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 Il Sestiere di Porta Romana

L’area del trionfo cristiano sulla via per Roma

di Maria Grazia Tolfo

 

Da città pagana a capitale cristiana

Dal 286 Milano è una delle quattro capitali dell’impero romano. La zona intorno a Porta Romana risentì poco degli interventi urbanistici atti ad adeguare la nostra città al suo nuovo rango di capitale, con Treviri, della parte occidentale dell’Impero. I cambiamenti si evidenziarono in maniera dirompente nell’assetto urbano non appena il cristianesimo diventò la religione di stato, soppiantando gli altri culti.

La città romana pagana si qualificava per la presenza di edifici pubblici, quali la basilica forense, il tempio alla triade capitolina, l’anfiteatro, le terme e poi, in epoca imperiale, il circo voluto accanto ai palazzi imperiali. L’affermazione del cristianesimo portò a uno svuotamento dell’importanza di questi edifici, identificati – giustamente - con la tradizione pagana. Anche se i cattolici non rappresentavano la maggioranza della cittadinanza, il boicottaggio di questi edifici pubblici decretò col tempo la loro chiusura.

Le arene caddero in disuso, perché i giochi circensi (combattimenti o corse) erano preceduti da sfilate di carri con simulacri di idoli; si facevano sacrifici propiziatori e di ringraziamento; c’era poi la polemica contro i collegi sacerdotali incaricati della gestione dei giochi[1]. Oltre alla natura “idolatrica” dei giochi, si condannava la promiscuità negli spalti fra gli spettatori, esecrata da tutti i padri cristiani, primo fra tutti S. Ambrogio. I giochi gladiatori comportavano spesso la morte dei combattenti, ripudiata dall’etica cristiana, che riconobbe nell’arena il palcoscenico per il supremo combattimento per la fede, il martirio.

Il circo poté sopravvivere come luogo consacrato all’apparizione pubblica dell’imperatore, la cui residenza era nei palazzi vicini, e per la corsa dei carri.
Nei teatri si davano rappresentazioni troppo spinte e sugli attori peserà per secoli la condanna della Chiesa.
Abolita infine - o fortemente disapprovata - la frequentazione dei bagni pubblici, le terme, sempre per motivi di pudicizia, e la partecipazione ai banchetti pubblici offerti dagli imperatori.

La città pagana si svuotava progressivamente del suo senso, lasciando solo il simulacro esteriore degli edifici come un guscio di lumaca abbandonato e occupato da un altro corpo.
I cristiani cattolici (o nicei, come si diceva allora) potevano incontrarsi nella basilica episcopale come ecclesia (assemblea dei fedeli per la messa o per altri riti collettivi) o nelle loro domus o nelle grandi basiliche cimiteriali per celebrare i martiri della fede o i beati.

Al calendario pagano con le sue festività si affiancò il calendario cristiano, con un tempo proprio scandito dalla domenica e i giorni dedicati al natale di santi e beati (martirologi).
Il centro della vita cristiana si trasferì dal foro all’area della basilica cattolica, con le due chiese – la vetus e la nova o maior, i due battisteri e la domus episcopi (vedi), nella quale si dirimevano anche questioni legali relative ai fedeli.

 

L’imperatore Graziano, pupillo del vescovo Ambrogio

Ritratto di GrazianoPer un certo periodo si era costituita un’alleanza formidabile tra il vescovo di Roma Damaso, il vescovo di Milano Ambrogio, che in Damaso aveva il suo modello e riferimento, e il giovane imperatore Graziano, che nel 381 aveva trasferito la sua corte da Treviri a Milano.

I più rivoluzionari provvedimenti legislativi presi da Graziano furono:
- Aprile 380: confisca di tutti i luoghi di culto pagani o eretici a favore dei nicei;
- Novembre 382: editti per la soppressione del titolo di pontefice massimo agli imperatori, abolizione del mantenimento delle vestali e degli altri collegi sacerdotali pagani, che subirono la confisca dei loro beni a favore dei nicei; rimozione dell’altare della Vittoria nel Senato romano.

(C’è da stupirsi che nel gennaio 383 Graziano fosse assassinato a Lione?)

Tra il 381 e la fine del 382 va collocata l’ideazione di una via trionfale cristiana, progettata per celebrare la vittoria schiacciante sugli ariani ottenuta dal vescovo Ambrogio nel Concilio di Aquileia del 381, da lui voluto e nel quale aveva ricoperto il ruolo di protagonista. In quegli anni si poteva veramente credere che l’eresia ariana fosse stata definitivamente estirpata e che per il paganesimo fosse solo questione di pochi mesi…

I decreti di Graziano per lo sradicamento del paganesimo ebbero immediate ripercussioni sui riti più antichi e fondanti l’impero. La cerimonia più imponente e importante per l’imperatore, il suo trionfo o il suo ritorno da una campagna militare nella sua capitale, non poteva più svolgersi nella tradizione pagana, anche perché non c’erano più sacerdoti a poterla continuare; si doveva progettare una via trionfale nel segno del cristianesimo!

Si scelse per la progettazione la via che conduceva a Roma e la si dotò di un arco trionfale, di portici e, soprattutto, al centro del percorso, di una basilica cristiana.

 

La via trionfale

L’arco

La via trionfale iniziava con un arco a tre fornici, impostato su un monumento funebre. Aveva il fornice centrale di circa 8 m, pari all’ampiezza della carreggiata, e in tutto arrivava ai 14,75 m di larghezza[2]. Per apprezzarne la maestosità aggiungiamo due note: l’arco di Costantino a Roma, il maggiore che sia rimasto, ha un fornice centrale di 6,50 m; l’arco trionfale milanese, che una pervicace tradizione vuole quadrifronte, resistette a tutte le demolizioni delle incursioni gote e bizantine e, sotto forma di rocca, verrà smantellata solo dalle truppe imperiali del Barbarossa.

L’arco fu attribuito nelle leggende medievali al console Marcello, il conquistatore della capitale insubrica, poi a Massimiano per deduzione logica, essendo l’imperatore alla quale era stata assegnata Milano come capitale.
Gli scavi della MM3 hanno permesso di stabilire finalmente che la via trionfale datava all’ultimo quarto del IV secolo e che quindi coincideva con il breve ma denso periodo della grande alleanza tra il giovane imperatore Graziano e il vescovo Ambrogio.

Ausonio, a Milano nel 379, nella descrizione encomiastica che fa di Milano tace su un complesso monumentale così prestigioso, che gli avrebbe permesso di tessere le lodi del committente. E’ un motivo in più per collocare la progettazione della via trionfale intorno al 381-382.

La via porticata e l’ergasterium

La strada venne rialzata di 70 cm per evitare che si allagasse, porticata e allargata a 8 m di piano stradale, che diventavano 9,30 m con i marciapiedi. Sotto i portici presero alloggio botteghe di venditori e di artigiani, che conferirono alla zona il nome di ergasterium (vedi). Gli scavi recenti hanno potuto anche stabilire che tipo di botteghe fossero alloggiate e hanno avanzato ipotesi su come potessero presentarsi, tutto sommato senza una grande differenza dalle solite vie porticate che conosciamo nelle nostre città.

La basilica trionfale

Al centro della via porticata, sull’area un tempo occupata dalla caserma dei gladiatori e prossima all’anfiteatro, Ambrogio eresse la basilica Apostolorum (vedi), che nel trionfo cristiano giocava un ruolo primario.

Dell’edificio preesistente esiste il perimetro di un muro conservato nei sotterranei della basilica. Il materiale archeologico reperito negli scavi di ripristino appartiene a diverse situazioni: usato come riempimento per la costruzione della basilica e proveniente dalla zona del foro; appartenente agli edifici dell’area su cui sorgerà la basilica; del sepolcreto successivo alla costruzione della basilica.

Il muro dell'edificio demolito per costruire la basilica è visibile sullo sfondo. I reperti si riferiscono al materiale rinvenuto negli scavi e utilizzato per l'edificazione di S. Nazaro

Dal trionfo pagano al trionfo cristiano

“Il trionfo era la più sfarzosa cerimonia dell’antichità, concessa dal senato al magistrato in possesso del comando supremo dell’esercito (imperium maius), che avesse riportato una vittoria cruenta su un nemico straniero in una campagna militare favorevole. Lo scopo del corteo trionfale era religioso: sciogliere i voti fatti all’inizio della spedizione al tempio di Giove Capitolino. Uno dei momenti culminanti era il passaggio del generale vincitore sotto la Porta Triumphalis, rito cui si assegnava un valore catartico. Poi si accentuò il carattere politico e spettacolare della pompa[3].”

Il guerriero romano – indoeuropeo in senso più ampio – poteva ottenere la vittoria solo se animato da furor, che se era indispensabile contro i nemici diventava invece pericoloso quando veniva rivolto all’interno della propria patria. Il trionfatore doveva quindi scaricarsi di questa sacra energia prima di fare ingresso in città. Le armi dovevano essere lasciate fuori dal pomerium perché erano le spolia di un sacro pericoloso, di un’energia marziana. Ecco perché c’era un tempio dedicato a Marte fuori dalle mura, dove lasciare le armi e fare un sacrificio solenne al dio della guerra, prima di sciogliere i voti al tempio di Giove capitolino. Va da sé che a Milano non è stato identificato il luogo dove sorgeva il tempio di Marte fuori dalle mura.

Già così abbiamo alcuni elementi su cui riflettere: lo scopo del corteo era religioso, i voti erano fatti al tempio capitolino e andavano sciolti al tempio di Marte, tutto ciò è in evidente rotta di collisione con il credo cristiano.

Comincia a delinearsi la portata della rivoluzione causata dalle soppressioni religiose volute da Graziano? Avendo privato di significato religioso i luoghi di culto pagani, ne conseguì un ripensamento di tutta la cerimonia e una netta differenziazione fra luoghi pagani e cristiani.

Immaginiamo come poteva svolgersi il nuovo trionfo: il trionfatore passava sotto l’arco trionfale, deponeva prima le armi e il furor nella basilica extramurana, che data la sua ubicazione sull’area dei giochi assolveva alla funzione che prima era svolta dal tempio di Marte. Appendeva quindi al baldacchino sopra l’altare come ex-voto[4] la corona d’oro della vittoria, a volte abbinata a una croce, e poi il corteo trionfale entrava disarmato in città e si dirigeva a sciogliere i voti nella basilica maior e forse anche nella basilica forense con valenza civica.

Simbologia della corona

Nelle raffigurazioni delle basiliche paleocristiane troviamo la presenza irrinunciabile della corona appesa sopra l’altare. E’ uno dei simboli sacri che appartiene all’inconscio collettivo. Pur migrando nei suoi significati, lo ritroviamo nelle stesse cerimonie militari con le corone deposte ai caduti, nelle corone di alloro natalizie con valore apotropaico, come corone da porre sul capo per designare la funzione regale, nel matrimonio bizantino che ripropone con buona approssimazione l’antico rito romano.

A noi interessa in questo contesto per comprendere appieno quale ruolo rivestiva la basilica Apostolorum sulla via trionfale cristiana.
Come fonte usiamo il trattato De corona di Tertulliano. “Il comandante, prima della purificazione delle truppe per la battaglia, si pone sul capo la corona che, a campagna conclusa, rappresenta il segno della vittoria (I, 1)”.
Questa corona andava lasciata nella basilica trionfale, come ringraziamento al dio cristiano che aveva concesso protezione e sostenuto il suo esercito. Sappiamo come veniva appesa sotto un baldacchino grazie ai mosaici di poco posteriori di Ravenna.

Mosaico ravennate con corona appesa

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[1] Tertulliano, Sugli spettacoli, VII, 2-3.

[2] La misura sembra avvicinarsi a quella modulare quadrata usata nella costruzione della basilica al centro della via , che è di 14,20 m.

[3] Pinelli, Feste e Trionfi, in Memorie dell’antico, I vol., p. 284, Einaudi.

[4] La corona appesa sopra gli altari aveva un carattere sacro e lo mantenne anche in età cristiana per tutto il medioevo. Veniva offerta dall’esercito romano il 3 gennaio alla basilica capitolina ed era appesa sulle porte degli edifici pubblici, persino dei postriboli. E’ rimasta nella nostra tradizione natalizia.

Ultima modifica: martedì 30 gennaio 2007

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