L’enorme
incremento della mobilità personale che si è verificato (in Italia soprattutto nella seconda metà del XX secolo), con l’esplosione del fenomeno della
motorizzazione di massa, ha da un lato sollecitato, e dall’altro è stato
favorito da un parallelo, enorme sviluppo della rete stradale. L’automobile,
con la sua promessa di comodità e velocità, ma con le sue esigenze di
regolarità e standardizzazione dei percorsi (prerogative un tempo riservate
solo alle ferrovie) ha favorito la nascita di strade a lei riservate, le
auto-strade appunto, che in Italia hanno avuto uno straordinario sviluppo
soprattutto dopo il 1960, ma che sono state “inventate” ben prima. In
particolare Milano vanta un primato mondiale in questo campo, e mi
sembra valga quindi la pena di ripercorrere sinteticamente le vicende che
portarono alla costruzione delle prime autostrade italiane.
L’idea
di una strada esclusivamente riservata ai veicoli a motore (niente carri e
carretti a cavalli, quindi, niente biciclette o pedoni), dal fondo liscio e
regolare, con curve di largo raggio e pendenze contenute, senza incroci, e per
tutte queste caratteristiche percorribile pagando un pedaggio, nacque dopo la
Prima Guerra Mondiale nella mente di un grande imprenditore milanese, Piero
Puricelli[1], che
sulle strade aveva costruito il suo successo e la sua fortuna. Egli era infatti
il titolare della “Società Anonima Puricelli, Strade e Cave”, già a quel tempo
solida e ben affermata come una delle maggiori del settore, e dalla quale
sarebbe in seguito nata la “Italstrade SpA” (costruttice di molte delle
autostrade italiane).
Puricelli
era un convinto sostenitore del trasporto automobilistico su strada e ne
prevedeva il grande futuro sviluppo, probabilmente guardando a ciò che stava
succedendo in altri paesi, in particolare negli Stati Uniti. A onor del vero,
infatti, all’inizio degli anni ‘20 gli automezzi circolanti in Italia erano
ancora molto pochi (circa 85.000 nel 1924, saliti a circa 222.000 nel 1929), ma
in un’area fittamente popolata come la Lombardia, e su alcune direttrici
stradali, il traffico, sia quello commerciale, sia quello turistico, era già
abbastanza intenso da far intravedere, ad un imprenditore coraggioso come
Puricelli, che fosse economicamente interessante la costruzione di una strada a
pedaggio, a loro riservata. Si trattava in effetti di una scommessa, che
necessitava di coraggio imprenditoriale per essere giocata, e che Puricelli
vinse solo parzialmente; infatti dal punto di vista economico l’impresa si
dimostrò perdente perché gli introiti dei pedaggi furono inferiori alle
previsioni (e lo Stato dovette intervenire per salvare la situazione), ma dal
punto di vista dei consensi, della immagine e dell’indirizzo dato al modo di
costruire le strade, l’idea fu un grande successo.
Così
il collegamento di Milano ai laghi prealpini, l’autostrada Milano-Laghi,
costituì il primo esempio realizzato al mondo di strada riservata agli
autoveicoli. Il sentimento di
ammirazione e meraviglia che si destò per quest’opera mi sembra ben espresso da
una cronaca di quegli anni, dallo stile un po’ pretenzioso, ma efficace:
“… strada ben tipica
del ventesimo secolo: uniforme, disadorna, ma levigatissima, che taglia i campi
dilungandosi come la guida di un corridoio d’albergo, evitando fino al
possibile le curve ed ogni contatto, ogni intimità e ogni emozione, il
pittoresco e il romantico; arida e muta come un’asta, precisa come una pagina
d’orario, obbediente a una disciplina, la brevità, e a uno scopo, l’utilitarismo.
E’ strada del ventesimo secolo, in conseguenza, anche per questo: che ai lati
si assiepa e strepita con mille silenziosi richiami, con cento ingegnose
trovate di réclame e accosta alla sua frigidità di prodotto di laboratorio la spregiudicata e illusoria festività del lunaparco.
E’ un che di mezzo tra
la strada comune e la via ferrata, poiché il movimento vi è regolato con
segnalazioni: banderuole verdi, arancione, rosse, ad ala fissa o manovrate alla
mano, e fanali e fari luminosi di notte; e vi sono caselli e cantoniere: regole
severe di marcia, sorveglianza di agenti montati su motocicletta; e si ha un
servizio di biglietteria e di abbonamenti…”
I
lavori di costruzione iniziarono ufficialmente nel marzo del 1923, e
procedettero assai speditamente, tanto che la prima tratta, la Milano-Varese,
fu inaugurata già nel settembre del 1924, mentre l’ultima tratta, da Gallarate
a Vergiate fu aperta nel settembre del 1925. L’impresa era in realtà iniziata
nel gennaio del 1922 con la pubblicazione di una relazione con la quale l’ing.
Puricelli illustrava il suo progetto, che era già sufficientemente dettagliato
da consentire di comprendere le caratteristiche ed i costi dell’opera. Esso
trovò subito un notevole sostegno negli ambienti milanesi legati all’automobile
(Touring Club Italiano e Automobile Club di Milano), che promossero la nascita
di un comitato per sostenere l’opera presso il potere pubblico. La salita al
potere di Mussolini, desideroso, dopo la marcia su Roma (ottobre 1922) di
trovare occasioni per consolidare il consenso al suo Partito, accelerò l’iter
degli avvenimenti, così che all’inizio
di dicembre il Ministero dei Lavori Pubblici poteva già stipulare con la neo
costituita “Società Anonima Autostrade”, con sede a Milano, la concessione per
la costruzione di una rete stradale “riservata esclusivamente agli autoveicoli
con ruote a rivestimento elastico”, d’allacciamento fra Milano ed i laghi
Maggiore, di Como e di Varese. Nel breve volgere di un anno si era quindi
passati dal lancio dell’idea all’inizio dei lavori.
Il
tracciato dell’autostrada era quello che essa ancora conserva.
Il
modesto casello di ingresso all’autostrada era posto al termine del v.le
Certosa, verso Musocco.
Dopo
Lainate il percorso si diramava in un tronco diretto verso Como ed in uno
diretto verso Gallarate, dove avveniva una ulteriore biforcazione per Varese e
per Sesto Calende.
Le
corsie erano solamente due, una per ciascun senso di marcia, per una larghezza
complessiva della carreggiata, fino a Gallarate, di 14 metri, 10 dei quali
pavimentati; negli altri tronchi la
larghezza si riduceva a 11 metri, di cui 8 pavimentati. Alla strada si accedeva
tramite un complesso di 17 caselli e di 100 Km di nuove strade di raccordo. L’autostrada non era sempre aperta,
ma seguiva l’orario dalle sei del mattino all’una di notte.
Per
la costruzione vennero realizzati 219 manufatti in cemento e movimentati circa
due milioni di m3 di terra.
Il
percorso era caratterizzato da lunghissimi rettifili (il più lungo di 18 Km),
da poche curve con raggio non inferiore a 400 m e da pendenze non superiori al
3%. La pavimentazione fu realizzata in calcestruzzo ad alta resistenza, con
lastre di spessori da 18 a 20 cm. Il confezionamento e la stesura del
calcestruzzo avveniva tramite 5 grosse
betoniere, tipo Koehring-Paving, comprate negli Stati Uniti, che potevano
produrre 1200 m3 al giorno di conglomerato.
Il pietrisco necessario arrivava dalle cave
Puricelli di Bisuschio tramite treni, fino alle stazioni più vicine al
percorso, e poi con binari e vagoncini a scartamento ridotto fino ai vari lotti
di lavoro. Sul percorso la manodopera impiegata fu sempre numerosa, aggirandosi
mediamente sulle 4000 unità al giorno, ma fu cospicuo anche l’utilizzo di
macchinari (betoniere, camion, scavatrici, schiacciasassi, ecc).
Il costo complessivo dell’opera fu di circa
90 milioni di lire, circa (solamente, si potrebbe dire!) il 20% in più del
costo preventivato.
Come
si è già accennato la redditività economica dell’impresa non fu buona,
nonostante le tariffe di pedaggio fossero piuttosto alte; ciò probabilmente
contribuì a mantenere il numero di transiti giornalieri inferiore alle attese
(i calcoli facevano affidamento su un traffico
iniziale di circa 1000 transiti/giorno, che avrebbero poi dovuto rapidamente
aumentare, mentre ancora nel 1928 non si andava oltre i 1500 transiti/giorno).
La società di gestione, che era comunque riuscita a sopravvivere nei primi
anni, collassò con la crisi economica del ’29, così che nel settembre del 1933
l’autostrada fu riscattata dallo Stato e presa in gestione dalla Azienda
Autonoma Statale della Strada[2]
(AASS, antenata dell’ANAS), che dovette provvedere a cospicui lavori di
riassetto, in quanto la società uscente, a corto di risorse, aveva notevolmente
trascurato la manutenzione. Nonostante questo l’AASS ridusse notevolmente le
tariffe; questo provvedimento trovò una buona risposta negli automobilisti ed
il transiti cominciarono finalmente ad aumentare.
Se la Milano-Laghi fu la
prima, nel giro di pochi anni altre opere contribuirono a mantenere a Milano il
primato di principale polo autostradale italiano[3]. I lavori di costruzione
della Milano-Bergamo, che fu la seconda
autostrada realizzata in Lombardia, iniziarono nel giugno del 1925 e il
percorso fu aperto al transito nel settembre del 1927. L’opera, che fu
costruita dalla “Società anonima bergamasca per la costruzione ed esercizio di
autovie”, avrebbe dovuto essere il primo tratto della autostrada Pedealpina o Pedemontana, che doveva congiungere
Torino a Trieste[4]. La sua costruzione costò 54 milioni di lire; i capitali investiti non
ebbero una sorte molto migliore di
quelli impiegati nella autostrada dei Laghi, tanto che nel 1938 finì anch’essa per essere rilevata dallo Stato.
La costruzione della Torino-Milano avvenne negli anni 1930-32, per iniziativa della “Società Anonima
Autostrada Torino-Milano”, nella quale ebbero molta parte il senatore Giovanni
Agnelli e la FIAT. Si trattò di un percorso
nettamente più lungo dei precedenti (circa 125 Km), e pertanto assai più
elevato fu anche il suo costo (circa 110 milioni di lire, per altro inferiore
di circa il 20% rispetto al preventivo di progetto); una parte significativa
dei capitali impiegati fu però coperto da contributi pubblici, statali e
locali. Ciò, assieme ad un maggior traffico di cui l’autostrada poté subito
godere, assicurò alla società promotrice la sopravvivenza e ne consentì
l’indipendenza dallo Stato.
Infine, benché il suo
percorso non arrivasse fino a Milano, mi sembra importante citare anche la
realizzazione della Autocamionale Genova-Valle del Po’, che facilitò
notevolmente il collegamento fra Milano, Genova e le Riviere Liguri. Questa
strada fu costruita in un contesto orografico ben più difficile di quello delle
opere fin qui citate, realizzando numerosi ponti e gallerie, che sarebbero poi
diventati la norma per le autostrade degli anni ’60. Essa fu completata in
circa tre anni dall’ottobre del 1932, all’ottobre del 1935; a differenza delle
altre citate l’onere della costruzione (175 milioni di lire) fu interamente a
carico dello Stato, tanto che l’opera veniva definita come “voluta dal Duce”.
Ma nonostante il suo carattere pubblico e l’affidamento all’ AASS, per il
transito su di essa si pagava il pedaggio.