerosi  lampioni a gas (si intravede la ciminiera della C.le di Santa Radegonda, non ancora usata per l’illuminazione pubblica)

Intanto la Union des Gaz aveva intrapreso un'aspra azione giudiziaria nei confronti del Comune, nel tentativo di salvaguardare la sua posizione di monopolio nel campo dell'illuminazione pubblica. Questa vertenza si risolse nel 1887, e nell'agosto di quell'anno poté così essere stipulata una prima convenzione quinquennale fra il Comune e la Edison per l'illuminazione elettrica della città (che sarebbe poi stata rinnovata per altri dieci anni).
In vista dell'incremento del servizio di illuminazione stradale la Edison intraprese la costruzione di un nuovo impianto termoelettrico, in via G.B.Vico, vicino al Carcere di S.Vittore: l'ubicazione decentrata di questa centrale, che sarebbe entrata in servizio nel giugno 1889 con una potenza di 240 kW, era resa possibile dall'adozione del sistema Thomson-Houston che usava sempre corrente continua, ma che consentiva un raggio utile di distribuzione della corrente superiore a quello del sistema Edison.

Dinamo Thomson-Houston dalla Centrale di via G.B. Vico (conservata al Politecnico di Milano)Motrice  a vapore e dinamo Thomson-Houston nella Officina Elettrica di via G.B. Vico, della Edison (1889)

 

 

 

 

 

 

 

Dinamo Thomson-Houston dalla Centrale di via G.B. Vico (particolare)Verso la fine degli anni ‘80 la rapida evoluzione dell'elettrotecnica (che in quegli anni svolse il ruolo di avanguardia della tecnologia, un po’ come oggi accade per i computer o per la tecnologia aerospaziale) cominciava a far intravedere la possibilità del trasporto a grande distanza dell'energia elettrica ; inoltre l'esperienza di gestione delle prime centrali termoelettriche mostrava la forte incidenza del costo del carbone sui costi di esercizio e spingeva, soprattutto in un paese povero di combustibili come l'Italia, a considerare l'utilizzo di risorse idriche per la produzione di energia elettrica[2]. Per questi motivi, prendendo spunto da un forte aumento del prezzo del carbone verificatosi nel 1889, la Edison aveva presentato una domanda di concessione di una derivazione d'acqua sull'Adda, alle rapide di Paderno (che fu concessa nel 1890), ed aveva iniziato il progetto di una centrale idroelettrica, che non fu però realizzata fino al 1896 a causa della crisi che coinvolse la società nella generale recessione della economia italiana.

Esterno della centrale idroelettrica della Edison di Paderno d’Adda, ora intitolata all’ing. Bertini (1898)

Passato il periodo di crisi, risanata la Edison anche grazie ad iniziative molto indovinate e redditizie, come l'accordo con il Comune del 1893 per l'elettrificazione delle linee tranviarie, e grazie anche al nuovo corso manageriale espresso dall'entrata nel consiglio di amministrazione dell'ing. Carlo Esterle, la Centrale di Paderno fu realizzata, ed entrò in servizio nel 1898[3]; essa era a quel tempo la più grande d'Europa e metteva a disposizione della città di Milano la potenza di 9.500 kW, non solo per illuminare, ma anche per far marciare tram ed industrie.

Interno della centrale idroelettrica della Edison di Paderno d’Adda, ora intitolata all’ing. Bertini (1898)

Il vecchio edificio della centrale di Porta Volta, in via Bramante, in una foto anticaLa convenzione tranviaria prevedeva che qualora la Edison avesse provveduto all'esercizio con un impianto posto fuori dal territorio comunale avrebbe dovuto realizzare un altro impianto di riserva, capace di fornire tutta l'energia necessaria alla continuità del servizio.
Macchine a vapore e alternatori della centrale termoelettrica della Edison di Milano Porta Volta (1897)Nel 1896 iniziarono così i lavori per la costruzione di una grande centrale termoelettrica situata a Porta Volta, su un'area che era appartenuta alla SAO (Società Anonima degli Omnibus); l'impianto, dotato ancora di macchine a vapore alternative, entrò in servizio nell'aprile 1897 con una potenza iniziale di 2.500 kW. A differenza di quello di santa Radegonda, l’edificio di questa Centrale esiste ancora (purtroppo molto deturpato dai graffiti) ed è visibile in fondo alla via Bramante in un’area di proprietà dell’ ENEL, tuttora occupata da impianti di distribuzione dell’elettricità.

Il vecchio edificio della centrale di Porta Volta, in via Bramante, in una foto recenteIl vecchio edificio della centrale di Porta Volta, in via Bramante, in una foto recente

 

 

 

 

 

 

 

Con l'entrata in servizio dell'impianto di Paderno (che è tuttora in funzione con il nome di Centrale Bertini) l'elettricità cessava di essere un bene scarso e prezioso, destinato quasi esclusivamente ad impieghi molto pregiati come l'illuminazione, per trovare il suo principale campo di applicazione nella forza motrice[4]. L'Edison dovette preoccuparsi di collocare sul mercato una ingente quantità di energia elettrica, circa otto volte quella in precedenza disponibile; a questo scopo iniziò la costruzione di una nuova rete di distribuzione trifase, estesa a tutta la città, la cui lunghezza raggiunse nel 1900 i 180 km, dei quali 80 ad alta tensione. D'altra parte la superiorità dell'energia elettrica portava un po' alla volta ad una espansione "naturale" della domanda, sia per la progressiva elettrificazione delle attività produttive, sia per l'espansione delle stesse; la domanda era cioè pronta ad assorbire quanto l'offerta metteva a disposizione.

Cavi elettrici prodotti a Milano dalla Pirelli, inizi ‘900Isolatore della linea Paderno-Milano: fabbricati dalla Richard-Ginori su progetto dell’ing. Semenza (1898)

La Edison dovette perciò presto iniziare anche a valutare la convenienza di sfruttare altre risorse idriche, in proprio od in collaborazione con altri; nacque così la collaborazione con la “Società Conti e C.”, fondata nel novembre 1901, che doveva costruire un impianto sul fiume Brembo, e con la società “Trezzo d'Adda”, di cui era azionista l'industriale tessile Benigno Crespi, che avrebbe costruito un altro storico impianto sull'Adda, a Trezzo appunto (Centrale Taccani, tuttora funzionante).

Nonostante quanto si è appena detto, comunque, la politica tariffaria della Edison, che anche dopo la costruzione della centrale idroelettrica di Paderno aveva mantenuto le tariffe precedenti (1 lira al kWh, quando nella maggior parte delle altre città italiane era attorno a 0,6 lire al kWh), contribuiva a frenare un più vasto impiego dell'energia elettrica.

Cominciò perciò a maturare negli ambienti politici democratico-socialisti ed in quelli liberali più legati ai gruppi tessili, grandi consumatori di energia, l'idea di una alternativa alla Edison. Grazie anche al movimento di opinione che aveva portato alla legge del 1903 sulla municipalizzazione dei servizi pubblici (similmente a quanto successo in Inghilterra e in Germania), proprio alla fine di quell'anno venne deliberato di non rinnovare il contratto di fornitura di energia per la illuminazione pubblica alla Edison e di costruire una centrale termoelettrica comunale per la produzione dell'energia necessaria non solo ai servizi pubblici (illuminazione stradale, sollevamento acqua potabile, illuminazione edifici comunali), ma anche per la distribuzione di elettricità ai privati. La decisione fu assai travagliata: comportò gravi spaccature all'interno della maggioranza del Consiglio Comunale ed una crisi amministrativa, ma sicuramente provocò gli effetti sperati. Infatti ancor prima che l'impianto fosse completato l'Edison decise di abbassare le tariffe per fronteggiarne la concorrenza; nell'arco di due anni, dal 1904 al 1906, il prezzo dell'energia elettrica venduta dalla Edison scese fino a 0,65 lire al kWh, allineandosi ai valori medi italiani.

La centrale elettrica comunale di p.za Trento (1905)

La centrale di p.za Trento nel quadro 'Officine a Porta Romana' di Boccioni (1909)

La Centrale Comunale di piazza Trento, costruita alla periferia sud della città, entrò in servizio nel giugno del 1905 con la potenza di 2.400 kW (gradualmente portati fino a 12.500 kW nel 1909); era dotata non più di motori alternativi, ma delle moderne turbine a vapore[5] realizzate dalla Franco Tosi di Legnano e di alternatori Oerlikon, e le sue caldaie erano alimentate dal carbone che arrivava nel vicino scalo ferroviario di Porta Romana.

Giuseppe Ponzio, docente al Politecnico e assessore ai lavori pubblici (1906)Le potenze di cui aveva ormai bisogno Milano (che era in periodo di forte espansione) non si potevano però più generare in città, ed il Comune riuscì a fare concorrenza alla Edison solo quando trovò il modo di sfruttare, come l'Edison stessa aveva fatto, l'energia idraulica. Fu merito di Giuseppe Ponzio, docente del Politecnico e nuovo assessore ai lavori pubblici nell’amministrazione retta da Ettore Ponti, l'acquisizione nel 1906 delle concessioni per un cospicuo complesso di forze idrauliche localizzate in Valtellina che avrebbero consentito di trasmettere a Milano una potenza stimata di quasi 30.000 kW[6].

Il primo impianto idroelettrico comunale, quello di Grosotto, fu costruito speditamente fra il 1907 e il 1910, su progetto dell'ing. Giacinto Motta del Politecnico. L'impianto raccoglieva le acque dell'alto corso dell'Adda con un canale derivatore di 12 km ed inviava a Milano l'energia prodotta, con un elettrodotto trifase a 65.000 Volt, lungo ben 150 km[7].

Giacinto Motta (al centro coi baffi) in visita a Grosotto; nella foto anche Maria Artini, prima donna laureata in elettrotecnica al Politecnico

Grazie all'azione calmieratrice prodotta da questo impianto, il costo dell'energia elettrica a Milano scese ancora, raggiungendo le 0,4 lire/kWh nel 1910[8]. Intanto un referendum popolare, tenutosi nel dicembre 1910, sanciva la costituzione della “Azienda Elettrica Municipale”, alla quale furono conferiti tutti gli impianti elettrici comunali e fu affidato il servizio di illuminazione pubblica.

La domanda di energia elettrica andò crescendo a Milano, nel secondo decennio del '900, a ritmi sostenuti. La centrale AEM del Roasco, a Grosio; edificio progettato da Piero Portaluppi (1922)Questa crescita non si arrestò neanche con la Grande Guerra perché al calo del consumo di energia per l'illuminazione (dovuto all'oscuramento notturno) fece da contrappeso l'aumento dei consumi industriali per le produzioni belliche. Inoltre il passaggio alla gestione municipale delle tranvie avvenne proprio nel periodo della guerra ed in base agli accordi l'AEM dovette farsi carico della fornitura della necessaria energia elettrica: a questo scopo fu rapidamente costruito fra il 1916 ed il 1917 (nonostante si trovasse in zona di guerra) l'impianto della Boscaccia Nuova, della potenza di 2.000 kW. A questo fece seguito l'impianto del Roasco[9], che sfruttava le acque raccolta dalla diga del Fusino, in val Grosina. L'immissione in rete nel 1922 dei quasi 15.000 kW forniti da questo impianto contribuì a risolvere la carenza di energia che nei primi anni '20 aveva portato a frequenti black-out ed a gravi disagi, nonostante le restrizioni ai consumi "voluttuari" (vetrine, insegne luminose, riscaldamento elettrico, ecc.) imposte agli utenti dalle ordinanze municipali. La prima diga dell’AEM di Cancano (1928)Il continuo aumento dei consumi, avrebbe poi indotto l'AEM ad iniziare nel 1921 la costruzione della prima diga di Cancano (in val Fraele, sopra Bormio, terminata nel 1928) in modo da creare un vasto bacino di accumulo stagionale che consentisse di sopperire alle magre invernali dell'Adda e di garantire la regolarità del servizio.

Ritornando di qualche anno indietro, osserviamo innanzi tutto che già verso il 1910 poteva a grandi linee considerarsi conclusa, per l'industria elettrica italiana, la fase che aveva portato nei circa 25 anni precedenti alla costituzione delle principali società ed alla determinazione delle zone di influenza delle singole imprese[10]. L'elettricità era intanto diventata una risorsa energetica determinante per lo sviluppo industriale, tant'è vero che secondo una statistica del 1911 il 42% delle macchine delle industrie trasformatrici funzionava ormai elettricamente. Anche la tecnologia elettrica, dopo l'estremo fermento degli ultimi vent'anni dell'ottocento, si era come più assestata, potendo ormai contare su macchine e sistemi notevolmente perfezionati: turbine idrauliche ad alto rendimento adatte ad ogni genere di salto e di portata, turbine a vapore di taglia sempre crescente, alternatori, trasformatori e linee di trasmissione sempre più potenti ed affidabili, dighe e bacini sempre più imponenti[11]. La Edison si diede da fare per consolidare le posizioni raggiunte, approfittando della costante e vigorosa crescita della domanda, procedendo alla realizzazioni di altri impianti idroelettrici (da tempo progettati) che richiedevano forti investimenti, ma che una volta costruiti garantivano un basso costo di esercizio. Venne così accelerata la costruzione della Centrale di Robbiate d’Adda il cui scopo era quello di produrre nuova energia e di migliorare l'utilizzo della centrale di Paderno. A questo scopo fu costruita a sbarramento dell'Adda una diga a paratoie metalliche, poco a monte del ponte in ferro di Paderno, dalla quale si dipartiva un canale derivatore lungo circa 4,6 km, in buona parte in galleria, che portava l'acqua alle sei turbine Francis ad asse orizzontale della potenza complessiva di circa 30.000 kW. La Centrale entrò in servizio verso la fine del 1914; parte dell'energia da essa prodotta andò ad alimentare la ferrovia Milano-Lecco nell'ambito di un apposito contratto di fornitura stipulato con le Ferrovie dello Stato. Qualche anno più tardi con la costruzione della centrale di Calusco d’Adda, entrata in servizio nel 1920, venne anche sfruttato il modesto salto creato dalla diga sull'Adda di Robbiate, per produrre altri 3.600 kW. Anche queste due storiche centrali sono tuttora in funzione e ben visibili recandosi sull’Adda. La prima, dotata di un edificio di notevole pregio architettonico, ha preso il nome di Centrale Esterle, in memoria di uno dei primi amministratori della società Edison; la seconda si chiama ora Centrale Semenza. Un bell’esempio di solidità e di continuità industriale!

L’edificio della C.le idroelettrica della Edison di Robbiate, ora intitolata all’ing Esterle(1914)La sala macchine della C.le idroelettrica della Edison di Robbiate, ora intitolata all’ing Esterle(1914)

 

 

 

 

 

 

In effetti la Edison, che ne è tuttora proprietaria, era già diventata negli anni ’20 uno dei più solidi e potenti gruppi industriali italiani (diventando nel 1931 anche il gestore della rete del gas di Milano). Il bel palazzo di Foro Bonaparte 31, nel quale essa si insediò nel 1923, e dove c’è tuttora la sede centrale, può esserne considerato un po’ il simbolo (questo palazzo era stato originariamente costruito nel 1892 dall’architetto Enrico Combi, sul sito delle ex-scuderie di Palazzo Litta, per la società Strade Ferrate del Mediterraneo).

Nonostante la sua potenza industriale, che gradualmente si estese su una buona fetta dell’Italia settentrionale, la Edison non fu mai l’unico attore sulla scena elettrica milanese, dove si mosse presto, come si è visto, anche la AEM, che comunque, per statuti, rimase sempre esclusivamente legata ai bisogni della città.

Alla fine degli anni ’20 alla guida dell’AEM arrivò il professor ingegner Albino Pasini. Egli aveva amicizie ed appoggi nel Regime, ma anche un'ottima competenza imprenditoriale ed era sorretto da un genuino entusiasmo per l'Azienda Elettrica, che sotto la sua guida ottenne dei positivi risultati, concludendo anche, nel dicembre del 1929, un importante accordo di mercato con la Edison ed altre importanti società elettriche.

Per adeguare le linee di trasporto alla capacità degli impianti in Valtellina nel periodo 1928-1932 l’AEM provvide alla costruzione di due linee a 130.000 Volt (in sostituzione delle vecchie quattro linee a 60.000 Volt costruite nel 1910) con le quali fu in grado di trasportare a Milano una potenza di 120.000 kW. Nel 1932, poi fu aggiunta una terza linea sempre a 130.000 Volt, portando la lunghezza complessiva degli elettrodotti a 500 km circa.

L’edificio della Ricevitrice Nord della AEM (1933)

Continuando nella espansione degli impianti di produzione e di distribuzione, a Grosotto fu costruita, ed entrò in attività nel 1932, una nuova stazione all'aperto per la trasformazione dell'energia a 130.000 Volt, mentre a Milano sorse la Ricevitrice Nord (in via Ponte Nuovo, tra Crescenzago e Gorla), con un imponente edificio che spicca ed è tuttora ben riconoscibile nel frammentario tessuto periferico urbano. Si estese la rete di distribuzione, aumentarono le utenze: i cavi posati raggiunsero quasi il migliaio di chilometri, alla fine dei 1930, gli utenti AEM divennero circa 158 mila, l'energia immessa in rete in vent'anni fu pressoché decuplicata, raggiungendo i 272 milioni di kWh.

Nel 1934 si procedette a trasformare tutte le vecchie linee di trasporto da 60.000 a 130.000 Volt, in città entrò in servizio la nuova stazione Ricevitrice Sud, in V.le Ortles, anch’essa caratterizzata da un imponente edificio in cui si riconosce facilmente l’Era in cui fu costruito.

L’edificio della Ricevitrice Sud dell’AEM, a costruzione quasi completata (1934)

A Limito fu inoltre costruita una cabina di smistamento collegata alle due ricevitrici. Si moltiplicarono le stazioni di conversione e di trasformazione: sorsero in viale Elvezia, in piazza Po, in piazza Trento, in via Caracciolo, oltre che presso le ricevitrici Nord e Sud, e presso le stazioni di via Gadio e di via Benedetto Marcello (tuttora ben riconoscibili nel tessuto urbano). Si lavorava intanto alla costruzione dell'impianto idroelettrico di Stazzona, che consentiva un ulteriore sfruttamento delle acque dell’Adda a valle di Tirano. Con la sua entrata in servizio nel 1938, in complesso la potenza delle centrali idroelettriche della Valtellina arrivò a circa 170.000 kW.

Milano continuava a svilupparsi; nascevano nuovi quartieri, c’era lavoro, le strade erano percorse dalla prima utilitaria, la "Topolino. L’elettricità era un bene che certo non si sprecava, nelle case di allora, dove cominciava ad apparire qualche modesto elettrodomestico, ma le case cittadine ne erano ormai tutte dotate. Nelle ricorrenze speciali la piazza del Duomo e le strade adiacenti, così come il corso Vittorio Emanuele, erano illuminate in modo sfolgorante, prelevando energia da due cabine ai fianchi del Duomo, nate proprio per provvedere a questa illuminazione straordinaria. Purtroppo l’aumento dei consumi d’energia, come la commissione amministratrice spiegava al podestà, aveva una causa che indicava l’avvicinarsi della tragedia della guerra:
"...Lo stato d’emergenza creatosi in Europa nel 1939 ha determinato vaste ripercussioni sull'andamento delle industrie in generale e segnatamente nelle industrie manifatturiere. Come immediata conseguenza, nella industria elettrica italiana si è verificata dovunque una maggiore richiesta d’energia per l'intensificazione delle lavorazioni belliche, che nella nostra Azienda si è concretata in un aumento d’erogazione per forza motrice pari al 12,06 per cento sul 1938, mentre le utilizzazioni per luce hanno segnato un normale incremento di circa il 2,79 per cento..."

L'AEM per fare fronte alle nuove e alle future necessità, studiò la realizzazione di un altro grande serbatoio in val di Fraele, a monte di quello di Cancano, a circa duemila metri di quota. Iniziarono quindi i lavori per il serbatoio di San Giacomo della capacità di 64 milioni di metri cubi d'acqua e per la grande diga di sbarramento, con altezza massima di quasi cento metri con un coronamento lungo circa un chilometro. La costruzione di questa enorme diga pose una serie di difficoltà, a cui il “genio italico” non mancò di trovare soluzioni autarchiche. Per esempio per il trasporto del cemento, che arrivava dalle cementerie in speciali vagoni fino a Tirano, ultima stazione ferroviaria della valle, fu costruita dalla AEM una linea filoviaria lunga ben 62 chilometri che arrivava fino alle pendici dello Stelvio, da dove con due teleferiche, il cemento raggiungeva i cantieri.

Camion elettrici usati nella costruzione della diga AEM di S.Giacomo, in Val Fraele (anni ’40)

Ma si poté lavorare solo un anno prima che l'Italia fosse travolta dalla tempesta della guerra. Gli spaventosi bombardamenti del '43-'44 colpirono a morte anche l'illuminazione cittadina. La sede dell'AEM fu devastata, duramente colpite furono varie sottostazioni cittadine. I lavori nelle centrali idroelettriche in costruzione, che erano continuati, dopo l’Armistizio vennero interrotti irrimediabilmente e non furono ripresi se non dopo la fine della Guerra.
Al ritorno della pace la città di Milano poté comunque contare sull’energia fornita da un patrimonio d’impianti in Valtellina rimasti sostanzialmente intatti e da quelli che furono abbastanza rapidamente completati (la diga di San Giacomo fu inaugurata nel 1950). Fu grazie anche a loro se in capo a pochi anni il mondo poté parlare di “miracolo italiano”.

La diga AEM di San Giacomo (1950)

Terminiamo qui la storia dei primi cinquant’anni di elettricità a Milano, un periodo sufficiente a comprendere come essa sia potuta entrare nella nostra vita di ogni giorno, e diventare indispensabile come l’aria.

 

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Approfondimenti:

Ai primordi dell'energia elettrica
Produzione e distribuzione dell'energia elettrica
La Centrale elettrica di via Santa Radegonda
La storia della Azienda Elettrica Municipale di Milano



[1] A Milano, nel 1875, fu per esempio realizzato dai fratelli Gerosa (che successivamente ebbero un ruolo importante per la diffusione del telefono), un impianto di orologi elettrici. Esso era basato su di un orologio centrale a pendolo di grande precisione, che era collegato elettricamente a numerosi orologi periferici in grado di ripeterne le indicazioni. Un semplice meccanismo a camme e contatti lamellari provvedeva ad inviare agli orologi periferici gli impulsi necessari a far scattare ogni minuto la corrispondente lancetta. Una rete di fili di tipo telegrafico provvedeva al trasporto degli impulsi. Gli orologi stradali erano sistemati vicino ai lampioni a gas in modo che fossero visibili anche di notte. Il servizio era disponibile anche per uffici o privati, che si potevano collegare in derivazione sul sistema di linee di trasmissione.

[2] La prima centrale idroelettica italiana era sorta a Tivoli nel 1885. Sfruttando il salto delle famose cascate si ottenevano 62 kW. Nello stesso anno il governo, con una nuova legge, dichiarava acque pubbliche tutti i fiumi, laghi, torrenti, rivi e canali esistenti sul territorio nazionale, imponendo la richiesta di concessioni per il loro utilizzo.

[3] Le turbine della centrale smaltivano una portata di 45 metri cubi/secondo, con un salto di 28 metri. La centrale era dotata di quattro alternatori trifase Brown Boveri a 28 poli, 42 periodi, ed inviava l'energia elettrica a Milano con un elettrodotto a 13.500 Volt, lungo 32 km. La tensione di trasporto era ottenuta direttamente ai morsetti degli alternatori, permettendo di fare a meno del trasformatore ed eliminare le relativa perdite.

[4] Non si deve credere che inizialmente questo passaggio sia stato facilissimo, in quanto implicava grosse ristrutturazioni agli impianti delle industrie; e della convenienza ad investire gli industriali andavano convinti conti alla mano. La Edison dovette svolgere perciò una intensa azione promozionale, che diede comunque buoni risultati; infatti nel 1896 erano allacciati alla rete di Milano solo 35 motori per una potenza complessiva di 51 kW, nel 1897 94 motori per 132 kW, nel 1898 si era passati a 2000 kW, nel 1899 a 5700 kW, nel 1900 a 2036 motori e 6600 kW e nel 1901 a 2700 motori per 8500 kW.

[5] L'introduzione delle turbine a vapore segnò uno dei progressi più significativi nel campo delle macchine termiche. Dalle prime realizzazioni dello svedese De Laval e dell'inglese Parsons, verso il 1883, si arrivò nei primi anni del '900 a macchine in grado di fornire qualche migliaio di kW con dimensioni molto contenute. Le turbine a vapore erano intrinsecamente adatte a ruotare ad alta velocità di rotazione, e si prestavano per questo particolarmente bene per la generazione di energia elettrica; per i loro vantaggi surclassarono velocemente i lenti e complessi motori a vapore alternativi, che avevano dominato la scena per più di un secolo.

[6] Il piano comunale era molto ambizioso e tecnicamente all'avanguardia. Dal momento che le risorse idriche più vicine a Milano erano già state accaparrate dall'iniziativa privata, l'attenzione si era rivolta alla più lontana Valtellina dove era prevista la costruzione di cinque centrali: Le Prese (4500 kW), Grosotto (14500 kW), Mazzo (3500 kW), Tirano (3600 kW) e Roasco (2800 kW). La linea di trasmissione ad alta tensione doveva arrivare alla stazione ricevitrice di piazza Trento, passando per la Valcamonica e la Val Cavallina.

[7] Per il trasporto a distanza dell'energia elettrica era stata emanata fra il 1894 e il 1895 la legge 232 che aveva fatto cadere tutti gli ostacoli giuridici alla realizzazione degli elettrodotti, in quanto la conduttura elettrica veniva assimilata alla figura giuridica dell'acquedotto coattivo, per cui il proprietario del fondo attraversato dalla linea non poteva opporsi al suo passaggio ed il terreno necessario era soggetto ad esproprio a causa di pubblica utilità.

[8] Già verso la fine del 1910 Comune ed Edison decisero di por fine alla concorrenza, stipulando un accordo per le tariffe e per l'acquisizione di nuove utenze (si tenga presente che neanche al Comune in realtà conveniva che le tariffe scendessero ulteriormente). Questo provvisorio accordo venne poi perfezionato nel 1916 con una complessa convenzione che risolveva tutte le pendenze fra le due società, compresa quella della municipalizzazione dei servizi tranviari.
Grazie a questi accordi, che garantivano all'AEM una media dell'80% delle nuove utenze, la quota di mercato cittadino servita dalla AEM andò incrementandosi nel tempo, passando da circa il 20% nel 1915 a circa il 50% nel 1930.

[9] Il pregevole edificio di questa centrale fu progettato dall'architetto Piero Portaluppi; è tuttora esistente nell'area della centrale di Grosio, anche se è stato riutilizzato per scopi non produttivi.

[10] L'area di attività della Edison si era molto allargata rispetto alla città; la società aveva acquistato compartecipazioni in varie imprese ed aveva ormai anche un importante ruolo finanziario.

[11] Non è da credere che questo sviluppo fosse indolore e senza problemi. Ne è testimonianza per esempio il crollo della diga di Gleno nelle valle di Scalve (vicino a Schilpario), avvenuto nel dicembre 1923, che provocò la morte di circa 500 persone.

Ultima modifica: lunedì 22 marzo 2004

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