Ritornando alla prima diga di Cancano, ricordo che i lavori di costruzione di questo sbarramento, già previsto nei piani di anteguerra, erano iniziati nel 1921, e durarono molti anni anche a causa delle condizioni climatiche e di lontananza dei luoghi di lavoro, che costringevano a rallentare molto o sospendere il lavoro in inverno. Terminata la diga nel 1928, una prima tranche della Centrale di Fraele-Isolaccia (per 15 MW) entrò in servizio nel 1928; a questo impianto confluivano anche le acque raccolte da vari torrenti in Val Viola, tramite un complesso di opere di presa ed un lungo canale collettore, costruiti in quegli stessi anni, che riversavano tali acque nel bacino di Cancano.
Dopo la prematura scomparsa del presidente, conte Cicogna, a seguito dell’entrata in carica dell’ing. Albino Pasini, nel 1928, il prof. Gaudenzio Fantoli del Politecnico ricevette l’incarico di compiere un nuovo studio di ottimizzazione degli impianti valtellinesi. Secondo il nuovo piano veniva annullata la costruzione della Centrale di Cepina e si sospendeva la realizzazione di Stazzona, mentre dovevano essere potenziate sia Fraele che Grosotto. Inoltre la vecchia linea di trasmissione della Valcamonica, doveva essere potenziata portandola da 65 a 130 kV, ed attestandola a Milano alla nuova Ricevitrice Sud, che entrò in servizio nel 1934. La realizzazione di questo impianto fu l’occasione del completamento anche il riordino delle linee e delle sottostazioni cittadine, che era iniziato con la costruzione della Ricevitrice Nord.
Per quanto riguarda la Valtellina, i lavori del comparto più a valle ripresero nel 1935 e la Centrale di Stazzona entrò in servizio nel 1938, aggiungendo altri 35 MW alla potenza disponibile sulla rete della AEM. Questa centrale veniva alimentata dalle acque dell’Adda prelevate tramite una traversa sul fiume realizzata a Sernio, poco a monte di Tirano. Da qui un canale sotterraneo a pelo libero, lungo più di 8 km, portava le acque fino alle condotte forzate della centrale, realizzata in caverna sulla sponda sinistra del fiume.
Verso la fine degli anni ’30, su indicazioni del governo, anche il Genio Civile di Sondrio compì uno studio di ottimizzazione delle risorse idriche della Valtellina, e formulò una serie di proposte. La AEM non accettò tutte le conclusioni di questo piano, preferendo puntare su progetti già elaborati in proprio, di realizzare un nuovo invaso a monte di quello di Cancano e di modificare la centrale della Boscaccia. Fu però fatta propria dalla AEM la proposta del Genio Civile di costruire un impianto a Lovero, un po’ più a valle della località di Mazzo, dove non si era realizzato un precedente progetto. I lavori per la Centrale di Lovero (44 MW) iniziarono nel 1942, in piena guerra, e poterono essere conclusi solo a guerra finita nel marzo del 1948.
La guerra interruppe anche i lavori della diga di san Giacomo, situata a monte della prima diga di Cancano, che erano iniziati nel 1939. Per la costruzione di questo imponente sbarramento, del tipo a gravità, il cui coronamento, lungo oltre 1000 m, si trovava a circa 2000 m. di quota slm, fu realizzato un imponente insediamento per le maestranze, chiamato “Digapoli”, costruito in maniera tale da attenuare il disagio del lavoro in quota ed in condizioni climatiche ostili. Imponenti furono anche le opere realizzate per il trasporto dei materiali, effettuato per ferrovia, e nel tratto finale con una filovia dotata di autocarri elettrici su gomma.
In sostanza il patrimonio di impianti della Valtellina non subì danni significativi durante la guerra (meno fortunata fu la sorte di diverse strutture e impianti in città), e la AEM fu per questo in grado, nel dopoguerra, di riprendere abbastanza rapidamente le sue funzioni e di completare i lavori già iniziati. Così la diga di san Giacomo poté essere inaugurata nell’agosto del 1950. Ai suoi piedi fu costruita una centrale che sfruttava il salto di 75 m con il sottostante bacino di Cancano, producendo circa 6 MW; l’impianto era dotato di macchine reversibili che nei periodi di basso assorbimento della rete elettrica potevano ripompare in alto l’acqua, in modo da poterla riutilizzare nelle ore di punta. Inoltre, nel dopoguerra gli impianti vennero convertiti dalla frequenza di rete di 42 periodi (che era in uso a Milano fin dalle origini), alla frequenza di 50 periodi (50 Hz). Ciò permise anche un più agevole scambio di energia fra le reti dei sistemi elettrici settentrionali (quello Piemontese, per esempio, funzionava prevalentemente a 50 Hz). Il completamento degli impianti valtellinesi ed il ritorno del termoelettricoCon la fine della guerra e l’arrivo in Italia degli aiuti del Piano Marshall, la AEM iniziò a considerare l’opportunità di dotarsi anche di un nuovo impianto termoelettrico (quello di piazza Trento pur via via aggiornato, era ormai obsoleto), ma alla fine la direzione dell’azienda decise di rifiutare l’offerta di costruire in proprio un impianto a vapore da 60 MW, puntando ad un nuovo forte potenziamento degli impianti valtellinesi, a Grosio e Premadio. In attesa di poter costruire nuovi impianti idroelettrici l’ AEM aderì comunque ad un consorzio per la costruzione a Tavazzano (vicino a Lodi) di un impianto termoelettrico da 130 MW, entrato in servizio nel 1952, di cui si assunse una quota di potenza di 24 MW, per una produzione annua di 150 GWh[9] (ciò permise di mettere fuori servizio la vecchia centrale di piazza Trento).
In Valtellina, nella valle Fraele la AEM iniziò nel 1953 la costruzione di un nuovo imponente sbarramento, denominato Cancano II, che fu collocato poche centinaia di metri a valle della prima diga di Cancano, alzando la quota di coronamento fino a 1900 m. slm; questo nuovo bacino captava con un imponente complesso di “canali di gronda” le acque provenienti da bacini anche piuttosto lontani, dalla zona del Gavia e dai Forni ad est (canale Gavia-Forni-Braulio), e dalla valle di Livigno a ovest (canale dello Spoel). Le acque del bacino Cancano II, che sommerse la precedente diga[10] (ed anche l’insediamento per le vacanze dei dipendenti che l’AEM aveva realizzato in sua vicinanza[11]) venivano convogliate, con un salto di circa 650 m. nella sottostante centrale, situata in caverna profonda in prossimità di Premadio. All’uscita di questa centrale le stesse acque entravano in un lungo canale sotterraneo che mantenendosi in quota le convogliava alla nuova diga della val Grosina[12] (costruita poco a monte della vecchia diga di Fusino, e completata nel 1960), e da qui con un salto di quasi 600 m. fino alla sottostante Centrale di Grosio. Quest’ultima nuova centrale, iniziata nel 1956, situata anch’essa in caverna profonda, divenne il nodo centrale del sistema valtellinese, in quanto in essa veniva prodotta un’ulteriore ingente potenza.
La Centrale di Premadio entrò in servizio nel 1956, con due gruppi da 74 MW ciascuno, mentre la Centrale di Grosio entrò in servizio nel 1960, con due gruppi da 110 MW, portati a tre nel 1964 (e con la possibilità di costruire anche un quarto gruppo, di pari potenza). Contemporaneamente al completamento di Grosio, veniva messo fuori servizio l’impianto di Roasco, il cui edificio della centrale, situato nella stessa aerea dove sorsero la sottostazione elettrica e gli impianti ausiliari della Centrale di Grosio, fu destinato ad altri usi. Per portare a Milano l’energia prodotta in queste due nuove centrali venne anche realizzato un nuovo elettrodotto, con due terne trifase a 220 kV, ed anche i preesistenti elettrodotti a 130 kV vennero ammodernati elevandone la tensione a 220 kV.
In parallelo allo sviluppo del sistema idroelettrico valtellinesi fu elaborato anche un piano di adeguamento delle centrali termoelettriche, sempre necessarie in un sistema, che pur dotato di ampie capacità di accumulo, era pur sempre legato ai capricci del clima. Venne così previsto il raddoppio della capacità di competenza AEM della Centrale di Tavazzano, e nel 1958 iniziò la costruzione della Centrale termoelettrica di Cassano d’Adda, lungo il canale della Muzza (compartecipata per ¼ della capacità dalla ASM di Brescia), dove venne realizzato un primo gruppo a vapore da 75 MW, entrato in servizio nel 1961.
Con la nazionalizzazione dell’energia elettrica nel 1963 e con la nascita dell’ENEL i piani costruttivi dell’AEM ebbero un periodo di stasi, nonostante la rapida e unanime decisione del Consiglio Comunale di Milano di richiedere all’ENEL (come previsto dalla legge di nazionalizzazione) la concessione alla prosecuzione dell’attività dell’azienda. I piani per la costruzione di un nuovo gruppo termoelettrico a Cassano rimasero così in attesa di autorizzazione per tutti gli anni ’60, e quando nel 1970 l’ENEL decise di nazionalizzare la Centrale di Tavazzano, la AEM perse la disponibilità di 48 MW termoelettrici e si trovò a corto di capacità produttiva. Il deficit produttivo fu parzialmente colmato nel 1975 con l’entrata in servizio a Cassano di un gruppo turbogas da 24 MW, che permetteva di coprire almeno una parte delle punte di carico[13].
Inoltre nel 1976 fu progettato un nuovo impianto in Valtellina, che sfruttava il dislivello esistente sul canale Gavia-Forni-Braulio. L’iter realizzativo di questo impianto, denominato Centrale del Brualio, costruita in pieno territorio del Parco dello Stelvio (quindi in caverna per minimizzare l’impatto ambientale) fu peraltro abbastanza lungo e l’impianto entrò in servizio solo nel 1986 (potenza complessiva installata 19 MW). Il progetto di un nuovo gruppo termoelettrico a vapore, Cassano 2, da 320 MW, da costruire ampliando l’area dell’esistente impianto, fu sbloccato nel 1976, ma l’impianto, costruito dalla Franco Tosi, entrò in esercizio commerciale solo all’inizio del 1984. Un breve accenno anche al fatto che nel corso degli anni ’60 e ’70 l’azienda provvide all’adeguamento di una infrastruttura poco appariscente, ma altrettanto indispensabile degli impianti di produzione, per la fornitura del servizio agli utenti finali, cioè della rete cittadina di distribuzione dell’energia elettrica; furono realizzate/ristrutturate 13 sottostazioni principali collegate fra loro ed alle Ricevitrici Nord e Sud, da centinaia di km di cavi a 23 kV e da decine di km di cavi a 220 kV ad olio fluido. (fig 25)
Gli sviluppi recentiNegli ultimi venti anni della storia della AEM la situazione degli impianti valtellinesi, ormai consolidati nella loro struttura fondamentale, ha subito una evoluzione nel senso del rinnovamento e del potenziamento, mentre il comparto degli impianti termoelettrici è quello che è stato sottoposto alle maggiori trasformazioni, anche in conseguenza della trasformazione dell’azienda, nel 1985 in Azienda Energetica Municipale[14], e dei nuovi compiti che le sono stati così assegnati (a partire dalla gestione del servizio gas, dal 1982, e dalla metanizzazione dell’intera città, dopo l’acquisizione di questa attività ceduta dalla Edison). L’impianto termoelettrico di Cassano è quello che ha subito le maggiori trasformazioni, iniziate nel 1994 con una serie di miglioramenti di tipo ambientale, quali vari adeguamenti dei sistemi di combustione e di trattamento dei fumi delle caldaie a vapore dei due gruppi. Successivamente i due preesistenti gruppi a vapore sono stati completamente rinnovati, trasformandoli in moderni, e assai più efficienti, cicli combinati a gas-vapore; ciò ha implicato lo smantellamento delle caldaie a vapore ed il parziale riutilizzo delle turbine, degli alternatori e dei relativi impianti ausiliari. Il gruppo 1 (inizialmente da 75 MW) è stato associato ad una turbina a gas Siemens da 155 MW, producendo vapore tramite una “caldaia a recupero” inserita sul circuito dei gas di scarico del turbogas: questa prima tranche di impianto è entrata in funzione nel giugno del 2001. Il gruppo 2 (inizialmente da 320 MW) è stato associato a due turbine a gas General Electric da 255 MW, che tramite due caldaie a recupero producono con i loro gas di scarico il vapore necessario ad azionare la preesistente turbina a vapore. Questa seconda tranche di impianto, entrata in servizio fra il 2003 e il 2005, ha portato la capacitò produttiva di Cassano a circa 1000 MW, tutti prodotti con l’utilizzo esclusivo di gas naturale e con una efficienza energetica nettamente superiore a quella dei precedenti impianti a condensazione[15]. L’efficienza energetica complessiva dell’impianto di Cassano è stata ulteriormente migliorata con l’entrata in servizio nel 2004-2005 di una rete di teleriscaldamento che serve la città di Cassano, recuperando parte del calore prodotto dalle caldaie. Inizialmente l’impianto serve circa 1.400 abitazioni, recuperando una potenza di 18 MW termici, e sarà progressivamente ampliato nei prossimi anni portando il calore recuperato a 50 MW termici. Val al pena di citare il fatto che la AEM non è nuova a realizzazioni di reti di teleriscaldamento cittadino la prima delle quali fu realizzata a Milano, nel lontano 1960, nel quartiere Comasina. Più di recente, alla fine degli anni ’90, sono state realizzati due altri importanti interventi a Milano, nel quartiere Bicocca Tecnocity (40 MW termici) ed a Sesto san Giovanni, in collaborazione con la Sondel (60 MW termici)[16]. Nel gruppo delle centrali della Valtellina sono stati effettuati invece i seguenti principali interventi:
Infine ricordo la costruzione, fra il 2004 e il 2005, della mini-centrale idroelettrica che sfrutta un piccolo dislivello (circa 4, 5 metri) esistente alla Conca Fallata, sul Naviglio Pavese. L’impianto, inaugurato nel maggio 2006, è stato costruito in un luogo in cui le acque del naviglio hanno fornito per decenni energia al vecchio stabilimento delle Cartiere Binda. La potenza prodotta è modesta (0,35 MW), ma l’intervento è fortemente simbolico della volontà di utilizzare anche i piccoli, ma numerosi potenziali di energia rinnovabile. RiferimentiAEM (a cura di), Gli impianti della AEM, Opuscolo illustrato non datato (data probabile fine anni ‘60), Grafica Gibiemme, Segrate AEM (a cura di), Alle radici dello sviluppo. I primi 50 anni di storia dell’energia negli archivi della AEM, Edizione AEM fuori commercio, Milano, 1992 AEM (a cura di), Milano Illuminata. Storia, immagini, urbanistica ed emozioni dell’illuminazione elettrica pubblica, Edizione AEM fuori commercio, Milano, 1993 AEM (a cura di), AEM: una storia milanese, Edizione AEM fuori commercio, Milano, 1982 Baldovin G, De Censi M., Lavori in corso sugli impianti AEM in Alta Valtellina, "Rivista Quarry&Construction", Aprile 2004, pagg. 69-84 Eugenio Barioli, L’impianto idroelettrico di Grosio dell’Azienda Elettrica Municipale di Milano, "L’Energia Elettrica", n.4, 1963 Claudio Pavese, L’azienda energetica municipale di Milano, in Piero Bolchini (a cura di), Storia delle Aziende Elettriche Municipali, Laterza, Roma – Bari, 1999 Francesca Polatti (a cura di), Centrali idroelettriche in Valtellina: architettura e paesaggio 1900-1930, BiblioEnel, Collana Cultura e industria, 2004 E. Trevisani, La meccanica e l’elettricità in Italia, Capriolo & Massimino, Milano, 1909 Vedi anche www.aem.it (sezioni “i nostri impianti”e “archivio fotografico”) [1] Il Comune doveva dare la eventuale disdetta della concessione entro il 31/12/1903. [2] Ovviamente di diverso avviso era il gruppo politico-industriale-bancario che sosteneva la Edison, con in testa il senatore Giuseppe Colombo (fondatore della società) il quale aveva condotto nel Senato del Regno una forte opposizione anche alla legge del 1903 sulle municipalizzazioni (legge 29 marzo 1903, n. 103), che pose le basi per la nascita di molte aziende comunali di servizio in numerose città italiane. [3] L'impianto sorse su di
un'area di 11.000 mq, dotata di binario di raccordo con lo scalo merci di Porta
Romana. Il salone delle macchine era predisposto per l'installazione di sette
macchine, per una potenza complessiva di 24 MW; al 1909 di queste macchine ne
erano già state installate cinque, e precisamente: -
una motrice a stantuffo a triplice espansione Tosi azionante un alternatore
trifase, 42 periodi, 8650 V, da 1,2 MW; Questi
alternatori venivano eccitate dalla corrente continua prodotta da due dinamo
azionate da un piccolo motore alternativo e da una piccola turbina a vapore, e
da due convertitori, dotati di motore-dinamo. Accanto
alla sala macchine esistevano: -
un primo locale caldaie, dotato di quattro caldaie multitubulari Tosi, della
superficie riscaldata di 340 mq ciascuna, e di due caldaie Babcock & Wilcox
da 375 mq; tutte quante con caricamento del carbone a mano; Dalla Centrale di p,za Trento l'elettricità veniva
distribuita tramite due feeders a 8650 Volt, ad anello, che seguivano in
sotterranea la circonvallazione ed i navigli, e da un terzo feeder trasversale
che raggiungeva il punto più lontano dalla centrale. La tensione distribuita
alle utenze private era a 160 Volt, 42 periodi. [4] Di tipo alternativo erano le macchine utilizzate in quegli anni nelle altre centrali termoelettriche cittadine della Edison, Santa Radegonda, Porta Volta e via G.B. Vico. Anche a Porta Volta furono in seguito installate delle turbine a vapore. [5] Nella sottostazione di via Gadio erano installati dieci gruppi convertitori, ciascuno costituito da un motore trifase a 8650 V accoppiato alle due estremità a due dinamo del tipo Brush, che producevano corrente continua a 48 V. Queste dinamo alimentavano ciascuna 4 serie di 40 lampade ad arco, usate per l'illuminazione del centro cittadino. [6]Il Comune riuscì così a superare lo smacco subito nel 1903-04 quando la Edison aveva abilmente “soffiato” al municipio un paio di vantaggiose concessioni idrauliche: a Robbiate sull’Adda, poco a monte di quella Centrale di Paderno con la quale dal 1898 aveva assicurato a Milano un notevole rifornimento di energia; e sul torrente Devero (affluente del Toce), in val d’Ossola. [7] Lo schema idraulico di questa Centrale, era molto simile (opera di presa sul fiume e canale di derivazione in galleria, vasca di carico e condotte forzate esterne) a quello della centrale Edison di Paderno, che evidentemente aveva fatto scuola e veniva replicato, come schema di successo, anche in altri impianti. [8] La Valtellina, che fino alla fine dell’800 era rimasta un luogo marginale nell’economia Lombarda, cominciò a prender coscienza del grande potenziale energetico dei suoi monti e delle sue acque dopo la realizzazione dei primi piccoli impianti di illuminazione elettrica pubblica, come la Centrale di Sondrio-Arquino, entrata in funzione nel 1893. La deputazione provinciale di Sondrio diede per questo incarico nel 1896 al Genio Civile di compiere una ricognizione sistematica dei corsi d’acqua della provincia, che servì a quantizzare in maniera sistematica il notevole potenziale energetico da essi rappresentato. Un primo episodio di sfruttamento più sistematico delle acque avvenne con la costruzione in bassa valle a Campovico (Morbegno) di una centrale per la alimentazione elettrica della ferrovia Colico-Sondrio, che fu la prima in Italia, ed una delle prime al mondo, ad essere elettrificata, con linea aerea, fra il 1899 e il dal 1902. Dopo la ricognizione del Genio Civile iniziarono a pervenire ai comuni della valle un notevole numero di richieste di concessioni per l’utilizzo delle acque, da vari soggetti industriali (Falk, Gruppo Edison, Società Idroelettrica Italiana), e dal Comune di Milano, che fu il primo, nel 1906, a dare un concreto avvio alle costruzioni. Ma il modo con cui il municipio milanese aveva ottenuto le concessioni scatenò inizialmente una notevole opposizione locale: esse infatti provennero da una cessione dei diritti di sfruttamento che l’ingegnere tiranese Valmiro Pinchetti aveva ottenuto pochi mesi prima dai comuni compresi fra Tirano e Bormio, per la produzione locale di energia. Il Comune di Milano giocò però abilmente la carta di promettere ai comuni un compenso in denaro ed in natura (una parte dell’energia prodotta) come contropartita dello sfruttamento delle acque, e ciò servi a superare rapidamente le opposizioni locali, consentendo di dare un pronto avvio ai lavori. E’ interessante sottolineare che l’offerta di compensazioni fatta da Milano superava i limiti della legislazione nazionale allora in vigore per le concessioni idrauliche, i cui proventi andavano solo allo Stato ed in nessuna misura agli enti locali. Questo accordo col municipio milanese divenne quindi il modello anche per le concessioni che furono accordate agli altri attori industriali che costruirono impianti idroelettrici in Valtellina, che furono tutti costretti a pagare dei diritti alle amministrazioni locali. (cfr Polatti, capitolo secondo) [9] La proprietà della centrale era della società STEI (Società Termoelettrica Italiana), un consorzio fra Montecatini, Edison, Falck , Aem e Agip, quest’ultimo non come utente, ma come fornitore del combustibile (metano). L’impianto era dotato di due gruppi da 65.000 kW, di costruzione americana, ed aveva un discreto rendimento, circa il 36%. [10] Il bacino di Cancano II alla sua massima estensione arrivava ai piedi della diga di San Giacomo; fu pertanto eliminata la piccola centrale che esisteva alla base di quest’ultima diga. Nel 2004, in occasione dell’inizio del programma triennale di manutenzione straordinaria della diga, è stato però dato inizio alla costruzione di una nuova centrale che sfrutterà nuovamente il dislivello fra le due dighe, producendo una potenza massima di 10.000 kW. [11] La perdita di questo insediamento sarebbe stata sostituita, agli inizi degli anni ’60, con la costruzione della colonia di Teglio e dell’albergo per i dipendenti di Bormio. [12] Nei piani di quegli anni era prevista anche al costruzione di un ulteriore sbarramento a monte, la diga di Pugnalto, alla quota di 1485 m. slm, che non fu però mai costruita. [13] Il calore di scarico di questa macchina poteva essere recuperato in una apposita caldaia ed utilizzato per preriscaldare l’acqua di alimento del gruppo a vapore; in tal modo si evitava di spillare vapore dalla turbina per compiere la stessa operazione, ed essa era quindi in grado di produrre una potenza maggiore, contribuendo a coprire i carichi di punta. [14] L’AEM si è inoltre trasformata in società per azioni dal 1 dicembre 1996 ed è stata quotata in borsa nel luglio del 1998, quando il comune ha messo in vendita il 49% delle azioni. [15] Nell’ambito della ristrutturazione di impianto è stato anche smantellato il primitivo gruppo turbogas da 24 MW, rivendendolo ad un produttore di energia straniero. [16] Non è stato invece mai realizzato per incertezze politiche e per opposizioni locali, il progetto, sviluppato negli anni ’80, di un impianto di teleriscaldamento nella zona sud-ovest di Milano, in via Gonin. Ultima modifica: martedì 1 maggio 2007 gianluca.lapini@fastwebnet.it |
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