San Dionigi
              
              
              
             di Maria Grazia Tolfo    
               
              
              L'esilio del vescovo Dionigi 
              
              
            Nel gennaio del 355 si radunò a Milano nella 
              basilica nova, appositamente costruita, un grande concilio 
              indetto dall'imperatore Costanzo e da papa Liberio, al quale convennero 
              più di trecento vescovi dall'Occidente. Ordine del giorno: condannare 
              una volta per tutte la posizione del vescovo di Alessandria, Atanasio, 
              il maggior avversario degli ariani. E Costanzo era un imperatore 
              ariano...   A Milano era stato eletto 
              nel 349 un vescovo di origine probabilmente greco-orientale, Dionisio, 
              che secondo la testimonianza del vescovo Ambrogio era in rapporti 
              di amicizia con Costanzo ancor prima di assumere l'alta carica. 
              Forse per amicizia, forse per come si presentava l'accusa rivolta 
              ad Atanasio - di sacrilegio, ossia di lesa maestà nei confronti 
              dell'imperatore - Dionigi (come viene chiamato a Milano) sottoscrisse 
              inizialmente la condanna.   Ma il destino 
              era pronto a vibrare un poderoso colpo alla sua ruota facendo giungere, 
              seppur in ritardo, l'intransigente e forse più accorto vescovo di 
              Vercelli, Eusebio, che riuscì a far invalidare per vizio di forma 
              la condanna, pretendendo poi che i vescovi, prima di esprimersi 
              nuovamente, facessero una professione di fede nicena. Il concilio 
              si spaccò: i vescovi ariani si dissero offesi e, per motivi di sicurezza, 
              si trasferirono nel palazzo imperiale, dove ribadirono la condanna 
              di Atanasio sottoscritta dall'imperatore.   Ai 
              vescovi scissionisti non restava che aderire alla condanna o incorrere 
              loro stessi in provvedimenti disciplinari. Di fronte al loro rifiuto, 
              si provvide a designare le destinazioni dell'esilio: Eusebio venne 
              tradotto a Scitopoli in Palestina; a Lucifero di Cagliari toccò 
              Germanicia in Siria e al nostro Dionigi un paesetto della Cappadocia, 
              dove morì intorno al 360.    
              
              Storia e leggende intorno alla cappella Sanctorum 
              Veteris Testamenti  
              
              
             
              
              Problemi circa l'ubicazione di S. Dionigi 
              
              
            Uno dei primi atti del vescovo Ambrogio, eletto 
              nel 374 dopo la parentesi ariana, fu quello di recuperare la salma 
              di Dionigi. La lettera del vescovo di Cesarea Basilio ad Ambrogio 
              ci informa che il luogo dell'esilio e della sepoltura era alquanto 
              distante da Cesarea di Cappadocia, visto che per andarvi bisognava 
              intraprendere un viaggio difficoltoso. Basilio loda il suo prete 
              Terasio per la generosità dimostrata nell'accompagnare in quel villaggio 
              i preti mandati da Ambrogio per prelevare il corpo di Dionigi, sfidando 
              le difficoltà dell'inverno del 375-376, così rigido che le strade 
              rimasero chiuse fino a Pasqua (5 aprile).   A 
              partire da questo punto le cose si complicano, innanzi tutto perché 
              il passo di Basilio è stato ritenuto una tarda interpolazione. Ma 
              anche ammettendo la veridicità delle affermazioni la chiarezza non 
              è maggiore. Secondo una consolidata tradizione la salma, dopo un 
              viaggio periglioso, sarebbe ritornata a Milano per essere deposta 
              in una cappelletta che aveva anche il titolo di Sanctorum Veteris 
              Testamenti o Santorum Omnium Prophetarum et Confessorum. 
              Era forse solo una di quelle piccole cappelle cimiteriali presso 
              le quali si potevano venerare reliquie che non avevano accesso all'interno 
              del pomerio, nel nostro caso quelle dei santi Canziani di Aquileia, 
              Canzio, Canziano e Canzanilla, qui deposte probabilmente dal vescovo 
              Ambrogio dopo il concilio di Aquileia del 381. Se seguiamo la disamina 
              dei documenti fatta dagli storici, non sembra però che il corpo 
              del vescovo sia mai arrivato a Milano; forse ne giunsero solo frammenti 
              di reliquie. Sappiamo che comunque esisteva il culto del vescovo 
              Dionigi presso quella cappella perché nel 475 gli viene posto accanto 
              il vescovo armeno Aurelio, di passaggio per Milano, e da quel momento 
              la cappella ebbe titolo di S. Dionigi ed Aurelio.   E 
              qui si apre un ulteriore problema, quello dell'ubicazione della 
              cappella Sanctorum Veteris Testamenti poi di S. Dionigi.  
              L'Itinerario salisburghese, scritto alla metà del VI sec., 
              elenca la tomba di S. Dionius fra le chiese del cimitero 
              occidentale e quindi non a Porta Orientale, come vorrebbe la tradizione. 
              Poco o nulla restava di questa primitiva costruzione già nei cosiddetti 
              secoli bui, tanto che nell'830 si "regalò" a Nottingo, 
              vescovo di Vercelli, il corpo di S. Aurelio, trattenendo a Milano 
              il capo e pochi altri resti; poco prima dell'anno 882 l'arcivescovo 
              Angilberto I  risolse di ricostruire la cappella, ma anche 
              di questa costruzione non resta traccia. E' probabile però che la 
              nuova chiesa, officiata dai preti decumani, si trovasse già a Porta 
              Orientale, associata ad una cappella più antica.  
            Uno scavo un po' affrettato eseguito dal prof. 
              Mirabella Roberti ai piedi della statua di Luciano Manara ai Giardini 
              Pubblici aveva posto in luce strutture in conglomerato del IV-V 
              sec., confermando quindi l'esistenza di una chiesa paleocristiana 
              nella zona. Questa chiesa conservava anche la dedica al Salvatore, 
              per cui non si potrebbe escludere che a questa chiesetta venisse 
              accorpata più tardi quella del Sanctorum Veteri Testamenti. 
              La chiesetta sorgeva però troppo lontano dalla città romana e dai 
              cimiteri cittadini del IV secolo per essere considerata una cella 
              memoriae; non dimentichiamo che erano soprattutto le donne a 
              recarsi quotidianamente in preghiera sulle tombe dei defunti o presso 
              le reliquie dei santi e quindi un tempietto così distante era di 
              fatto irraggiungibile, soprattutto in tempi di invasioni. Mentre 
              la Sanctorum Veteris Testamenti con la sua dotazione di reliquie 
              poteva trovarsi nel maggiore cimitero di Milano, a Porta Vercellina, 
              la cappella del Salvatore poteva essere un tempietto agreste per 
              la protezione dei raccolti.     
              
              Il sarcofago di Valerio Petroniano 
              
              
            Fra le antichità conservate nella chiesa, ma 
              della cui provenienza non si sa nulla, c'è un sarcofago pagano in 
              marmo di Musso dell'inizio del IV secolo, scolpito a Milano. Grazie 
              alla descrizione fatta da Ciriaco d'Ancona nel XV secolo conosciamo 
              il titolare, Valerio Petroniano, il cui nome era scolpito al centro 
              del sarcofago, recentemente abraso.   
            Nell'edicola ad arco di sinistra vi è un personaggio 
              col pallium, forse suo padre C. Valerio Eutichiano; a destra 
              un personaggio togato, identificato come Valerio Petroniano. Le 
              testate raffigurano scene della vita del defunto, mentre studia 
              i documenti di una causa e mentre la difende davanti a un personaggio 
              importante, forse l'imperatore. Petroniano era decurione, ossia 
              consigliere municipale, pontifex e sacerdos della 
              iuventus milanese, causidicus,  quindi una persona 
              di tutto rilievo nella scena politica milanese. La scritta ricordava 
              che aveva sostenuto a Roma cinque legazioni gratuite per la città. 
             
            
            
            Leggende 
              
              
            La prima leggenda che si sviluppò intorno a S. 
              Dionigi riguarda la venuta a Milano di S. Barnaba nell'anno 46. 
              L'apostolo, attraversata la città col vessillo cristiano nelle mani, 
              avrebbe piantato la croce il 13 marzo vicino al bastione di Porta 
              Venezia, in una pietra con un buco al centro e tredici tacche a 
              raggio. La chiesetta sarebbe sorta per racchiudere questa pietra, 
              detta del Tredesin de mars, ricordando l'avvenimento con 
              un'infiorata e una lapide latina, che così recita: "In questa 
              rotonda pietra fu eretto il vessillo del Salvatore da S. Barnaba 
              a postolo, fondatore della chiesa milanese, com'è provato dall'autorità 
              degli scrittori e dall'antica tradizione del popolo, qui accorrente 
              il 13 marzo". La leggenda è databile intorno alla fine del 
              X secolo.  
            Secondo un'altra leggenda, già diffusa nei martirologi 
              del 1089, il vescovo armeno Aurelio nel V secolo aveva traslato 
              il corpo di Dionigi dall'Armenia in Italia. Giunto a Cassano d'Adda 
              il feretro si era fermato improvvisamente e non era stato possibile 
              procedere oltre. Ambrogio fu avvertito di questo prodigio e, scoperchiata 
              la bara, si commosse abbracciando il corpo del suo predecessore. 
              Prodigiosamente Dionigi fu risvegliato dal sonno della morte e, 
              levatosi, passeggiò a braccetto con Ambrogio discutendo di questioni 
              teologiche. Poi chiese ad Ambrogio di essere sepolto a Cassano, 
              dove sarebbe rimasto fino al tempo di Ariberto, che lo trasferì 
              a Milano nella chiesa del Salvatore e dei Profeti.  
            Un'altra leggenda, sicuramente trecentesca, narra 
              di un drago a S. Dionigi, ucciso da Uberto Visconti. Così la racconta, 
              col suo solito compiacimento per il meraviglioso, il canonico Carlo 
              Torre: "Questo è il luogo dove fu ucciso da Uberto Visconte 
              il drago che coi suoi fiati apportava ai cittadini malefici danni, 
              mentre distoltosi da profonda tana se ne andava in giro a procacciarsi 
              il vitto. Generoso era Uberto, cavaliere di nascita, signore di 
              Angera, che prende il nome da Anglo, del ceppo d'Enea troiano, che 
              negli anni quattrocento dopo Cristo aveva a Milano il titolo di 
              visconte, poiché allora i Romani in Lombardia davano l'incarico 
              supremo a un meritevole eroe, che aveva il titolo di conte. Poiché 
              troppo gravoso era il peso per una sola persona, la carica si divideva 
              in due, e al compagno spettava il titolo di visconte. Uberto entrò 
              nell'arengo e vinse il mostro". E' quasi superfluo aggiungere 
              che il mostro sarebbe quello immortalato nello stendardo visconteo. 
                    
             
              
              Avvenimenti legati a S. Dionigi 
              
                
              
              Il mausoleo della Pataria 
              
              
            Il primo dei capi patarini ad essere sepolto 
              in S. Dionigi fu il campione Erlembaldo, ucciso il 28 giugno 1075 
              da Arnaldo da Rho. Nel maggio 1096 papa Urbano II riconobbe la santità 
              di Erlembaldo e insieme al vescovo Arnolfo II di Porta Orientale 
              traslò le sue spoglie in un degno sarcofago in S. Dionigi. Così 
              recitava la lapide commemorativa, ricopiata da Galvano Fiamma:  
            Urbanus summus praesul 
              dictusque secundus  
              Noster et Arnulphus pastor pius atque benignus  
              Huius membra viri tumulant translata beati.   
            Con questo gesto l'arcivescovo riconosceva le 
              istanze patarine e si appropriava della eredità ideale dei capi 
              della pataria per proporre ai milanesi un episcopato centro propulsore 
              di ogni attività riformatrice, contro le pretese dei patarini intransigenti. 
              Nel 1099 il neoeletto arcivescovo Anselmo 
              da Bovisio fece traslare dal monastero di S. Celso, dove era stato 
              sepolto, l'altro campione della Pataria, Arialdo, assassinato anche 
              lui il 28 giugno, ma del 1066, sull'isola del lago Maggiore. Le 
              due salme così ricongiunte nella cripta costituirono, insieme alla 
              presenza del sepolcro di Ariberto, una fortissima attrazione per 
              il clero riformatore e i fedeli patarini, che avevano una notevole 
              concentrazione nella zona nord-est di Milano.   L'arcivescovo 
              compì con questa operazione un atto eminentemente politico, perché 
              gli avversari più intransigenti della crociata che Anselmo stava 
              organizzando, dietro pressione pontificia, erano proprio i patarini. 
              L'opposizione nasceva dal fatto che per mettere insieme le ingenti 
              somme della spedizione si attingeva alle rendite delle parrocchie, 
              destinate (nel migliore dei casi) all'assistenza dei poveri.   
             
              
              L'eccidio dei ghibellini 
              
              
            All'inizio del 1266 Napo Torriani aveva nominato 
              suo fratello Paganino podestà di Vercelli. Il giovane fu assalito 
              il 29 gennaio da una banda di proscritti milanesi e trucidato. Per 
              rappresaglia i guelfi catturarono 13 milanesi e 70 pavesi ghibellini 
              e li tennero a disposizione per le onoranze funebri.   Il 
              lunedì 1° febbraio la salma di Paganino fu composta nella chiesa 
              di S. Martino al Corpo, fuori Porta Comasina; il giorno seguente 
              il feretro venne spostato a S. Dionigi, dove ebbero luogo le esequie. 
              Prima che Paganino venisse tumulato, i 13 sventurati ghibellini 
              fecero omaggio forzato della loro testa. Il giorno dopo fu la volta 
              di altri 13 ghibellini tenuti prigionieri nella torre di Porta Nuova 
              ad essere decapitati al Broletto Nuovo. Il 4 febbraio l'eccidio 
              ebbe il suo culmine con l'esecuzione, davanti a S. Dionigi, di altri 
              28 ghibellini rinchiusi nel castello di Trezzo.    
              
              La fine  
              
              
             
              
              La lenta decadenza 
              
              
            Nel 1164 i decumani di S. Dionigi, che avevano 
              convissuto fino a quel momento coi benedettini, si trasferirono 
              a S. Bartolomeo a Porta Nuova. Tuttavia solo nel 1217 i benedettini 
              furono veram ente soli a officiare la loro chiesa.   Intorno 
              al 1410 subentrarono i benedettini riformati di S. Giustina, più 
              noti come Cassinesi, che lasciarono il monastero intorno al 1433. 
              Una carta del 13 ottobre 1478 cita il primo abate commendatario: 
              Giov annantonio da Busseto.    Del 
              complesso di S. Dionigi ci restano solo le numerose descrizioni, 
              tra cui una testimonianza in un processo del 1521, in base alla 
              quale la chiesa risulta avere una pianta simile a S. Tecla, con 
              cinque navate e l'abside centrale maggiore delle due laterali. Nel 
              Cinquecento tutto il complesso era ormai decaduto e poco era valso 
              l'onore derivato al luogo dall'essere Luigi XII salito a cavallo 
              davanti alla chiesa nel 1509, dopo la vittoria di Agnadello. Il 
              fatto era stato riportato sull'arco che immetteva nel sagrato e 
              il Torre aveva potuto ricopiarne l'iscrizione.   Nel 
              1528 si ha un episodio di rapimento per riscatto di reliquie: i 
              famigerati Lanzichenecchi devastano chiesa e monastero e sottraggono 
              le sante reliquie nella cripta. Riscattati questi beni preziosi 
              per la cura dell'anima, nel 1532  tutte le preziose reliquie 
              vengono trasportate in Duomo.  
            Nel 1533 entrano i Serviti su richiesta del fiorentino 
              cardinal Salviati, abate commendatario di S. Dionigi, e del governatore 
              Antonio de Leyva, che vuole essere sepolto presso il monastero. 
              Per questo nuovo ordine si progetta la nuova chiesa.    
              
              Dalla chiesa cinquecentesca alla fine 
              
              
             Nel 
              1535 si delibera l'abbattimento dell'antica chiesa, per consentire 
              la costruzione dei Bastioni. Pellegrino Tibaldi ne costruisce una 
              nuova a tre navate con otto cappelle laterali e una lapide ne attribuisce 
              la volontà di ricostruzione al governatore Antonio de Leyva. Nel 
              1549, ultimati i lavori, si procede all'abbattimento della chiesa 
              di Ariberto e di parte del suo monastero, lasciando solo il campanile. 
              Il nuovo complesso è ricostruito più a sud.    Di 
              questa nuova chiesa ci restano i disegni eseguiti intorno al 1573 
              dall'Anonimo Fabriczy. Nel Settecento nell'atrio antistante la chiesa 
              c'era una cappella con una vasca d'acqua che curava gli occhi.   
             Nel 
              1770 si iniziò a sopprimere il convento e nel 1783 anche la chiesa 
              venne sacrificata per far posto ai Giardini. I Serviti portarono 
              a S. Maria del Paradiso, dove si trasferirono, le reliquie  
              superstiti, tra le quali la pietra del Tredesin de mars. 
              Il sarcofago di Ariberto venne trasferito in Duomo, dove tuttora 
              si trova. La croce di Ariberto, popolarmente abbinata al Carroccio, 
              passò alla chiesa di S. Calimero; nel 1848 fu ottenuta dal Governo 
              provvisorio che ne fece il simbolo della libertà civica, per essere 
              deposta nel 1849 nella chiesa di S. Maria del Paradiso e, infine, 
              passare nel 1872 in Duomo sopra l'urna di Ariberto.    
              
              Le Carcanine 
              
              
            L'hospitium dei poveri voluto da Ariberto 
              fu adibito secoli dopo a ricevere i bambini abbandonati oltre gli 
              otto anni, provenienti da S. Celso, per l'avviamento al lavoro. 
              A causa della decadenza nell'amministrazione dei beni in cui incorse 
              questo al pari degli altri enti assistenziali e ospedalieri, il 
              ricovero di S. Dionigi fu concentrato nell'Ospedale Maggiore.   
            Sulle rovine di parte del monastero Giovanni 
              Pietro Carcano costruì il monastero delle Carcanine, dette Turchine 
              dall'abito, con chiesa intitolata a S. Maria dei Sette Dolori.   
            Il monastero fu soppresso nel 1782 e fu convertito 
              nel Salone dei Giardini pubblici, poi abbattuto per costruire il 
              Museo di Storia Naturale. (Vedi la pagina sui Giardini 
              pubblici.)    
              
              Bibliografia 
              
                
              
              Testimonianze e leggende intorno alla cappella 
              Sanctorum Veteris Testamenti  
              
              
            Brandeburg H., La scultura a Milano nel IV 
              e V secolo, in Millennio ambrosiano, I, fig. 94, p. 83 
              Calderini A., La tradizione letteraria 
              più antica sulle basiliche milanesi, in Rend. Ist. Lomb. Scienze 
              e Lettere (Classe Lettere), LXXV, 1941-2   Calderini 
              A., Le basiliche dell'età ambrosiana a Milano in “Ambrosiana”, 
              Milano 1942, pp. 137-164   Cattaneo E., 
              S. Dionigi: basilica paleocristiana? in Ricerche storiche 
              sulla chiesa ambrosiana, IV, Milano 1974 (Archivio ambrosiano 
              22)   Cattaneo E., La religione a Milano 
              nell'età di S. Ambrogio, Milano 1974 (Archivio ambrosiano 25) 
              Giulini G., Memorie, I, pp. 31, 89, 
              297; III, pp. 247, 337, 431   Kinney D., 
              Le chiese paleocristiane di Milano, in Millennio ambrosiano, 
              I, p. 65   Mirabella Roberti M., Milano 
              romana, Milano 1984, pp. 130-131, figg. 132, 194   Paredi 
              A., S. Ambrogio e la sua età, Milano 1960, p. 187   Paredi 
              A., L'esilio in Oriente del vescovo milanese Dionisio, in 
              Atti del Congresso La Lombardia e l'Oriente, Milano 1963, 229-244 
              Romussi C., Milano attraverso i suoi 
              monumenti, Milano 1972, p. 42   Storia 
              di Milano, I, pp. 324-326, 258, 387, 594, 610, 652  
            Torre C., Il ritratto di Milano, Milano 
              1714, pp. 258-263   Traversi G., Architettura 
              paleocristiana milanese, Milano 1964, tavv. 34 e 35   Traversi 
              G., Una nota su S. Dionigi, basilica ambrosiana sconosciuta 
              in “Arte Lombarda”, VIII, 1963, pp. 99-102    
              
              La fine del complesso religioso  
              
              
            Bagnoli R., Le strade di Milano, IV, p. 
              1363   Fiorio M.T., Le chiese di Milano, 
              Milano 1985, pp. 146-7   Latuada S., Descrizione 
              di Milano, Milano 1737, V, pp. 318-31  
            Mezzanotte-Bascapé, Milano nell'arte e nella 
              storia, Milano 1968, pp. 507-508  
            Storia di Milano, III, pp. 108 n. 1, 196 
              n. 3; IX 596, 647  
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              lunedì 29 luglio 2002 
              
             
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