sei in La città >> Milano tecnica >> la rete di raccolta dei rifiuti a Milano

 

La rete di raccolta dei rifiuti a Milano

di Gian Luca Lapini

 

Le reti tecnologiche delle quali si racconta la storia in MILANO TECNICA, sono tutte caratterizzate, in un modo o nell’altro, dalla realizzazione di collegamenti fisici fra i vari punti della città, proprio come i fili di una rete collegano i vari nodi.

C’è un sistema tecnologico, molto importante che si discosta un po’ da questo schema, e sarebbe forse, a rigore, inesatto definirlo una rete. Peraltro si tratta di un servizio, quello della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, che da un lato ha le caratteristiche di diffusione capillare che caratterizzano le altre reti di cui stiamo parlando, dall’altro ha assunto un’importanza fondamentale, in un mondo che fornendo grandi quantità di beni e di energia produce inevitabilmente anche una grande quantità di rifiuti.

Il problema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, quelli che un tempo si era soliti chiamare “spazzatura” o “immondizia”, e che oggi si denominano con la sigla RSU, “rifiuti solidi urbani”, è antico quanto quello delle acque reflue, ma è aumentato enormemente di importanza, in tempi relativamente recenti, per l’incremento quantitativo, per i problemi di recupero delle risorse, per la novità e varietà dei materiali da distruggere e delle tecniche di smaltimento, per le dimensioni della progettazione e della gestione. Una moderna rete di raccolta dei rifiuti solidi costituisce ormai non solo un servizio di pubblica utilità, ma anche, e sempre più, di cospicuo rilievo economico e di elevata tecnologia.

E’ noto che il consumo produce una degradazione, non l’annichilimento della materia consumata: se da un lato sembra perciò inevitabile che una “società dei consumi” produca quantità straordinarie di materiale di scarto dall’altro è ormai chiara l’urgenza di cambiamento nella gestione delle risorse che limiti la dissipazione di materie prime e diminuisca gli sprechi favorendo il più possibile il riutilizzo dei materiali. Ma non è “semplice” sostituire al solo trasporto dei rifiuti una gestione complessa, consistente nella raccolta e nello smaltimento differenziati, nonché valorizzare i materiali recuperati, in modo razionale ed economicamente conveniente; è un cambiamento di mentalità che impone dei salti notevoli di qualità rispetto ad un passato, è inutile negarlo, nel quale la raccolta dei rifiuti era sinonimo di lavoro di bassa qualità, od addirittura disprezzabile, e del quale non si parlava molto[1].

Comunque, anche se oggi ci possiamo giustamente lamentare di tante offese arrecate all’ambiente, dell’inquinamento, dell’incombere delle discariche o degli inceneritori (che nessuno sembra volere, come se la spazzatura, che è sempre spazzatura degli “altri” e mai propria, potesse dissolversi da sé), o dei cumuli disordinati di rottami alle porte della città, il passato non è certo quell’eden della pulizia che molti nostalgici immaginano. La lettura delle leggi, decreti, “grida”, dei governi (buoni o cattivi) dei tempi che furono, lascia supporre, come vedremo, che rifiuti saranno pur stati biodegradabili, ma erano pur sempre tanti, per le città di un tempo e per i loro rudimentali mezzi di smaltimento.

E se anche ci possiamo a ragione lamentare che oggi le nostre strade puzzano per gli scarichi dei troppi veicoli in circolazione, i “profumi” che dovevano annusare i nostri antenati non erano certo migliori, e dovevano diventare particolarmente insopportabili nella stagione calda, quando non a caso i più ricchi se ne partivano per le loro ville di campagna, per un’abitudine divenuta poi comune anche per altre ragioni, ma che in primis derivava da forti motivazioni “olfattive”. Non a caso Giuseppe Parini nel 1759, in una sua famosa ode, La salubrità dell’aria, fra l’altro scriveva:

...Ma al pie’ de’ gran palagi
là il fimo alto fermenta;
e di sali malvagi
ammorba l’aria lenta,
che a stagnar si rimase
tra le sublimi case…

 

La pulizia delle strade cittadine

La preoccupazione per la pulizia delle città nacque probabilmente (od almeno è documentata) coi Greci: furono loro, infatti, a stabilire per primi delle regole per un servizio pubblico di pulizia urbana. Così, nella “Costituzione degli Ateniesi” venivano fissati i doveri di dieci sorveglianti della città incaricati, fra le altre cose, anche di verificare il lavoro degli spazzini. Questi addetti alla rimozione dei rifiuti (compresi i morti trovati per strada) erano probabilmente schiavi e si incaricavano di tutte le opere di manutenzione di una città, che al suo massimo fulgore si stima contasse ben 250.000 abitanti. C’erano anche altri incaricati, eletti come i primi per sorteggio, che dovevano in particolare sovrintendere alla pulizia delle vie.

Stranamente dei Romani, che ci hanno lasciato una massa sterminata di documenti inerenti le grandi opere pubbliche, conosciamo poco in merito alle attività quotidiane di pulizia, che pure dovevano essere enormi, visto che si stima che la Roma imperiale avesse oltre un milione di abitanti.

Per quanto riguarda i rifiuti più propriamente domestici sembra che prevalesse l’abitudine di buttarli semplicemente nelle strade, senza badare su chi potevano finire, come ricorda il poeta satirico Giovenale cui capitò di ricevere in testa il contenuto di un vaso da notte. In città mancò sempre un sistema di raccolta pubblica dei rifiuti ed il servizio era affidato a privati, in primis ai proprietari delle case che dovevano pensare a pulire anche il circondario, per non incorrere nelle sanzioni degli “ediles”, i funzionari che erano stati preposti alla cura della città. In epoca imperiale vi erano quattro “curatores viarum”, con funzioni di rango inferiore agli edili e incaricati di manutenzione e pulizia, due si occupavano della città interna e due della periferia. Nel Digesto, la raccolta di leggi che resse il mondo romano, era scritto anche che “...nulla dovesse tenersi esposto dinanzi alle officine e finalmente non si permettesse che fossero gettate nelle strade sterco, cadaveri o pelli d’animali”. Divieto questo che sarà ripreso negli statuti medioevali e che la dice lunga sulla qualità della pulizia delle strade e della città[2].

Con la calata dei barbari, e per diversi secoli, la situazione in tutto Europa fu assolutamente disastrosa, mancando qualsiasi interesse verso la pulizia o anche solo per l’igiene urbana; ma contemporaneamente diminuì di molto la grandezza degli agglomerati urbani, e ciò in qualche modo contribuì ad un’attenuazione dei problemi igienici, che si ripresentarono però con serietà quando lo sviluppo medioevale ripopolò le città.

Verso la fine del Medioevo cominciò a farsi strada l’idea che una certa igiene poteva essere utile e necessaria per ridurre gli effetti delle epidemie di peste e colera che allora spopolavano intere nazioni. D’altra parte le città cominciavano a crescere, in misura tale da rendere necessario mettere ordine o almeno emettere dei regolamenti per un regolare servizio di pulizia.

Nelle città del nord Europa, per la cui costruzione prevaleva l’uso del legno, la pulizia dei camini era molto curata, ed esistevano corpi ben addestrati di addetti a questa funzione, la cui attività era socialmente apprezzata. Non altrettanto può dirsi di coloro che si occupavano in genere di raccolta dei rifiuti. Forse non sempre né dappertutto, ma per lo meno in alcune parti d’Europa, come la Germania ed in generale l’Est Europeo, alcuni mestieri erano ritenuti “infamanti” di fronte alla legge, e tale infamia si estendeva a chi li praticava e ai loro discendenti[3]: fra questi gli addetti alla pulizia delle latrine, e coloro che rimuovevano i cadaveri e le carogne di animali.

Bisogna comunque tener ben presente che per le città medioevali, anche le più grandi, le differenze fra città e “contado” erano piuttosto labili: entro le mura v’erano estensioni di terreno coltivato, si tenevano animali d’ogni tipo, maiali e capre comprese, e questi dividevano con gli uomini le medesime, anguste abitazioni[4].

Grida sulle navazze del 1637Dai primi esempi di quelli che possiamo definire “regolamenti urbani”, in fatto di igiene pubblica, che risalgono alla fine del Medioevo, si può avere un’idea di quale fossero i problemi di quel tempo: vi si parla di animali nelle strade e nelle case, di bachi da seta allevati nelle abitazioni, di bestie macellate e scorticate nelle vie, di carogne gettate nei corsi d’acqua cittadini; quindi, non è azzardato supporre che, nei secoli precedenti, le cose andassero così, se non peggio.

Lo storico Philippe Contamine afferma che:

               “...nel secolo XV, più che non nel XIV, si promulgarono ordinanze e regolamenti onde favorire le esigenze della comunità negli ambiti dell’igiene pubblica... comincia a farsi sentire un certo sviluppo nei modi di pensare, che può spiegarsi con un deterioramento della situazione tale da imporre che si prendessero talune misure, o con il sopraggiungere di un flagello inedito come la peste, oppure con l’emergere di un autentico spirito comunale... un po’ ovunque addetti all’edilizia si riuniscono e deliberano”.

Grida del Magistrato della Sanità del 1756Non si tratta ancora di un vero e proprio servizio regolare di pulizia del suolo pubblico, ma vengono comunque emessi dei regolamenti, con i quali le autorità speravano di rendere un po’ meno sporco il panorama cittadino (anche se tutto lascia supporre che non ci riuscissero molto) [5].

Comunque, nelle città costituite di tante vie strette e non sempre lastricate, di case affiancate le une alle altre, in cui spesso venivano ricoverati gli animali, con gli orti fra le case, il tutto in assenza di una rete organica di fognature e di acqua corrente, salvo di poche fontane e dei pozzi (si era persa la tecnologia dell’antica Roma e del suo Impero che avevano avuto i mezzi, e la volontà, di costruire acquedotti e fognature), è evidente che non ci si possa aspettare molto in fatto di igiene personale e di pulizia delle aree pubbliche.

Per quanto riguarda in particolare la città di Milano, è possibile ricavare qualcosa su quali fossero le usanze nella pulizia urbana nel periodo tardo medioevale e rinascimentale, dalla lettura degli Statuti, cioè delle leggi riguardanti le strade e le acque[6]. Un particolare interessante è che le medesime disposizioni riguardavano sia la cosiddetta Sanità[7], sia quello che oggi si chiamerebbe viabilistica.

Dando un breve sguardo agli Statuti delle strade e delle acque del contado di Milano, risalenti al 1346, (furono pubblicati nel 1869 dal conte Giulio Porro Lambertenghi, che li aveva trovati in un codice della Biblioteca Trivulziana) è possibile farsi un’idea di prima mano sulla reale vita cittadina, della quale forniscono un quadro che sarebbe difficilmente immaginabile se non fosse confermato da altre testimonianze storiche[8], ed anche dal fatto che quelle sagge prescrizioni furono ripetute per secoli quasi identiche, con l’unica differenza dello stile.

Secondo lo storico milanese Cesare Cantù, risale all’epoca del ducato l’istituzione della carica annuale di Giudice delle strade, acque ed argini; questo "pubblico ufficiale" sorvegliava che pulizia e riparazioni delle strade e vie cittadine, fossero curate, come in epoca romana, dagli abitanti. Infatti ognuno doveva:
...netare, scopare et emondare le strate de la cità di Milano, cioè cadauno tanto quanto se extende la latitudine de la habitatione sua...

Ordinanza austriaca sulle navazze del 1771La spazzatura doveva logicamente essere portata fuori città, in luoghi appositamente assegnati fuori dalle mura:
Né il fango (o forse il letame, nda) ne le altre cose che puzzano siano trasportati in città, in luoghi pubblici, sotto la già menzionata pena, ma siano portate fuori città, in luoghi adatti, dove sono portate tutte le cose puzzolenti. E a questo sia provveduto da parte di questo Ufficio.

In caso di guasti provocati, valeva la regola del “chi sporca pulisce”; il Cap. XIV degli Statuti, infatti, prescrive come ripristinare le strade:
Tutte le strade e le vie pubbliche ed i fossati lungo le strade siano riportati allo stato in cui erano prima da tutti coloro che li hanno sporcati, e ognuno che abbia sporcato qualche spazio sia subito costretto dal giudice della strada a spazzarlo, o anche da ogni altro giudice, senza nessuna discussione di competenza.

Seguono alcune prescrizioni sul divieto di buttare qualunque cosa potesse insudiciare le vie; altre disposizioni riguardano il letame, che è vietato tenere sulle pubbliche vie, ed altri divieti, per noi del tutto ovvii, per i tempi evidentemente no, riguardano lo scortegare cavalli, il raspare o lavare pelle e cuoio nei fossi, il salassare cavalli in strada, ecc.

Particolare importanza viene data alla pulizia della piazza in cui si tiene il mercato degli animali. In sostanza, traspare negli statuti un notevole impegno, almeno legislativo, delle autorità cittadine nel far tener pulite le vie; purtroppo, in mancanza di personale apposito, esse dovevano far conto sul senso civico degli abitanti, o più probabilmente, sulla paura delle sanzioni.

Lapide proibitoria (vietato lo scarico) affissa a Roma, datata 1741

In sintesi, si può concludere che nelle grandi città italiane ed anche europee, sino alla fine del Settecento non esisteva un servizio di nettezza urbana organizzato dalle pubbliche amministrazioni. Il ruolo di “spazzini”, era svolto dagli abitanti (o dal loro personale di servizio) e da persone (in genere provenienti dal contado) che si prestavano volontariamente a raccogliere l’immondizia davanti alle case, od anche il letame (uno dei loro nomi era letamaioli) ed altri rifiuti, sollevando gli abitanti della città da questa incombenza, per portare il tutto in campagna (si veda anche più avanti).

Raccoglitore di rifiuti e letame

Verso l’inizio dell’800 in diverse città italiane si incominciò a pensare di istituire regolari servizi di scopatura ed anche di lavaggio con acqua delle strade. A Milano, in particolare, nei primi decenni dell’800, il servizio di pulizia, era definito di spurgo della città: veniva dato in appalto, per un periodo di nove anni, e l’appaltatore, che forniva il personale ed i mezzi, cioè i carri per innaffiare e asportare i rifiuti, si impegnava a sottostare a precise regole.

Frontespizio per il capitolato dei servizi di pulizia urbana del 1867Nei contratti di appalto, in ottemperanza al regolamento Municipale del 1816 che prescriveva che le operazioni di pulizia sulle pubbliche vie potessero svolgersi solo dalla mezzanotte alle prime luci dell’alba, era sempre precisato che il servizio di scopatura doveva essere soprattutto notturno e terminare entro le prime due ore del giorno. La norma voleva evidentemente per risparmiare ai cittadini il disagio della polvere, che costituiva un grosso problema in quanto le strade e i marciapiedi non erano asfaltati, e la maggior parte erano semplicemente acciottolate (vedi la pagina sulle strade). Per questo era prescritto che l’operazione di spazzatura fosse sempre preceduta dall’innaffiamento, appunto per evitare la polvere; vi si provvedeva, di solito, al tramonto. La spazzatura notturna delle strade fu certo facilitata dalla progressiva introduzione, a partire dalla metà del secolo, dell’illuminazione a gas (vedi la pagina sul gas).

La giornata di lavoro degli spazzini era di dieci ore, di cui sei durante la notte. In caso di “intemperie”, la durata del lavoro si riduceva a tre ore. La sorveglianza del lavoro era affidata a due assistenti, designati dalla Giunta municipale, che rispondevano all’Ufficio Tecnico Municipale.
Il Comune stabiliva anche il numero di mezzi, che riteneva indispensabile per assicurare al meglio il servizio di pulizia. Per esempio nel decennio 1867 al 1877[11], questo numero era così stabilito:
“…30 carri (a quattro ruote e con sponde amovibili) trainati da un cavallo, 30 “navazze” per il fango, 6 carri con cassa coperta per il trasporto dei quadrupedi morti, 30 carretti a due ruote per la pulizia diurna, 80 carri innaffiatori, 12 carriole per l’innaffiatura di piccole superfici.”
Gli uomini impiegati dovevano essere non meno di cento, divisi in “squadriglie” di otto uomini, più un caposquadra e, a discrezione dell’Impresa, i sorveglianti necessari.

Una fotografia degli anni ’20, che dà un’idea di cosa fossero le navazze

Nel 1877, la situazione cambiò sostanzialmente: il servizio notturno di pulizia restò affidato a un’impresa appaltatrice, ma il Comune assunse in prima persona il servizio diurno, avvalendosi di personale proprio.
Questo era formato da 58 spazzini stabili, a ciascuno dei quali era affidato un certo numero di vie, orinatoi pubblici e mercati, sotto la diretta sorveglianza di un delegato di mandamento, cui quella zona competeva.
Nel mansionario degli spazzini comunali si parla esplicitamente di “circondario interno”: quindi, il servizio non doveva riguardare gli insediamenti, che pure già esistevano, fuori dalle Mura Spagnole.

Dopo il 1903 (si era in anni di forte tendenza verso la municipalizzazione di tutti i servizi di pubblica utilità) il servizio di pulizia urbana venne assunto direttamente dal Comune, con il sistema detto in economia: personale ed attrezzi erano messi a disposizione e pagati dal Comune, mentre i cavalli e conducenti erano forniti da appaltatori. Il servizio era coordinato dall’Ufficio Tecnico Municipale tramite un Direttore, due applicati (uno tecnico e uno contabile), quindici assistenti, e quindici sorveglianti, che utilizzavano circa seicento spazzini.
Rispetto ai decenni precedenti la consistenza numerica del personale era notevolmente aumentata, in quanto ora il servizio non era più limitato al perimetro delle mura, ma era esteso a tutta la città (una città per giunta in forte espansione).

Macchina scopatrice ippotrainata, dei primi del ‘900Vettura tranviaria per l’innaffiamento delle strade, dopo il 1910

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il territorio servito era suddiviso in riparti, corrispondenti all’incirca ai rioni, ognuno dei quali disponeva di un deposito per i rifiuti e per le attrezzature di lavoro, che comprendevano anche delle spazzatrici meccaniche ippotrainate. Il lavoro in ogni riparto era coordinato, da un assistente e un sorvegliante tecnico, e svolto da circa 60 spazzini.

Il servizio di scopatura notturna delle strade veniva ancora effettuato, ma le maggiori energie erano dedicate al lavaggio, notturno e diurno, della carreggiata stradale: l’innaffiamento era effettuato con carri-botte a cavalli, della capacità di 1300 litri, e con carri automobili a vapore da 3000 litri, o addirittura con vetture tranviarie appositamente adattate per questa funzione; l’innaffiamento, in caso di tempo secco, veniva ripetuto fino a quattro volte al giorno.

 

La raccolta e lo smaltimento dei rifiuti domestici

Per quanto riguarda la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti domestici, rifacendoci ancora ai già citati Statuti, si può osservare che in essi molto spazio era dedicato allo svuotamento dei pozzi neri, problema che assorbì costantemente l’attenzione degli amministratori pubblici. Infatti una prescrizione, che venne ripetuta per secoli, era quella che vietava lo svuotamento dei pozzi neri, con relativo trasporto del contenuto, nei mesi estivi.

Ad esempio, una grida del Vicario di Provvisione del 1493, dopo aver confermato la regola, ormai secolare, che nessuno potesse svuotare i pozzi neri se non in inverno, (spazare alcun destro seu cloacha così in la cità de Milano, como borghi, si non da mezo novembre per fin a mezo februaio sotto pena de XXV ducati) avverte però che, anche durante il detto periodo, se il duca e la duchessa fossero stati a Milano, tale operazione sarebbe stata possibile soltanto di notte. Non bisogna dimenticare, come avvertiva il preambolo della grida, che il Duca era, "desideroso di magnificare et ornare questa sua inclita cità di Milano, et de provedere a quelle cose che sono in vergogna de essa cità."

Effettivamente, il problema dei pozzi neri rivestì grande importanza per secoli in tutta Europa, sia sotto il profilo igienico-sanitario, sia della gestione del personale addetto; ciò valse almeno sino alla metà dell’Ottocento, quando, le grandi città, compresa Milano, cominciarono a dotarsi di collettori fognari, progettati per smaltire non solo le acque meteoriche, ma anche le deiezioni umane. Ne diamo qui solo un breve accenno, rimandando il lettore alla pagina dedicata alle fognature, ricordando peraltro che gli addetti al servizio di svuotamento dei pozzi neri, i cosiddetti “navazzari” (o votapozzi), si possono per certi versi considerare gli antenati dei moderni “operatori ecologici”, in quanto essi erano autorizzati a raccogliere dalle strade anche il letame[12] e l’immondizia dei mercati; ed è probabile che entrassero nei cortili e nelle cantine delle case per portar via la poca o tanta spazzatura domestica.

Il mestiere era evidentemente indispensabile alla cittadinanza, ma sembra che fosse interesse sia dei cittadini sia delle autorità il tenerlo il più possibile occultato, compresso nelle ore notturne e nei mesi invernali. Se il motivo è anche comprensibile, ovvero il fetore, quello che è un po’ meno comprensibile è che, salvo che nelle grida del Tribunale della Sanità, non si parli mai di chi svolgeva quel servizio, che ne comprendeva senza dubbio anche altri, quali l’asporto dei rifiuti domestici.

Per quanto riguarda i rifiuti domestici solidi, il contatto molto stretto fra città e campagna, e l’abitudine di coltivare piccoli appezzamenti nelle città contribuiva probabilmente a contenere le dimensioni del problema del loro smaltimento. Le modalità del loro trattamento non erano probabilmente molto diverse da quelle ancora in uso fino a non molti decenni fa, prima del crollo della “civiltà contadina”, sintetizzabili in una abitudine al risparmio ed al riciclaggio, che i nostri vecchi ricordano bene: rifiuti alimentari, vestiti, rottami, avanzi di ogni tipo venivano riutilizzati e riconsumati. Le parti non commestibili degli ortaggi, gli avanzi di cibo non più recuperabili, il letame degli animali, e quello umano, venivano utilizzati come concime.

Il raccoglitore di rifiuti domestici, o ruéeA Milano, ancora nell’800 e per parte del ‘900, il protagonista vero del servizio di raccolta dei rifiuti domestici, non era l’addetto alla scopatura delle strade, che lavorava per lo più di notte, e che il cittadino, quindi, aveva meno possibilità di incontrare: era invece un personaggio ora scomparso, che possiamo considerare rappresentativo di tanti mestieri perduti, il ruee che, con la sua gerla in spalla, la scopa e la pala in mano, vuotava la cosiddetta ruera, cioè l’angolo del cortile dei caseggiati dove si ammucchiava la spazzatura delle famiglie.

Il carretto per la raccolta dei rifiuti (1905)I ruee erano per lo più brianzoli, e provenivano specialmente da Missaglia. Erano ben organizzati e percorrevano tutta la città con carretti a mano o tirati da un asino, e sempre con la gerla in spalla, entrando, al mattino presto, in tutti i cortili. La destinazione di quanto essi raccoglievano, fino al 1910 non era unica, anche se l’immondizia veniva sempre portata fuori dei limiti urbani, ma in luoghi diversi, a seconda dei quartieri di provenienza. Nel 1910 il Comune volle però indicare un luogo unico per lo scarico. Venne così scelto un terreno in località detta delle Rottole, non lontano dall’attuale Cascina Gobba, che rimase in uso sino alla fine degli anni ’20.

Alle Rottole si costituì un vasto insediamento, noto alla cittadinanza come “villaggio degli spazzini”, nel quale arrivarono ad essere impegnate alcune centinaia di persone, che vivevano praticamente in loco[13], tutte dedite alla raccolta, alla cernita ed al recupero dell’immondizia. Prima di tutto veniva prelevata la carta, poi gli stracci, i resti di pane, le ossa, le verdure, il legname, i metalli, ecc. La cernita produceva più di 30 differenti tipi di rifiuti, una parte dei quali era avviata alle industrie (le ossa, o i metalli e gli stracci, ad esempio), un’altra veniva portata nelle campagne per essere utilizzata come concime. Così, come nei secoli precedenti, le immondizie domestiche milanesi andavano ancora a concimare i campi della Brianza.

Mucchi di rifiuti al villaggio degli spazzini (dopo il 1910)Recupero della latta al villaggio degli spazzini (dopo il 1910)

 

 

 

 

 

 

 

L’iniziativa privata dei brianzoli ebbe però termine verso la fine degli anni ‘20, non senza dolori e proteste. Il Comune di Milano aveva da tempo espresso l’esigenza di razionalizzare il servizio di raccolta dell’immondizia domestica, estendendolo ed integrandolo con quello della scopatura delle strade, ed anche di renderlo più igienico e consono ai tempi, uniformando, per esempio, i veicoli adoperati. In altri termini il Comune intendeva assumere in proprio anche il servizio di raccolta delle immondizie delle case, magari per darlo in concessione, ma mantenendone un controllo più diretto. In effetti alcune ditte a capitale privato avevano fatto capire di essere disponibili e di possedere i mezzi per aspirare alla concessione. Il Comune iniziò così a richiedere agli spazzini brianzoli sempre maggiori garanzie, ed essi in risposta si associarono in cooperativa (dati i tempi non c’è da meravigliarsi che si chiamassero Società Anonima Cooperativa Consorzio Fascista Spazzini Privati). Questa cooperativa ottenne dal Comune, nel dicembre del 1926, la concessione del servizio, ma solo in cambio della promessa di soddisfare precise garanzie. Nel contratto fra le parti il Comune dichiarava tra l’altro:
che pur non avendo nessuna difficoltà a concedere detto servizio intende però che si svolga in modo più decoroso e più rispondente alle norme igieniche ed in modi da seguire, anche per quanto riguarda la rapidità dei trasporti, l’evoluzione della città e le direttive dell’Amministrazione comunale, di abolire cioè la trazione animale”.

Carretti per la raccolta delle immondizie (in uso negli anni ’20)Carretti per la raccolta delle immondizie (in uso negli anni ’20)

 

 

 

 

 

 

 

 

Alla cooperativa venne assicurato un altro terreno per lo scarico, visto che quello delle Rottole era privato, ed il proprietario aveva dato la disdetta al Comune, ma le venne però imposto di costruirvi locali di deposito rispondenti alle norme tecniche e igieniche comunali, e di provvedere ad un servizio più esteso e complesso di quello precedente.
Fra i servizi previsti rientravano infatti anche quelli di smaltimento delle immondizie dalle scuole e dagli edifici pubblici, dai mercati ortofrutticoli, dal macello e da tutti i giardini, parchi, strade, piazze e luoghi pubblici.

La raccolta delle immondizie doveva essere compiuta in modo continuativo, ed entro le prime ore del mattino. Inoltre, gli addetti della Società concessionaria dovevano indossare una divisa, un numero di riconoscimento[14] e a dotarsi di mezzi nuovi, comprese le classiche gerle che dovevano essere “lavabili e disinfettabili”; anzi, come si legge nel contratto: "Il Comune potrà imporre la modifica dei recipienti secondo i progressi della scienza."

Per quanto riguarda i carri: "...per il servizio di sgombero dei magazzini della nettezza urbana la Società userà carri con cassone metallico a perfetta tenuta, chiusi, e della portata di circa q 40. Questi carri avranno ruote di gomma e saranno trainati da trattrici con ruote pure di gomma e con motori perfettamente silenziosi e potranno essere formati dei treni stradali secondo le norme consentite dalle disposizioni vigenti."

Carri  a cavalli della SPAI,  ancora in uso negli anni ‘50Le richieste del Comune erano certamente legittime, e nascevano dalle esigenze stesse di un servizio che doveva adeguarsi ad una città in forte espansione, nella popolazione e nei consumi (la quantità di rifiuti raccolta era già ragguardevole, 5.000 quintali al giorno). Però, gli spazzini privati, anche se associati in cooperativa, non avevano le spalle abbastanza robuste per reggere quelle richieste, e soprattutto mancavano dei capitali necessari. Così nel 1929 dovettero arrendersi ed il Comune affidò il servizio in concessione ad una società privata, la S.P.A.I., mentre la cernita fu affidata a un’altra ditta, la “Duomo”.

Nello stesso luogo destinato alla raccolta (più o meno dove ora sorge, lungo la via Olgettina, la sede dell’AMSA) venne poi costruito, nel 1929, un grande impianto di cernita, dove l’attività di cernita veniva svolta su scala industriale[15]. Le immondizie venivano movimentate con mezzi meccanici e nastri trasportatori, ma la selezione era fatta in larga parte a mano (arrivarono ad esservi impiegate sino a trecento persone, fra uomini e donne).

Negli anni che vanno dal 1929 al ’52 avvenne un progressivo ammodernamento del servizio, specialmente per quel che riguarda i mezzi di raccolta impiegati. In effetti il problema dei rifiuti urbani cominciava ad assumere in Italia, e nel mondo, una dimensione tale da meritare un’attenzione più sistematica da parte dei tecnici e degli amministratori, e non mancarono i tentativi di affrontare in maniera “scientifica” e con organizzazione industriale il problema della raccolta dei rifiuti. Proprio a Milano nacque per esempio, negli anni ’30, la società OTSU (Organizzazioni Tecniche Servizi Urbani - Milano) che proponeva un sistema di contenitori metallici chiusi, facilmente igienizzabili, da raccogliere e sostituire con recipienti puliti ad ogni turno di raccolta. Questo sistema non fu adottato a Milano, ma in altre città più piccole (ad esempio Forlì). Per altro il concetto di utilizzare recipienti metallici di forma standardizzata per il trasporto dei rifiuti cominciò ad essere applicato (si possono a questo proposito ricordare i lunghi autotreni a tre rimorchi, della capacità di 72 bidoni metallici, che sostituirono nel ’29 i carri tirati da cavalli).

Sistema OTSU di raccolta rifiuti con recipienti intercambiabili (anni ’30)Sistema OTSU di raccolta rifiuti con recipienti intercambiabili (anni ’30)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La località di discarica, cernita a mano e a macchina rimase comunque sempre in via Olgettina; i rifiuti non riciclabili venivano triturati, accumulati all’aperto, trasformati in concime, e trasportati in campagna. Prima dell’ultima guerra i rifiuti domestici, ritirati in due turni settimanali, arrivavano ormai a 6.000 quintali al giorno, provenienti da 20.000 stabili.

Mucchi di rifiuti urbani  in via Olgettina (anni ’50)

La S.P.A.I. gestì il servizio della raccolta delle immondizie domestiche sino al 1952, quando venne sostituita dal G.S.I. (Gestione Servizio Immondizie), che divenne S.I.D. (Servizio Immondizie Domestiche) nel ’54: si trattava di un servizio municipale, quindi a carico del bilancio comunale, ma con un regolamento autonomo. Nel 1954 i dipendenti erano saliti a 957. Anche la cernita e smaltimento vennero assunte in proprio dal S.I.D. nel 1958.

All’inizio degli anni ’50, il servizio di raccolta e trattamento dei rifiuti funzionava abbastanza bene, ma aveva tuttora un punto debole, non tanto nella parte finale, quella della cernita (che anzi, anche vista con gli occhi di oggi, sembra quasi all’avanguardia dal punto di vista del recupero, anche se certo non lo era sotto quello della igienicità del lavoro) e neppure in quella, intermedia, del trasporto, che avveniva in modo abbastanza moderno ed ingegnoso.
L’aspetto antiquato, antigienico e disagevole per il personale stava nel lasciar accumulare la spazzatura proveniente dagli appartamenti in locali appositamente adibiti a ruera nelle cantine degli stabili. Si trattava spesso degli angoli il più appartati possibile dallo sguardo e dall’olfatto degli inquilini, in cui le immondizie restavano stipate sino al momento della rimozione.

Spazzini 'minatori' nelle ruere dei palazzi milanesi (anni ‘50)Spazzini 'minatori' nelle ruere dei palazzi milanesi (anni ‘50)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La critica a questo sistema era stata più volte espressa, già negli anni ’30[16], ma di fatto la situazione non era cambiata. Più eloquenti di qualsiasi descrizione sono le fotografie degli anni ’50, che raffigurano gli addetti alla rimozione dei rifiuti lavorare quasi in guisa di minatori, costretti ad infilarsi in cunicoli strettissimi, a percorrere scalette malagevoli, in luoghi privi di luce, ancora con la gerla in spalla (gerla diventata di metallo, per essere lavabile).

Il sistema venne radicalmente modificato a partire dal 1956 con l’introduzione dei bidoni metallici in lamiera zincata, che dovevano essere riempiti a cura degli inquilini o dei custodi degli stabili, e che in molti casi vennero adattati alle canne di caduta delle immondizie, già esistenti nei condomini, perché si riempissero da soli; trasportati in strada dagli addetti alla nettezza urbana per mezzo di appositi carrelli, venivano poi sollevati da due bracci meccanici che ne provocavano lo svuotamento dentro gli autocarri di raccolta e compattamento. Questi bidoni venivano periodicamente lavati con un marchingegno che spruzzava getti d’acqua e disinfettante.
Un aspetto negativo di questo sistema era il rumore provocato dai bidoni durante l’operazione di svuotamento dentro gli autocarri, rumore che si aggiungeva a quello provocato dai bidoni fatti rotolare a braccia dai custodi delle case.

Dalle gerle ai bidoni metallici (dopo 1956)Dalle gerle ai bidoni metallici (dopo 1956)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Svuotamento e lavaggio dei bidoni metallici (inizio anni ’60)Svuotamento e lavaggio dei bidoni metallici (inizio anni ’60)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Intanto le quantità raccolte crescevano costantemente, e l’impianto di via Olgettina cominciava ad essere insufficiente. Una parte sempre più consistente dei rifiuti veniva quindi direttamente portata lontano dalla città e interrata in discariche, chiamate “colmate”. Si trattava in pratica di cave in disuso, dove i rifiuti si accumulavano senza troppe salvaguardie, in quanto il concetto di “discarica controllata”, si sarebbe cominciato ad affermare solo una ventina di anni più tardi.

Scarico e compattazione dei rifiuti in una discarica controllata (anni ’70)

Nello stesso anno (1968) i bidoni zincati vennero sostituiti con i sacchi di politene a perdere, in uso ancora oggi, sicuramente più silenziosi e più igienici; anche gli automezzi destinati alla raccolta dovettero essere sostituiti.

Camion compattatore per la raccolta dei bidoni metallici (anni ’60)Camion compattatore per la raccolta dei sacchi di plastica (anni ’70)

 

 

 

 

 

 

Il servizio venne definitivamente municipalizzato nel 1970, con l’istituzione dell’A.M.N.U. (Azienda Municipale Nettezza Urbana), un’azienda di dimensioni ragguardevoli, che alla fine di quell’anno aveva 2.205 dipendenti, mentre la quantità di rifiuti raccolti si era più che raddoppiata nel corso di soli 15 anni, passando a quasi 13.000 quintali al giorno.

Il secondo inceneritore cittadino (via Silla, 1975)Si era nel frattempo adottare anche a Milano il metodo dell’incenerimento dei rifiuti, già da tempo affermato in molte città europee. L’entrata in servizio di questi impianti costituisce da un lato un segnale che la produzione dei rifiuti, con l’avanzare della società dei consumi, ha raggiunto livelli cospicui, dall’altro che è anche cambiata la tipologia dei rifiuti stessi; in essi non è infatti più prevalente la fase umida (rifiuti organici), ma comincia a prevalere la fase secca (carta, cartone da imballaggi e poi, sempre più, plastiche) che rende i rifiuti più interessanti da bruciare, eventualmente anche con recupero di energia[17].
Il primo inceneritore ad entrare in servizio a Milano fu, nel 1968, quello di via Zama (alla periferia est della città), al quale sarebbe seguito nel 1975 il secondo impianto di via Silla (a Figino, alla periferia nord-ovest). Comunque non venne affatto abbandonato il sistema dell’interramento in cave.

L’A.M.N.U. acquisì progressivamente nuovi servizi: la raccolta di animali morti, la pulizia dei cimiteri, la cancellazione di scritte e la rimozione di manifesti abusivi, la raccolta anche domiciliare di materiali ingombranti.
Questo incremento delle funzioni aziendali fu sancito nel 1985 con la trasformazione dell’A.M.N.U. in A.M.S.A. (Azienda Municipalizzata Servizi Ambientali), che ebbe un nuovo regolamento di gestione. Essa è infatti amministrata da una Commissione Amministratrice, nominata dal Consiglio Comunale, organizzata in Direzioni e poggia la sua attività su quattro grossi centri operativi, in cui la città è divisa.

Dalla raccolta indifferenziata...

...al riciclaggio dei materiali (anni ’80-’90)E’ stato il compito della nuova Azienda quello ormai di iniziare una più complessa “politica ambientale”, impostata sulla previsione di un riciclaggio sempre più diffuso: il vetro, innanzitutto, poi la carta e le lattine. Una politica ormai indispensabile in una città che ha preso coscienza della gravità e vastità del problema dei rifiuti, ed a cui l’AMSA ha dovuto rispondere assumendosi progressivamente anche nuovi compiti, indispensabili in una metropoli moderna e che prima erano svolti da altri Enti: per esempio, di provvedere anche ai rifiuti provenienti da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi ospedalieri. Successivamente, anche la pulizia dello Stadio Meazza e, in collaborazione con imprese private, lo sgombero della neve ed il ritiro delle carcasse di auto abbandonate lungo le vie cittadine, ecc., ed ovviamente la pulizia delle strade che non ha perso il suo vecchio carattere di lavoro notturno, ma che è stata progressivamente meccanizzata.

Ma qui la nostra storia diventerebbe cronaca, e quindi la lasciamo ad altri.

 

Bibliografia

BERTI GIORGIO, BARONI GIORGIO, Spazio alla vita. Il servizio di pulizia nei secoli e oggi nel mondo, Edizioni della Right Answer, Milano, 1993
SORI ERCOLE, La città e i rifiuti. Ecologia urbana dal medioevo al primo Novecento, Il Mulino, Bologna, 2001
TAMINI MARIO, I rifiuti solidi urbani (Raccolta, trasporto, smaltimento), Stab. Litografico Besozzi, Milano, 1937
VIALE GUIDO, Un mondo usa e getta. La civiltà dei rifiuti e i rifiuti della civiltà, Feltrinelli, Milano, 1994

 



[1] Un segno di ciò è la scarsità di fonti bibliografiche sulla storia di questo servizio, a fronte di una relativa abbondanza dei testi che trattano delle tecniche moderne (ultimi 40-50 anni) di smaltimento dei rifiuti urbani.

[2] Curioso è un episodio raccontato da Svetonio in cui il giovane Vespasiano (notoriamente benemerito, in seguito, per le sue attenzioni ai servizi igienici) viene fatto imbrattare dall’imperatore Caligola con il fango raccolto nelle vie da lui non adeguatamente curate.

[3] Nelle descrizioni dei lavori socialmente utili, quello assimilabile agli spazzini era allora ritenuto “infamante” o talora solo “umile” e solo i più miseri nella società vi erano preposti; lo svolgimento di uno di questi mestieri costituiva ragione per non poter essere ammesso a diventare chierico o a rivestire cariche pubbliche.

[4] Le stalle degli animali erano di solito al pian terreno, le abitazioni degli uomini al primo piano.

[5] Riporta il bel libro del Berti (cfr. bibliografia): “Per quanto riguarda l’Italia, sappiamo per esempio che a Milano nel 1228 venne costruito il primo vero Palazzo del Comune (la ‘Casa dei Consoli’, Casella Consulum) sull’area detta del Brolo, e che gli Statuti dell’epoca vietavano espressamente di orinare e di fare ogni altra cosa disdicevole ("mingere et aliquid alium inhonestum agere seu facere") in quei pressi; anzi, per facilitare i cittadini nell’osservare il divieto, lì erano state costruite latrine pubbliche (di altre, site nei dintorni del Castello, si sarebbe più tardi interessato anche Leonardo da Vinci)”.

[6] Anche se purtroppo gli statuti più antichi della città di Milano sono quasi tutti scomparsi, a causa di un incendio che, nel 1502, bruciò la cancelleria; ne rimangono, però, alcune redazioni, sia in latino sia in volgare.

[7] Esisteva un “Ufficio di Sanità”, cui erano preposti i “Conservatori Ducali della Sanità dello Stato di Milano”, chiamati anche, più brevemente, deputati sanitatis; dopo il 1534 venne creato il “Magistrato di Sanità” e l’omonimo Tribunale, che rimase in vigore sino al 1787.

[8] Non c’è motivo di credere, comunque, che la situazione di Milano fosse peggiore di quella di tante altre città. A questo proposito il saggio di Ercole Sori, citato in bibliografia, è particolarmente ricco di testimonianze relative alle grandi città d’Europa.

[9] Questa conclusione sembra in parte contraddetta dalle notizie che si hanno sulla città di Roma, per la quale esistono documenti che attestano la presenza, già nel ‘700, di un servizio di nettezza organizzato dell’Amministrazione Pontificia. Inoltre, già dal ‘400, fra i numerosi chierici di camera del Cardinale Camerlengo (che avevano incarichi amministrativi paragonabili a quelli dei nostri assessori) ve ne erano alcuni che si dovevano occupare della manutenzione e pulizia delle strade, avendo alle loro dipendenze numerosi funzionari ed anche un certo numero di scopatori e carrettieri, che a loro volta utilizzavano come manodopera principalmente i condannati ai lavori forzati.
Però solo in alcune vie e piazze importanti della città veniva svolto un servizio regolare di pulizia; nelle altre si interveniva in maniera più sporadica, in genere accumulando i rifiuti in alcune località autorizzate, dalle quali i rifiuti erano poi rimossi scaricandoli nel Tevere (l’operazione si chiamava spurgo dei mondezzai). Questo sistema che può sembrare piuttosto rozzo, in parte si comprende pensando che a Roma esistevano ancora, all’interno delle mura, notevoli spazi a verde e numerosi ruderi e rovine.
A riguardo di Venezia si hanno alcune scarse notizie che accennano alle imbarcazioni che trasportano rifiuti organici, da usare come fertilizzanti, verso le isole della laguna. Inoltre è noto che i canali subivano periodicamente delle operazioni di radicale pulizia: venivano infatti prosciugati ed il fondo melmoso veniva asportato.

[10] A Londra, per esempio, già dopo il terribile incendio del 1666 erano stati stabiliti luoghi di deposito temporaneo per le immondizie e si erano impartirono ordini affinché i rifiuti venissero depositati in queste sedi, di dove sarebbero stati successivamente rimossi. A ogni quartiere della città vennero preposti degli incaricati con il compito di controllare la nettezza delle strade; queste persone non percepivano alcun compenso, e la maggior parte del lavoro era effettuato dai rakers, paragonabili ai raccoglitori e venditori di rifiuti di tempi piú recenti. Dato che la rete stradale andava rapidamente estendendosi, diventava sempre piú difficile trovare luoghi da adibire a deposito provvisorio delle immondizie si pensò di sostituirli con cassoni fissi o mobili nei quali gettare i rifiuti.
Per le aree metropolitane situate al di fuori della City vennero emanate, nel corso del diciottesimo e all' inizio del diciannovesimo secolo, alcune leggi che attribuivano a uno speciale corpo di commissari i poteri riguardanti la pavimentazione, la nettezza e l'illuminazione delle strade; alcune di queste leggi prescrivevano agli abitanti di ogni casa di tenere pulito il tratto di pavimentazione fronteggiante il caseggiato, e davano la possibilità alle autorità di raggiungere accordi con i rakers per la spazzatura e il trasporto del rifiuti e delle immondizie. La legge sulla pavimentazione metropolitana del 1817, nota come legge di Michael Angelo Taylor, codificò tutte queste varie leggi e costituí lo statuto in base al quale vennero eseguiti i lavori di ingegneria sanitaria fino all'approvazione della legge sull'ordinamento della città del 1855. Tra l'altro la legge di Taylor prescriveva che "gli incaricati della nettezza, i rakers e i raccoglitori portassero via a loro spese i normali rifiuti della città, rifiuti che restavano di loro proprietà”, ma piú tardi essi divennero degli inservienti alle dipendenze della commissione preposta alle fognature e in seguito della municipalità, regolarmente retribuiti.
Alcune autorità, come quelle della municipalità di Liverpool, si assunsero i controllo delle operazioni di ripulitura della città e ricorsero a personale apposito. Rimaneva però il problema riguardante ciò che si doveva fare del rifiuti; in molte città quelli domestici venivano raccolti contemporaneamente alla spazzatura delle strade. Una parte veniva venduta agli agricoltori che se ne servivano come fertilizzante, altre utilizzazioni furono trovate per vari tipi di rifiuti, ma ne rimaneva pur sempre una quantità notevole, che veniva dispersa in mare per mezzo di chiatte o bruciata in speciali forni o trasportata in cave di gesso abbandonate o in zone di terreno non altrimenti utilizzate.

[11] Si tenga presente che il nucleo principale della città, a quel tempo si trovava ancora in gran parte all’interno dalla cerchia dei navigli.

[12] Che i navazzari avessero pure il compito di raccogliere il letame dalle strade cittadine, sembra indirettamente confermato anche dal dibattito che si tenne nel Consiglio Comunale del 31 agosto 1844, sul tema della concessione a un privato dell’appalto della scopatura e lavaggio delle vie cittadine durante la notte.
Nel verbale della seduta si legge infatti che il Conte Belgiojoso afferma che "se si permette all’Appaltatore di incominciare la scoppatura alla mezza notte si verrebbe a pregiudicare i letamajuoli i quali essi hanno pure il diritto durante la notte di raccogliere le sozzure nella città". Il Conte Podestà gli ricorda, invece, che questo non è un loro diritto, ma "una semplice consuetudine di tolleranza".
Il problema non era del tutto ozioso, dato che i letamaioli, erano certamente cittadini privati, ma i loro vantaggi personali andavano pure verso l’interesse dell’agricoltura, come il Belgiojoso sapeva.

[13] Basta quindi andare di qualche decennio indietro nel tempo, per ritrovare qui da noi situazioni non molto dissimili da quelle che oggi ci impressionano nei paesi del terzo mondo.

[14] Probabilmente, quando il rueé con il suo carretto, e magari pure con l’asino, girava per i cortili, si poteva avere la sensazione di un vero scambio fra persone reali, in cui ognuna delle due parti offriva qualche cosa di indispensabile all’altra; anche il rapporto del cittadino con la propria immondizia forse, era meno distaccato, visto che chi la raccoglieva non portava ancora una divisa con un numero di riconoscimento, ma era una vera e propria persona, che si riprometteva di portarla via per sceglierla e, quasi sempre, utilizzarla.

[15] Questo impianto funzionò fino al 1964. Un’idea della sua complessità si può ricavare dalla seguente descrizione delle sue caratteristiche costruttive e funzionali:
“Lo stabilimento… avrà ampi piazzali completamente sistemati a fondo impermeabile…le immondizie scaricate al piano terreno …da una apposita macchina a rastrelli saranno selezionate dal materiale leggero e voluminoso…La parte rimanente con appositi montacarichi sarà trasportata al piano superiore ove sarà stacciata su vagli a piatti… Il rifiuto della stacciatura… ritornerà al piano terreno per essere portato alle letamaie. Il rimanente steso su nastri trasportatori verrà portato in un altro locale, dove donne munite di guanti e pinze raccoglieranno quanto può essere riciclabile: carta, stracci, ossa, vetro, cuoio, ecc. Le ossa passeranno alla disinfezione con formalina….La carta e gli stracci dopo essiccazione, in un altro locale dove macchine battitrici con aspiratori li libereranno dal terriccio, e infine passeranno alla pressa per l’imballaggio…”.

[16] Ad esempio nel secondo Convegno Internazionale di Tecnica Sanitaria ed Igiene Comunale, che si tenne a Milano nel 1931 era stata formulata la seguente raccomandazione finale:
“ Nelle case di abitazione vengano aboliti gli immondezzai e le canne di getto, ed in sostituzione siano collocati nei cortili ed in appositi locali, bottini mobili di raccolta delle immondizie muniti di coperchio, che devono essere periodicamente ritirati e ricambiati con altri nuovi e puliti”.

[17] Non a caso, i più moderni inceneritori di rifiuti vengono ormai denominati “termovalorizzatori”. Peraltro, la presenza di grandi percentuali di plastiche nei rifiuti ha costretto ad affinare notevolmente la tecnologia degli inceneritori, dopo che si è riconosciuto il pericolo da essi rappresentato di emettere sostanze inquinanti molto pericolose, quali le diossine, se la combustione non viene accuratamente controllata.

Ultima modifica: lunedì 20 marzo 2006

gianluca.lapini@fastwebnet.it