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Atlante milanese  

 

 Dai Celti alle basiliche romane

Sommario

I Celti in piazza Duomo: Il  primo santuario o medhelan  - Il santuario di Belisama-Minerva - La cittadella
L'area residenziale romana: L'Aqualonga
La prima fase del complesso episcopale: La basilica vetus - Nuovi modelli architettonici - Il battistero
La seconda fase: La basilica maior - La consacrazione ariana - La testimonianza di S. Ambrogio - Il battistero ariano poi ambrosiano
La domus episcopi: La domus presso la basilica vetus - L'edificio romano sottostante l'Arcivescovado
Bibliografia

 

I Celti in piazza Duomo

Il primo santuario
Il cerchio giallo evidenzia la posizione del medhelanon degli Insubri
La storia della piazza del Duomo non può andare disgiunta da quella del medhelan, “centro di perfezione” o “terra sacra di mezzo”, ossia del grande santuario celtico presumibilmente fondato nel primo quarto del VI sec. a.C., da cui derivò il nome latino di Mediolanum e quello odierno di Milano. 
Un medhelan era un bosco sacro che si trovava, più o meno casualmente, al centro di una serie di coordinate terrestri e astrali, che facevano di esso il luogo ideale per il raduno dei druidi e della popolazione in particolari momenti celebrativi.
Il nostro santuario, destinato alla confederazione insubre, doveva presentarsi come uno spiazzo erboso circondato da alberi che formavano un’ellisse con gli assi di m 443 x m 323 ed era situato intorno a piazza della Scala, lasciando piazza del Duomo a meridione. L'accesso al santuario era garantito da un sistema di sentieri il cui tracciato venne mantenuto anche in età romana e si trasmise fino al XIX secolo; tra i tracciati viari quello che correva immediatamente a meridione del santuario condizionò l'orientamento dei posteriori edifici romani e per conseguenza l'orientamento di quella che sarebbe diventata la nostra piazza del Duomo. Questo tracciato è identificabile con l’attuale corso Vittorio Emanuele, piazza Duomo, Cordusio e via Broletto, il cui andamento curvilineo è ancora evidente, nonostante lo stravolgimento dell'orientamento operato per la realizzazione della piazza in età sabauda.

Il santuario di Belisama-Minerva
Le costruzioni più antiche rinvenute nell'area di piazza Duomo risalgono a due secoli dopo la fondazione del santuario, quando con la seconda ondata di Galli, conosciuta come invasione guidata da Brenno nel 390 a.C., al medhelan si affiancò il centro della confederazione insubre, secondo la leggenda col nome di Alba. Nonostante manchino reperti per stabilire la qualità delle abitazioni, nell’area di Palazzo Reale e della retrostante via Rastrelli sono stati fatti ritrovamenti databili tra la fine del V sec. e gli inizi del IV sec. a.C. Gli scavi nell’angolo SW di Palazzo Reale hanno restituito a - 5 m di profondità una piccola fornace del V sec. a.C. oltre a tracce di abitazioni non meglio definite.
Da Polibio sappiamo che gli Insubri avevano un tempio dedicato a Minerva, corrispondente alla celtica Belisama o Brigida, la “Luminosa”, che custodiva le insegne dette “inamovibili”. La tradizione locale identifica questo tempio con una piccola cella a base quadrata e forse circondata da un portico rinvenuta da Mario Mirabella Roberti all’interno della cattedrale estiva, con delle misure che si aggirano sui m 17 di lato. 

La cittadella
Il medhelan continuò a sussistere accanto ad Alba e venne più tardi trasformato in cittadella, ossia circondato da un terrapieno rinforzato da palizzate, affinché la popolazione potesse trovarvi riparo nelle emergenze o vi si radunasse in occasione di feste o cerimonie. Aveva pur sempre carattere sacro, finché dall'imperatore Augusto in poi, dopo il divieto dei culti peculiari dei Celti, tale funzione venne gradualmente meno. Nell'antico medhelan si poté allora costruire (sono state trovate tracce di abitazione intorno a S. Fedele), ma avanzava ancora ampio spazio per i raduni, per cui rimase nella memoria collettiva a partire dal medioevo come arengo; il vocabolo pare essere di origine germanica e derivare da "ring" ossia "cerchio", forse per l'abitudine di disporsi intorno a chi parlava, ma nei documenti si chiama anche arenario, chiaramente per la presenza di terra battuta. 

 

L'area residenziale romana 

Rispetto al perimetro delle prime mura urbiche (inizio I sec. d.C.), la zona di piazza Duomo si pone all’estremo margine orientale, con la limitazione naturale a sud di un laghetto, le cui banchine di attracco sono state rinvenute in via Larga. Non è mai stata trovata traccia di muro urbico a est, poiché doveva forse essere considerata una barriera sufficiente il corso del Seveso che s’immetteva nel laghetto.
L’analisi dei tracciati viari sembrerebbe dimostrare che questa zona della città fosse poco costruita fino all’età augustea, quando l'edificio quadrato di m 17 di lato (interpretato come tempio di Belisama-Minerva) venne circondato da abitazioni civili di un certo pregio, con pareti intonacate e affrescate. 
A oriente dell'edificio quadrato si trovava una casa privata dotata di riscaldamento, come dimostrano le suspensurae ritrovate negli ultimi scavi della piazza; immediatamente a sud si ergeva una costruzione imponente, a giudicare dalle fondazioni massicce, circondata almeno su due lati da un ambulatorio o da un portico; doveva trattarsi di un edificio pubblico risalente al 120 d.C. circa e demolito nel III secolo. Sulla stessa area venne costruita una casa modesta, rimpiazzata a sua volta nel IV secolo da un edificio più grandioso porticato e dotato di una vasca, alimentata dal condotto dell'Aqualonga.
Più a sud ancora, verso gli attuali portici meridionali, gli edifici del IV secolo dimostrano un certo rinnovamento edilizio, con la costruzione di edifici in muratura all’esterno e pareti interne a cannicciata. Questo rinnovamento corrisponde all’elevazione di Milano a capitale (dopo il 286) e al periodo in cui gli imperatori risiedevano in città. Le case milanesi, data la povertà di materiali edilizi, hanno sempre privilegiato la cannicciata o il tramezzo di legno per le pareti divisorie e realizzato i pavimenti con un battuto di limo giallo naturale.

 

La prima fase del complesso episcopale

La Chiesa cattolica milanese ebbe un primo nucleo di fedeli forse a partire dalla fine del II secolo, ma è probabile che il vescovo a capo di questa esigua comunità  fosse lo stesso di Roma. Bisognò attendere la metà del III secolo perché Milano avesse, in comune con Brescia, un vescovo nella persona di Anatelone, di origine greco-orientale. Il cristianesimo era un culto orientale e la presenza di orientali a Milano era piuttosto rarefatta, al contrario dell'Italia meridionale e della stessa Roma. I proto-vescovi milanesi vivevano a casa loro e celebravano nelle case dei fedeli più abbienti che disponevano di cappelle private. Non ci furono mai persecuzioni a Milano e tanto meno martiri, mancanza di cui si lamentava S. Ambrogio, proprio in conseguenza del numero limitato di fedeli.
Nel 303 ci fu ancora un editto emesso da Galerio il 23 febbraio, Festa dei Terminalia, per la chiusura delle chiese cristiane: i testi sacri vennero bruciati e i cristiani di ceto abbiente furono sottoposti a infamia. I cristiani poterono riavere i loro beni dopo l’editto di tolleranza rilasciato nel 311 dallo stesso Galerio a Nicomedia e confermato da Costantino nel 313 a Milano, che nello stesso anno concesse a tutto il clero cattolico l’esenzione dai munera civilia.

La basilica vetus
Raggiunta la pace, intorno al 314 il vescovo Mirocle, su richiesta dell’imperatore Costantino, costruì coi fondi del fisco una cattedrale doppia con battistero incluso. La basilica cristiana si trovava quasi a ridosso del confine orientale della città, in una posizione che dal IV secolo non era più marginale, dopo che dal 286 era stata aggiunta ad oriente un'area estesa - la "Addizione erculea"-, dotata anche di terme. Comunque, anche nelle altre città che ricevettero la basilica doppia in questo periodo, l’ubicazione è sempre vicina alle mura per motivi di sicurezza, come del resto per tutti gli edifici pubblici dove ci si aspettava un forte concorso di pubblico.
La pianta della basilica era simile a quella di Aquileia, della quale conosciamo le esatte misure: aula sud m 37,20 x 20,20 m; aula intermedia m 16,67 x 28,80 m; aula nord m 37,40 x 17,20. 
La basilica mediolanense venne costruita con orientamento est-ovest; le due aule maggiori - senza abside - erano separate da un'aula intermedia in cui era inserito il battistero ed erano coperte verosimilmente da un soffitto piano affrescato sorretto da colonne; il pavimento doveva essere abbastanza semplice, come nelle restanti case milanesi. Paolino da Nola afferma che la disposizione gemina col battistero in mezzo era “conforme alle leggi sante”, quindi la cattedrale doppia era una regola e la separazione dei locali aveva uno scopo funzionale a noi parzialmente ignoto.
L’aula sud della vetus mediolanense era leggermente la più piccola delle due ed era preceduta da un atrio per i  catecumenpianta della basilica doppia di Aquileia e della nuovai che lasciavano la messa all'offertorio, per i non  credenti e i postulanti. E' quella che Ambrogio chiama la basilica minor, ossia la chiesa episcopale, dove lui salmodiava cum fratribus. Il vescovo vi si recava quattro volte al giorno: per le preghiere finali delle laudi, a Sesta, a Nona, per gli anni e i salmi del Lucernario.
L’aula nord era più ampia perché serviva alla celebrazione eucaristica domenicale e festiva. E' chiamata semplicemente basilica vetus.
Accanto al battistero sappiamo che esisteva anche uno spazio per gli esorcismi e il consignatorium ossia la sala riservata alla cresima, ma è fuori dubbio che questi spazi servissero anche per altri momenti della vita ecclesiastica. L'imperatore Costantino, di passaggio a Milano dal 7 settembre al 12 ottobre 318, riconobbe alla giurisdizione dei vescovi la stessa validità attribuita a quella della magistratura civile. Si può quindi supporre che un’aula della basilica, forse nello spazio intermedio, servisse per il disbrigo delle questioni di diritto ecclesiastico.
L'horreum di Aquileia, identico a quello di Milano e con le stesse mura fortificate del complesso episcopale

L’insieme doveva apparire all’esterno come un blocco massiccio, forato da piccole e alte finestre, molto simile all’horreum, il granaio pubblico, costruito sulla strada per il settentrione (via Broletto). E’ importante notare fin d’ora questa disposizione alla difesa del gruppo episcopale, che si renderà più evidente nei secoli successivi con la grande recinzione.

Il vescovo Mirocle non vide la cattedrale terminata, perché morì nel 316, lasciando la consacrazione al successore Materno.

 

Nuovi modelli architettonici
Per volontà dell’imperatore Costantino il rituale legato alla messa fu modificato sul modello del cerimoniale imperiale. All’inizio della funzione il vescovo e il clero facevano il loro ingresso in chiesa in processione; alla fine della messa dei catecumeni, all’offertorio, toccava a tutta la comunità dei fedeli sfilare, divisi per sesso, per deporre le offerte su due tavoli posti ai lati dell’altare, che da semplice mensa mobile si era trasformato in prezioso arredo stabile. La nuova fisionomia ieratica della Chiesa esigeva quindi un’architettura particolare, di dimensioni longitudinali, idonea allo svolgimento di questo rituale e quindi ben diversa dalle aule utilizzate fino a quel momento per le funzioni religiose. Inoltre a partire dal 320 la domenica era divenuta giorno di  festa obbligatoria, con la celebrazione della messa solenne e con un richiamo maggiore di fedeli, per lo più solo catecumeni.
Nella basilica vetus si tenne un concilio alla fine del 345 alla presenza dell’imperatore Costante e del vescovo Protaso. Fu forse l’ultimo concilio svoltosi nella basilica vetus, perché pochi anni dopo era già pronta la nuova basilica, detta maior.
Notiamo per inciso che le basiliche cristiane in questo periodo non sono dedicate né al S. Salvatore, né ai santi, ma si chiamano semplicemente "basilica ecclesia": a parte le cappelle domestiche, non esistevano altri edifici per il culto collettivo e quindi non c'era necessità di differenziarle con titoli.

Il battistero
Il battistero incluso nella basilica vetus (poi di S. Stefano) sotto la sacrestia nord del Duomo
Nell’aula che separava le due parti della cattedrale si trovava l'ampia sala con il battistero,  misurante m 17 x  m 18 e con ingresso a nord. La vasca battesimale aveva una forma ottagonale irregolare, coi lati esterni che misuravano m 2 e un diametro massimo interno di ca. m 3,60; aveva due scalini per la discesa nel fonte e il rivestimento in marmo. Il battesimo per gli adulti, dopo tre anni di istruzione, avveniva per immersione collettiva.
Davanti alla sala col  battistero si trovava di solito un portico per celebrare l' esorcismo precedente il battesimo; accanto vi era una piccola stanza, detta consignatorium, per  la successiva unzione col crisma (solo verso il Mille si iniziò a conferire la cresima in chiesa).
Il luogo della catechesi variava a seconda del grado: i competentes, arrivati al battesimo, erano istruiti nella basilica, gli altri si riunivano nella vicina domus episcopi. Si battezzava alla vigilia di Pasqua; non erano molti i battezzandi perché ricevere il sacramento che includeva anche la cresima e la comunione significava per lo più votarsi alla carriera religiosa, sia per i sacerdoti, sia per le vergini velate o le vedove consacrate. I fedeli usavano battezzarsi in punto di morte.
In questo battistero ricevette il suo battesimo e gli altri sacramenti Aurelio Ambrogio, dopo essere stato eletto vescovo di Milano nel 374.


La seconda fase  

La basilica maior
La pianta della basilica maior poi di S. Tecla. All'interno è riconoscibile il supposto tempio quadrato celtico
Nel 342 l’imperatore Costante aveva ricevuto a Milano il vescovo Atanasio di Alessandria, che gli aveva esposto la necessità di convocare un concilio ecumenico per condannare l’arianesimo. Il concilio si era tenuto nel 345 nella vetus, ma l’imperatore aveva ritenuto necessaria la costruzione di una nuova e più adeguata basilica, alla quale dette la sua sovvenzione.
La basilica venne costruita inglobando il presunto tempio di Minerva-Belisama, del quale resterà una pervicace memoria locale. E' fuori discussione che in quel periodo il tempio fosse in disuso e che l'area fosse data in concessione alla Chiesa cattolica direttamente dall'imperatore. 
Il modello per la nuova basilica fu ricalcato su quello del grandioso S. Giovanni in Laterano. La basilica milanese aveva una pianta a cinque navate, con transetto inscritto anch’esso a cinque navate e  abside semicircolare, per una lunghezza totale di m 80,80 e per una larghezza totale di m 45,30. Le navate laterali misuravano m 7, quella centrale m 17; i muri erano realizzati in mattoni poggianti su fondazioni in ciottoli di fiume affogati nella malta ed avevano uno spessore di m 1,20 (anche quello di chiusura tra il transetto e le navate minori). Il pavimento era in cocciopesto nella navata e in lastre di marmo grigio nel presbiterio, sopraelevato di cm 27.
Le cave imperiali di Chemtou in Tunisia come si presentano oggi La maestosità della basilica era evidenziata dal cromatismo, ricalcato anche questo da S. Giovanni in Laterano: breccia rossa africana, proveniente dalla cava imperiale numidica di Simitthu (Chemtou in Tunisia) per le colonne della navata maggiore e marmo verde antico per le colonne sulle navate minori,  poggianti su plinti di marmo bianco d’Ossola. 
Il pozzetto al centro della navata della basilica maiorAl centro della navata, in corrispondenza con un lato del presunto tempio gallo-romano, si trovava un pozzetto.
Il transetto inscritto sottolineava il diverso utilizzo delle due parti della basilica: laico per la navata, che poteva ospitare pellegrini, rifugiati, forestieri che vi potevano passare la notte, oppure poteva servire per il disbrigo delle faccende curiali; esclusivamente religioso per il transetto, in modo da creare una chiesa nella chiesa. Uno degli scopi perseguiti nella costruzione delle nuove grandi basiliche fu di offrire ambienti adeguati alle sempre più importanti attività extra-liturgiche, in quanto la legislazione promossa da Costantino e dai suoi successori prevedeva molti compiti amministrativi a carico della Chiesa.
Davanti alla facciata vi era un esonartece o portico profondo solo 14 m, perché la fitta rete di costruzioni, anche se modeste, che circondava la basilica non permise la costruzione di un grandioso quadriportico.  Questo portico doveva avere una sorta di terrazza, perché il biografo e segretario di S. Ambrogio, Paolino, narra di “un tale Innocenzo che era salito di notte sul tetto della chiesa per aizzare gli odi della gente contro Ambrogio, compiendo sacrifici”, atto impossibile a compiersi su un tetto spiovente coperto con tegole.

I mosaici della basilica maior

La consacrazione ariana
L’inaugurazione avvenne nel gennaio del 355 con un grande concilio in difesa dell’arianesimo, organizzato dal prefetto Flavio Tauro. Fu un inizio infelice, perché di fronte al tumultuare del popolo nella grande navata, l’assemblea dovette trasferirsi nel palatium. Il vescovo cattolico Dionigi fu condannato all’esilio e venne sostituito con il filo-ariano Aussenzio, un vescovo della Cappadocia, che resterà in carica fino al 374. Aussenzio proveniva come formazione dalla scuola di Origene di Cesarea, ignorava il latino e questa estraneità gli suscitò l’ostilità dei milanesi; inoltre sosteneva che Maria, dopo Gesù, aveva partorito a Giuseppe altri figli, negandone quindi la perenne verginità. Il suo insediamento avvenne solo con scorta armata. Atanasio, il vescovo di Alessandria in esilio e scomunicato nuovamente in questo concilio, lo definì “faccendiere”, ossia uomo di regime[1]
La consacrazione con il trionfo ariano segnò il destino della basilica anche durante l’episcopato di Ambrogio, successo ad Aussenzio: la grande basilica avrebbe potuto godere di un rilancio cattolico grazie alla forte personalità e al prestigio del vescovo, se non fosse subentrata a Milano nuovamente la corte ariana guidata dall’imperatrice Giustina.
Dal 378, appena quattro anni dopo l’elezione di Ambrogio, la corte di Sirmio si era infatti spostata a Milano per sottrarsi alla pressione dei Goti e solo il trasferimento in pianta stabile dell’imperatore Graziano a Milano nel 381 e la sua alleanza con Ambrogio poterono sbilanciare brevemente la situazione a favore dei cattolici. Dopo l’assassinio del giovane imperatore, l’ago tornò a spostarsi a favore di Giustina  e a partire dal 384 Ambrogio dovette lottare non poco per riavere il controllo completo sulla grande basilica, contestatagli dal rivale vescovo ariano Aussenzio II,  fino agli scontri radicali di Pasqua del 386.

La testimonianza di S. Ambrogio
Dalla descrizione degli avvenimenti di quella settimana di passione che Ambrogio fa alla sorella Marcellina riusciamo a vedere il grande complesso cattedrale: martedì 31 marzo 386 Ambrogio è asserragliato nella basilica vetus e poi va a casa a dormire, ossia nella sua domus collocata sul lato meridionale della basilica vetus (unita?). Prima dell’alba di mercoledì 1° aprile i soldati circondano la vetus e Ambrogio è svegliato dal clamore: “Dai lamenti del popolo compresi che la basilica era stata circondata”. Anche la basilica nuova era piena di gente, inclusi i soldati. Comunque vinse Ambrogio e Giustina festeggiò la Pasqua nella più permissiva Aquileia.
Nella basilica si visse un altro momento carico di pathos e di tensione nel Natale del 390, quando Ambrogio impose all’imperatore Teodosio la penitenza prima di essere riammesso alla comunione dei fedeli dopo la strage di Salonicco, avvenuta nell’agosto di quell’anno. L’imperatore, privo delle insegne imperiali, entrò in chiesa tra due ali di fedeli e, piangendo, si gettò più volte in ginocchio, chiedendo perdono a Dio[2].
La vigilia di Pasqua dell’anno 397, giorno di battesimo, morì il vescovo Ambrogio e la sua salma venne esposta nella basilica maior prima di venir tumulata nella basilica Ambrosiana. I neofiti che avevano appena ricevuto il battesimo nel nuovo battistero e si recavano in processione nella basilica per ricevere la prima comunione raccontarono di aver visto il vescovo seduto sulla cattedra episcopale e si dissero stupiti nel sapere che in realtà era già morto.

Il battistero ariano e poi ambrosiano
Pur esistendo già il battistero della basilica vetus, qualche anno dopo il 370 venne progettata la costruzione di una basilica baptisteri a pianta circolare accanto alla basilica nuova, già terminata[3]. L’ideatore fu probabilmente il vescovo ariano Aussenzio: perché costruì un battistero quando ne esisteva già uno nella basilica vetus? Bisogna forse desumere che la basilica vetus rimase legata al culto cattolico?
Per far spazio al nuovo battistero si procedette alla demolizione di edifici civili, ma ugualmente lo spazio ricavato rimase esiguo. Oltre a case comuni venne abbattuto anche un imponente edificio quadrangolare dotato di una vasca e circondato da alberi.
Il vescovo morì nel 374 lasciando il lavoro incompiuto, ma la successione di Ambrogio vanificò il progetto di un battistero ariano. Ambrogio modificò sostanzialmente la costruzione, perché  trasformò l’edificio circolare in un martyrion ottagono, simile ai mausolei costruiti in quegli anni a Milano, ossia quelli di S. Gregorio in S. Vittore al corpo e di S. Aquilino in S. Lorenzo, ottenendo così il significato simbolico di morte alla vecchia vita e resurrezione a quella eterna attraverso l’acqua salvifica del battesimo.
Così come avvenne per la basilica Apostolorum, costruita da Ambrogio intorno al 382, anche il battistero fu edificato col massimo del risparmio, utilizzando materiali ed elementi architettonici di reimpiego insieme ai laterizi nuovi. In base agli scarsi elementi lapidei rinvenuti, sembra che le colonne interne avessero capitelli corinzi e reggessero una pergula.
Il battistero aveva i lati all’esterno di m 7,40, con quattro ingressi; nello spessore della muratura (m 2,80) si erano ricavate otto nicchie alternatamente rettangolari e semicircolari, ampie m 3,50; in ogni angolo tra le nicchie erano collocate otto colonne del diametro di cm 45. Al centro del vano era la vasca, parimenti ottagonale, larga m 5,50 e profonda cm 80, con gradini in mattoni per la discesa e rivestimento in marmo bianco: il battezzando entrava nella vasca da oriente, attraverso due gradini di accesso, e si portava verso il lato opposto, dove i resti di due incassi, previsti nel pavimento in opus sectile, fanno pensare all’esistenza di transenne o di un dispositivo liturgico funzionale al rito e indicante l’ubicazione del vescovo durante la cerimonia; tale dispositivo si trova in corrispondenza dell’ingresso occidentale[4].
La decorazione originaria ambrosiana è andata persa, ma dagli scarsi frammenti sembra che il pavimento fosse in cocciopesto come nella vicina basilica.
Uno fra i primi a utilizzare il nuovo battistero fu S. Agostino, battezzato nel 387 da Ambrogio. 
Accanto al battistero venne costituito un sacello quadrato e porticato che doveva servire per gli esorcismi precedenti il battesimo e per la cresima dopo il battesimo. Resta da comprendere come venissero utilizzati gli spazi analoghi nella vetus dopo che il cattolicesimo si era imposto definitivamente a scapito del culto ariano.


La domus episcopi

La domus presso la basilica vetus
Ambrogio cita la basilica vetus in connessione con la sua domus. L’area intorno al battistero nella vetus (poi noto come battistero di S. Stefano) rimase domus episcopalis fino al XIV secolo, ma le continue distruzioni e ricostruzioni in quest'area rendono ormai impossibile una precisa collocazione della primitiva domus episcopalis. Secondo Paolino, biografo di Ambrogio, si trattava di una casa con un piano superiore, dotata di  un lungo portico. I resti di un edificio con rivestimenti a mosaico, collegabile alla domus episcopalis, erano emersi nel 1840 negli scavi effettuati nell'area del Camposanto dietro l'abside del Duomo. I muri in mattoni avevano un andamento N-S, come la basilica vetus[5]. E' però difficile suppore che questo edificio si estendesse fino ad includere l'edificio ritrovato sotto l'attuale Arcivescovado.
Si sa inoltre che la residenza del vescovo si trovava vicino al viridarium, che troviamo descritto da Benzo Alessandrino:

"quasi paradisus diversis insitum arboribus amoenum erat iuxta moenia civitatis, ubi consules et senatores sua corpora recreabant, in quo fructum et florum immensa diversitas aviumqaue inclusarum (...) Hic loco hodie vulgo Verzarium dicitur"[6].

Nella domus non solo viveva il vescovo, ma probabilmente trovavano temporaneo alloggio i religiosi di passaggio e gli uffici di rappresentanza, un po’ come oggi l’arcivescovado. Nel concilio di Cartagine del 401 i vescovi nordafricani si rivolsero al vescovo di Milano Venerio per avere in prestito preti, il che lascia intendere che a Milano vi fosse abbondanza di clero. Venerio inviò il diacono Paolino, futuro biografo di Ambrogio, per curare l’amministrazione dei beni della Chiesa milanese, ereditati dal vescovo Ambrogio e dai suoi fratelli.

Quando nel 402 la corte si trasferì a Ravenna, a Milano restò la domus episcopi a continuare la gloria passata.

L'edificio romano sottostante l'attuale Arcivescovado
Questa prima domus episcopi non sembra coincidere con quella che l'arcivescovo Giovanni Visconti costruì nel XIV secolo (vedi la pagina dell' Arcivescovado). Gli scavi effettuati recentemente sotto l’Arcivescovado hanno portato alla luce una successione di interventi edilizi sulla stessa area. La prima fase comprende resti di una domus di età augustea orientata E-O, con pavimento a mosaico bianco e pareti con intonaco dipinto. Sulla demolizione di questa domus si costruì un edificio nel IV secolo che utilizzò anche grossi rocchi di colonne scanalate e intonacate, provenienti da un edificio di età repubblicana in disuso. La nuova costruzione, che disponeva di un ambiente absidato, aveva il pavimento in lastre di marmo grigio come il presbiterio della basilica maior, della quale risulta contemporanea[7]. Non sappiamo molto di più circa l’esatta ubicazione dell’edificio, né sulla disposizione delle stanze, ma - destinazione a parte - si può immaginare che non differisse molto da una signorile casa del IV secolo.

[1] Solo recentemente si è arrivati ad ammettere un uso ariano della basilica nova o maior. Vedi F. Monfrin, A propose de Milano chrétien in "Cahiers archéologiques" 39, 1991, pp. 7-46.
[2] Ambrogio, Epistola 51.
[3] Per la datazione fa testo una moneta di Valente (364-375) rinvenuta nei riporti per la posa dei plinti.
[4] Silvia Lusuardi Siena, Il battistero di S. Giovanni alle Fonti, in Milano capitale dell’impero romano, Catalogo della mostra, Silvana Ed., Milano 1990, p. 109.
[5] A. Nava, Memorie e documenti storici intorno all'origine, alle vicende e ai riti del Duomo di Milano, Milano 1854.
[6] Benzo Alessandrino, De Mediolano civitate opuscolum, Bull. Ist. Stor. Ital., IX, 1890, p. 27.
[7] S. Lusuardi Siena e altri, La città e la sua memoria, Electa, Milano 1997, p. 68.

Bibliografia

Ferrari da Passano C. - Rosa A.A., I battisteri paleocristiani del Duomo di Milano, NED Milano 1996
Jorio S., Milano. Palazzo Reale. Scavo nell'angolo SW del cortile principale, in NSAL 1987, pp. 132-137
Kinney Dale, Le chiese paleocristiane di Mediolanum, in Millennio ambrosiano. Milano, una capitale da Ambrogio ai Carolingi, Electa, Milano 1987, pp. 48-79
La città e la sua memoria. Milano e la tradizione di S. Ambrogio, Electa, Milano 1997
Lenox-Conyngham, The topography of the basilica conflict of a.D. 385/6 in Milan, in "Historia", XXXI, 1982, pp. 353-363
Lusuardi Siena Silvia, Il complesso episcopale, in Milano capitale dell'impero romano, Milano 1990, pp. 106-110
Mirabella Roberti Mario, La cattedrale antica di Milano e il suo battistero, in "Arte lombarda" 1, (1963), pp. 77-98
Mirabella Roberti Mario, Milano romana, Rusconi, Milano 1984
Perring D., Lo scavo in piazza Duomo: età romana e alto medioevo, in Scavi MM3, vol. I, pp. 237-261
Piva Paolo, La cattedrale doppia. Una tipologia architettonica e liturgica del Medioevo, Pàtron Editore, Bologna 1990
Piva Paolo, Le cattedrali lombarde. Ricerche sulle "cattedrali doppie" da sant'Ambrogio all'età romanica, Quistello 1990

Ultimo aggiornamento: mercoledì 28 agosto 2002 
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