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Ai primordi dell'energia elettrica

di Gian Luca Lapini

 

Riproduzione dell’originale pila di Volta del 1799 (Tempio Voltiano, Como)Apprestandosi a ripercorrere alcune delle tappe iniziali della storia dell'energia elettrica, non si può far a meno di notare quanto sia stata tardiva la nascita di una scienza dei fenomeni elettrici rispetto a tanti altri campi del sapere umano, teorici o pratici, nei quali gli antichi ed i medioevali avevano raggiunto notevoli vette, e quanto sia vicino a noi il momento in cui la tecnologia è riuscita a immaginare degli utilizzi pratici dell'elettricità stessa[1].

Fu solo verso la metà del '600 che il fisico tedesco Otto von Guericke costruì la prima macchina elettrostatica, prototipo di tutti quei congegni con i quali nel corso del '700 si cominciò ad avere a disposizione un'abbondanza di cariche elettriche e dunque la possibilità stessa di indagare sui fenomeni elettrostatici, andando finalmente al di là delle poche osservazioni degli antichi sugli strani effetti prodotti dallo strofinamento dell'ambra o di materiali simili.

Verso la metà del '700 illustri fisici come l'inglese S. Gray, il francese F. du Fay e l'americano B. Franklin cominciarono ad inquadrare i fenomeni elettrici in modo organico. Si scoprì anche la maniera di accumulare cariche elettriche (in dispositivi chiamati "bottiglie di Leida", in pratica dei grossi condensatori) e di provocare correnti intense, anche se di breve durata, con le quali si cominciarono a descrivere alcune delle proprietà fondamentali dell'elettricità. Negli ultimi decenni del '700 l'inglese Cavendish ed il francese de Coulomb compirono le fondamentali esperienze che permisero la formulazione delle leggi dell'elettrostatica; fu però solamente con l'invenzione della pila di Volta, nel 1799, che scienziati e tecnologi ebbero a disposizione un "elettromotore", come Volta stesso lo chiamò, con il quale aprire i vasti campi di conoscenza collegati alla elettrochimica e all'elettromagnetismo che sarebbero poi stati fonti di enormi possibilità di utilizzo pratico.

Lampada ad arco elettrico di Davy (1810)Già pochi mesi dopo la pubblicazione della scoperta di Alessandro Volta, l'inglese W. Cruikshank trasformò la rudimentale pila in una efficiente batteria[2], utilizzando una configurazione "a truogoli", con la quale si potevano condurre esperimenti più lunghi e significativi. Un altro inglese, H. Davy, scoprì nel 1802 che la scintilla che si poteva provocare ai capi di una pila era più forte e luminosa se la si faceva scoccare fra due punte di carbone, dando il via a tutte le successive idee e sperimentazioni per l'utilizzo dell'arco elettrico per l'illuminazione.

Le prime scoperte sulla interazione fra magnetismo ed elettricità furono fatte fra il 1807 ed il 1820 dallo scienziato danese H. C. Oersted, il quale descrisse le sue osservazioni sul movimento di un ago magnetico posto in vicinanza di un filo percorso da corrente elettrica. La sua scoperta diede lo spunto ai francesi A. M Ampère per la sua teoria elettromagnetica, e D.F.J Arago per la costruzione, nel 1820, del primo elettromagnete. L'inglese M. Faraday intuì la possibilità del fenomeno inverso a quello osservato da Oersted, cioè l'induzione di un movimento di cariche elettriche in un conduttore posto nel campo di un magnete mobile. Dopo molti esperimenti condotti nel corso di vari anni, nel novembre del 1831 egli annunciò le sue scoperte sull'induzione elettromagnetica: da allora fu tutto un susseguirsi di idee e di tentativi per la costruzione di macchine per la generazione di correnti elettriche per via elettromagnetica, anche se passarono diversi anni prima che fossero sviluppati generatori utilizzabili per applicazioni industriali.

Tra i primi esempi si possono ricordare i generatori a magneti permanenti sperimentati nel 1858 dall'inglese F.H. Holmes per l'illuminazione del faro di South Foreland: si trattava di macchine piuttosto rudimentali, pesanti, di grandi dimensioni, nonostante la potenza generata non superasse 1-2 Kw, e di basso rendimento; erano però adeguate ad alimentare un arco elettrico la cui forte intensità era l'ideale per l'utilizzo in un faro.

Macchina dinamo elettrica di Pacinotti (1864)La scoperta che rese possibile la costruzione di macchine elettriche di pratico utilizzo fu quella dell'auto-induzione; in un generatore ad auto-induzione la stessa corrente prodotta dalla macchina era utilizzata per alimentare gli elettromagneti necessari a generare il campo magnetico, ed il magnetismo residuo che rimaneva a macchina ferma era sufficiente a riprendere la generazione di corrente quando essa veniva rimessa in moto. Diversi inventori giunsero quasi contemporaneamente alla realizzazione di macchine basate su questo principio, e per tale motivo ci furono notevoli contrasti fra i vari Wilde, Varley e Siemens sulla priorità dell'invenzione delle prime dinamo[3], avvenuta fra il 1866 e il 1867[4].

Le prime dinamo di dimensioni pratiche e in grado di produrre una vera corrente continua furono comunque quelle realizzate nel 1870 dal belga Zénobe Gramme. L'indotto delle sue macchine era formato da un anello, simile a quello descritto da Pacinotti nel 1864, realizzato con fili di ferro dolce, in modo da ridurre le resistenze passive; attorno a questo anello si avvolgeva una serie di bobine di filo di rame le cui estremità adiacenti erano unite a formare un avvolgimento continuo; le estremità delle bobine facevano capo ad un commutatore a settori multipli e l'indotto ruotava in un sistema magnetico a due poli.

Dinamo di Gramme (1870, a sinistra) a confronto con la macchina magneto-elettrica di Nollet (1855)

Le dinamo di Gramme, realizzate con una meccanica solida e duratura, ebbero un grandissimo successo come i primi generatori elettrici in grado di funzionare in modo continuativo, senza surriscaldarsi; accoppiate con macchine a vapore furono l'elemento indispensabile per la nascita dei primi sistemi di illuminazione elettrica ad arco.

Nel 1872 F.von Hefner Alteneck della ditta tedesca Siemens e Halske sviluppò un indotto a tamburo che avrebbe gradualmente sostituito quello di Gramme per la sua maggiore facilità costruttiva; un ulteriore importante perfezionamento fu quello introdotto nel 1880 dallo svedese J. Wenstrom, che incassò le bobine dell'indotto in fessure o canali, in maniera molto simile a come tutt'ora si fa costruendo generatori o motori elettrici.

L'altra fondamentale invenzione nel campo delle macchine per la generazione di energia elettrica fu l'alternatore: questa macchina era costruttivamente più semplice e di più facile manutenzione in quanto non necessitava del commutatore, ma si affermò un po' più tardi poiché la comprensione e gestione dei sistemi in corrente alternata è più complessa di quelli in corrente continua. I primi alternatori in cui l'eccitazione non era data da magneti permanenti furono costruiti dall'inglese H.Wilde verso il 1867. Macchine più perfezionate costruite dallo stesso Wilde e da Gramme comparvero nella seconda metà degli anni '70 e verso il 1885 arrivarono a dimensioni e potenze dell'ordine dei 500 Kw.

Trasformatore elettrico Gaulard-Gibbs (attorno 1880)Assieme all'alternatore, il trasformatore[5] fu l'altra macchina di base che permise lo sviluppo di sistemi di generazione e di trasporto dell'energia elettrica a grande distanza, e con il tempo l'affermazione dei sistemi a corrente alternata. Con il trasformatore fu infatti possibile elevare la tensione all'uscita delle centrali, in modo da minimizzare le perdite durante il trasporto per poi ridurla nuovamente prima dell'utilizzo finale.

Ci siamo brevemente soffermati sulla parte "generatori", ma non possiamo ovviamente fare a meno di dare alcuni veloci cenni sulle principali tappe nell'evoluzione dei primi fondamentali dispositivi di utilizzo dell'energia elettrica[6], ed in particolare di quelli per l'illuminazione, che costituirono il principale punto di incontro dell'elettricità con la vita quotidiana.

Lampada ad arco di Jablochkoff (1876)L'utilizzazione dell'arco elettrico per l'illuminazione approdò ai primi risultati pratici dopo il 1846, anno nel quale W.E.Staite presentò una lampada ad arco dotata di un dispositivo ad orologeria per l'avanzamento dei carboncini, che permetteva di mantenere abbastanza costante l'intensità luminosa, nonostante il consumo degli elettrodi provocato dall'arco stesso. A parte le già accennate applicazioni nei fari, l'utilizzo significativo di lampade ad arco iniziò solamente dopo il 1870, quando cominciarono ad essere disponibili generatori efficienti come quelli di Gramme[7] e lampade più affidabili, come quella inventata nel 1876 dal russo Paul Jablochkoff[8].

Lampada a incandescenza e portalampada sistema Edison (1881)La possibilità di utilizzare, invece dell'arco, la luce emessa da un filamento incandescente percorso da corrente elettrica fu riconosciuta assai presto; già nel 1820 Warren de la Rue condusse esperimenti con filamenti di platino racchiusi in globi di vetro in cui era stato fatto il vuoto più spinto possibile. Il cammino per arrivare ad una lampada ad incandescenza di utilizzo pratico fu però lungo, e se il successo arrise alla fine a T. Edison (verso il 1880) non si possono dimenticare altri pionieri di questo campo, come l'inglese J. Swan, che aveva cominciato a lavorare in questo campo già dal 1848. Come Edison, Swan fece molti tentativi infruttuosi prima di arrivare ad una soluzione, ma il suo lavoro poté diventare più incisivo solo dopo l'invenzione della pompa a vuoto a vapori di mercurio[9]. Nel 1882 la fabbrica di lampade a filamento di carbone di Swan produceva lampade di qualità equivalente a quelle di Edison tant'è vero che dopo un primo scontro giudiziario sulla questione dei brevetti, nel 1883 Edison e Swan diedero vita in Inghilterra ad una impresa comune.

E' importante rimarcare che lo sviluppo della lampada ad incandescenza fu essenziale per quello di tutto il sistema elettrico; infatti la lampada ad arco, per la sua eccessiva intensità, non si prestava per l'illuminazione di luoghi chiusi, mentre la lampada ad incandescenza aprì al sistema elettrico tutto l'immenso campo di utilizzi commerciali e domestici che ne avrebbero fatto decollare le fortune.

L'altra invenzione che determinò tali fortune, dischiudendo il vasto mercato degli utilizzi industriali, fu quella del motore elettrico. A parte le numerosissime realizzazioni sperimentali sulle quali non è possibile qui soffermarsi, i primi motori a corrente continua di valore commerciale comparvero verso il 1873, prodotti da Gramme sullo stesso schema delle sue fortunate dinamo. Quando poi cominciarono ad affermarsi i sistemi di distribuzione a corrente alternata, si crearono le condizioni per l'introduzione di un motore ad induzione che, come nel caso dell'alternatore, presentava il vantaggio di non aver bisogno di un collettore. Il primo motore a campo rotante[10] a corrente alternata, di pratico utilizzo industriale, fu quello realizzato dall'immigrato croato Nikola Tesla nel 1888, e costruito negli USA dalla Westinghouse. Lo stesso concetto fu perfezionato da C.E.L Brown nelle officine Oerlikon di Zurigo e da M.von Dolivo-Dobrowolsky della AEG di Berlino; quest'ultimo fu anche l'inventore del rotore a "gabbia di scoiattolo" che semplificava notevolmente la costruzione della parte rotante del motore aumentandone nel contempo la robustezza.

L'invenzione del motore asincrono mise a disposizione di tutta l'industria una fonte di energia che determinò una drastica trasformazione delle fabbriche; un po' alla volta esse persero il loro intreccio di innumerevoli alberi, pulegge, cinghie e rinvii che avevano caratterizzato per un secolo l'epoca un cui una singola macchina a vapore muoveva un intero opificio; da allora in poi ogni macchina avrebbe avuto il suo motore e l'energia sarebbe arrivata sui fili da una lontana centrale.

Motore elettrico General Electric (1890)

Infine un breve accenno al fatto che l’elettricità non fu solo scienza ed industria, ma che entrò nella vita di tutti i giorni anche attraverso altri canali che probabilmente non furono di secondaria importanza per favorire quella accettazione sociale di cui ogni novità, anche di tipo tecnologico, ha sempre bisogno per divenire di uso comune. Tanto più nel caso dell’elettricità, il cui carattere palpabile, ma nello stesso tempo elusivo, la rendeva più difficile da comprendere di altre scoperte. Uno di questi canali fu la medicina, campo nel quale l’elettricità fu ampiamente utilizzata, a proposito ed a sproposito, nel corso dell’800 come un (spesso presunto) metodo diretto di cura per svariate patologie, specie nervose, assai prima di diventare l’indispensabile motore di quella infinita schiera di apparecchi diagnostici con i quali nel corso del ‘900 la medicina stessa si è andata attrezzando. Le scoperte scientifiche, che avevano in qualche modo mostrato che il nostro corpo è sede di correnti elettriche, favorirono l’accettazione di pratiche e dispositivi che oggi ci fanno sorridere, come questa cintura elettrica venduta a inizio ‘900 per corrispondenza dalla Sears-Roebuck di Chicago in grado di ridare potenza sessuale a maschi stressati.

Elettricità come paradigma di potenza (1901)

Ma le stessa adozione di espressioni divenute di uso comune, nel linguaggio di tutti i giorni, tipo “ mi sento elettrico”, elettrizzarsi”, “avere le batterie scariche” o “mi si è accesa una lampadina”, ecc. ecc., testimoniano quanto l’elettricità fosse diventata presente nell’inconscio collettivo.

 



[1] D’altra parte, come osservava, Giuseppe Colombo, uno dei pionieri dell’industria elettrica italiana, “.. Il fatto è, invece, che l’elettrotecnica è forse la materia nella quale la parte scientifica ha il maggiore e quasi l’esclusivo predominio. I più grandi progressi sono dovuti alla teoria pura; senza gli studi di Hertz non avremmo la telegrafia senza fili di Marconi, come senza gli studi di Galileo Ferrarsi non avremmo i motori a campo rotante; le più riputate fabbriche di materiale elettrico sono quelle, e son poche, dirette o ispirate da distinti teoristi”.

[2] La disponibilità di batterie di efficienza accettabile, problema sul quale si cimentarono per decenni numerosissimi inventori, rese possibile il decollo delle reti telegrafiche, che costituirono una delle prime fondamentali applicazioni pratiche dell'energia elettrica.

[3] La parola dinamo deriva dal termine "dinamoelettriche" che C. Brooke usò per la prima volta in una conferenza del 1867 per designare genericamente le macchine produttrici di corrente elettrica.

[4] Queste prime macchine erano dotate di commutatori a due soli settori e producevano perciò correnti fortemente pulsanti.
Più evoluto, in quanto dotato di commutatore a segmenti multipli e di indotto ad anello, era il dispositivo inventato già nel 1860 dal professore dell'Università di Pisa Antonio Pacinotti e descritto da un giornale italiano nel 1864. Esso era stato però essenzialmente pensato come un ausilio didattico, e sebbene potesse funzionare sia come generatore che come motore, non ebbe utilizzi pratici.
Sorte analoga toccò ad una analogo generatore costruito attorno al 1861 dal benedettino ungherese Anyos Jedlik.

[5] La possibilità di costruire un congegno induttivo per elevare o abbassare la tensione era stata definita a livello di principio da Faraday, ma i primi trasformatori di uso pratico e dimensioni industriali furono realizzati da due soci, il francese Lucien Gaulard e l'inglese John D. Gibbs, solamente nel 1882-83.

[6] Tralasciamo volutamente di parlare di utilizzi prettamente industriali dell'energia elettrica, quali tutti i processi elettrochimici.

[7] Tra le prime applicazioni si ricorda per esempio l'illuminazione ad arco dello stabilimento Hielmann a Mulhausen nell'agosto 1875, quella dei marciapiedi della stazione di La Chapelle nel 1876 e della stazione di Lione nel settembre 1877.

[8] Nella così detta "candela elettrica" dell'inventore russo, due barrette verticali di carbone, separate da un distanziatore di caolino, venivano unite a ponte all'apice da una striscia di grafite. Inserendo la corrente la grafite si consumava e si stabiliva così l'arco fra i due carboncini che bruciavano gradualmente; per assicurare un consumo uniforme si usava corrente alternata.
Queste lampade ebbero un buon successo commerciale in Francia ed Inghilterra grazie soprattutto al forte sostegno commerciale della Société Générale d'Electricité.

[9] Questa pompa, inventata da H.Sprengler nel 1865, fu essenziale anche per Edison; in effetti solamente quando si riuscì a effettuare un vuoto spinto nel bulbo della lampada si ottenne una durata significativa dei filamenti incandescenti.

[10] La dimostrazione, in base ad eleganti considerazioni teoriche, di come ottenere un campo magnetico rotante da un sistema di correnti polifase, che costituisce la base per il funzionamento del motore ad induzione, era stata espressa dal professor Galileo Ferraris già nel 1885; nello stesso anno egli costruì diversi prototipi dimostrativi, ma non si curò di brevettare né di sfruttare la sua invenzione. Solo nel marzo del 1888, cedendo alle pressioni di autorevoli colleghi, presentò a Torino una memoria dal titolo: "Rotazioni elettrodinamiche prodotte per mezzo di correnti alternate".
L'assoluta mancanza di spirito imprenditoriale in G.Ferraris è dimostrata da una sua lettera del 1891 nella quale scrive:"... senza che io me ne sia occupato ho visto a Francoforte che tutti attribuiscono a me la prima idea, il che mi basta. Gli altri facciano i denari, a me basta quel che mi spetta: il nome".
In questo disinteresse egli esprime per altro un limite abbastanza comune alla cultura tecnica italiana di quel tempo, di un'Italia che infatti, già allora, tecnicamente era fortemente dipendente dall'estero.

Ultima modifica: lunedì 22 marzo 2004

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