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 Il Sestiere di Porta Romana

Bottonuto, vicolo delle Quaglie e Cantoncello

di Maria Grazia Tolfo

Pianta del Bottonuto nel XVIII secolo

 

L’intenso ricambio di popolazione verificatosi a Milano dal dopoguerra ha fatto sì che si perdesse in breve tempo la memoria di questo storico luogo, il Bottonuto, che riassumeva in sé un condensato di storia e leggenda.

L'antica fognatura del BottonutoIl Bottonuto era una pusterla aperta nelle mura romane, con i vicoli delle Quaglie e del Cantoncello rimasti a segnare l’andamento delle mura. Prendeva il nome dall’opera idraulica di convogliamento delle acque del Seveso – butin-ucum – , un’opera talmente importante da venire ricordata per secoli come aumatium. (vedi pagina)

Dal Bottonuto si usciva di città per andare al lago e all’arena, dal IV secolo in poi con la costruzione della via trionfale lungo il corso di Porta Romana, prevalse l’aspetto militare e religioso. Secondo Alessandro Colombo la pusterla del Bottonuto e la strada che vi confluiva (asse Tre Alberghi (scomparsa)-Speronari-Spadari-Armorari) acquisirono una connotazione militare e divennero la Quintana, ossia la via e la porta da cui di solito usciva l’esercito, mentre nel nostro caso entrava per la cerimonia del trionfo nella basilica del foro.

La Pusterla entrò nel XIV secolo fra i possessi dei Visconti e Bernabò la utilizzò come camminamento che metteva in collegamento il suo palazzo di S. Giovanni in Conca con la Rocca che sussisteva dove un tempo era l’anfiteatro gallo-romano.

Grazie alla forma del suo slargo, sul quale confluivano numerose vie e vicoli, il Bottonuto ebbe un ruolo centrale nell’accogliere crocette e altaroli durante le pestilenze del Cinque e Seicento. Nel 1606 si elevò la crocetta del Bottonuto o di S. Glicerio, dedicata al vescovo milanese attivo tra il 436 e il 438. La crocetta venne solennemente benedetta l’11 giugno 1607 dal cardinale Federico Borromeo. L’obelisco di granito rosso di Baveno poggiava su quattro palle di ottone e aveva alla sommità una croce, che doveva ricordare la Passione di Cristo. Ad essa si rivolgevano gli occhi di quanti, consigliati dalla prudenza a non uscire per strada, potevano pregare stando alle finestre delle proprie abitazioni. Mutati i tempi e svanite le emergenze, nel XVIII secolo presso la crocetta si teneva il mercato del vino. Nel 1872 l’obelisco, privato della croce, venne trasferito all’ingresso dei Giardini Pubblici dalla parte di corso di Porta Venezia.

La crocetta del Bottonuto nel 1600

La crocetta del Bottonuto in via Marina

Nello slargo del Bottonuto si trovava pure un tabernacolo dell’Adorazione dei Magi, in origine affrescato, poi riportato su tela nel 1723 da Jacopo Paravicini e conservato dentro un’ancona lignea.

Da immagini di pia devozione dobbiamo passare bruscamente alle descrizioni che, più o meno strumentalmente, ci tramandano gli scrittori del Novecento.

“Bisogna turarsi il naso. E’ un ambiente di case malfamate. Vi si vende di tutto. E’ una fogna, una pozzanghera. In certi momenti il vicolo delle Quaglie e un pisciatoio. Sovente c’è una ressa di soldati che lascia intendere che vi siano nascoste moltitudini di vergini. Le finestre sono sporche, diffuse su muri più sporchi di loro (…) Il sudiciume traspira dalle muraglie. Tutto è abominevole. La gente che vi vive è fradicia come le vecchie abitazioni del luogo. La demolizione sarebbe un salvagente. E’ una zona pestilenziale. Tutti fanno pancia, direttamente o indirettamente sulla prostituzione”. (Paolo Valera, Milano sconosciuta rinnovata, 1922, pp. 113-117.)

Il Bottonuto visto da via Pantano

da via Pantano... oggi

E con queste considerazioni si optò per la demolizione dello storico luogo, mascherando i progressivi intenti speculativi con la voglia di moralizzazione e pulizia. Il risanamento del Bottonuto risultò infatti funzionale all’immissione sul mercato fondiario di un’area centrale altrimenti declassata e, nel contempo, rispose all’esigenza di concentrare in un’unica area le operazioni finanziarie e commerciali.

Com’è diverso il tono della descrizione un trentennio dopo lo sventramento:

“(…) con tanti eloquenti spiragli aperti sulle sue facciate grige e insegne di trattorie alla buona, affumicate rivendite di cibi cotti, pesci fritti e polenta calda, rumorose cantine rinomate per la eccezionale densità dei loro prodotti, targhe di latta arrugginite, panchine per l’attesa dei facchini pubblici, edicole di giornali, vespasiano (dopo il 1865), strani scorsi di malfamata destinazione che oggi nessuno riesce più ad immaginare e che pochi – anche quando se ne cominciò la demolizione – indugiarono a rimpiangere”. (A. Cassi Ramelli, Il centro di Milano dal Duomo alla cerchia dei Navigli, Milano 1971, p. 42.)

Il Bottonuto in demolizione

 

Facciamo allora qualche nome di presenze del Bottonuto.

Al n. 3 (4977) era l’antica osteria delle Due Pernici, con sopra il casino detto “el Peocett”, frequentato dall’anarchico Bresci come alibi per l’assassinio di Umberto I. Divenne “el Serrali”.

Il Cantoncello era la parte chiusa verso S. Clemente. Era noto anche come “stretta degli Ebrei”.

Al n. 4 (4823) c’era l’albergo Ambrosiano, ma il dato più interessante è che sussisteva sull’aumatium, come si vide quando si dovettero costruire nel 1897 cinque archi di scarico sull’alveo del Seveso.

Al n. 5 (4976) c’era l’Albergo del Cantoncello, di proprietà del signor Marcionni, che voleva farne un locale alla parigina ma fallì e dovette adeguarsi alle usanze più proletarie del luogo. (Gutierrez, Dalle guglie al più antico S. Giovanni, 1936, p. 29.)

Altri locali nello slargo prima della demolizione: el Tramway, la Ringhera nel vicolo delle Quaglie, la Cà de la Mariuccia Barbisa Ciocattona, l’Albergo Rodi, il Cafè di’ Contratt.

Ultima modifica: martedì 5 dicembre 2006

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