sei in La città >> Milano tecnica >>La storia della Azienda Elettrica Municipale di Milano; ritorna a Origini del sistema elettrico a Milano >>

 

La storia della Azienda Elettrica Municipale di Milano
nella cronologia della costruzione dei suoi principali impianti

di Gian Luca Lapini

 

Premessa

La lunga storia della Azienda Elettrica Municipale (AEM) di Milano si può raccontare, come per tutte le aziende industriali di rilevanti dimensioni, da molti punti di vista: organizzativo, politico, sindacale, economico oppure più prettamente tecnico. Si tratterà ovviamente di aspetti che di volta in volta interesseranno di più gli specialisti delle singole discipline, tutte per differenti motivi ugualmente importanti, e che concorrono a formare il vissuto globale di un “sistema tecnologico” complesso come quello costituito da una azienda che ha assicurato per oltre un secolo una delle principali fonti di approvvigionamento energetico di una grande città come Milano.

In ogni caso, poiché gli impianti di produzione sono quelli che costituiscono il nocciolo concreto di ogni impresa industriale, mi sembra particolarmente interessante sottolineare come e quando è avvenuto lo sviluppo di quanto ha costituito e tuttora costituisce il notevolissimo patrimonio materiale della AEM. Del resto la nostra storia inizia con la costruzione della Centrale Termoelettrica di piazza Trento, addirittura diversi anni prima della fondazione della azienda municipale, e già le origini sembrano in qualche modo sottolineare l’importanza che gli impianti hanno avuto nelle vicende societarie.

Ho cercato di produrre un testo sintetico e di agevole lettura, che sintetizza le notizie altrimenti rinvenibili in maniera sparsa in numerose pubblicazioni, che la AEM stessa ha lodevolmente curato nel corso degli anni, ma di non facile reperibilità, mantenendo un taglio che possa risultare agile ed interessante anche per un maggior numero di lettori rispetto a quelli che potrebbero essere interessati ad una impostazione troppo specialistica. A questo scopo inserirò qualche dettaglio tecnico solo nelle note, e in appendice, in due tabelle riassuntive, relative agli impianti idroelettrici e termoelettrici, che il lettore interessato potrà eventualmente consultare. Più in particolare per la situazione attuale degli impianti si potrà visitare l’ottimo sito della AEM, www.aem.it, alla sezione “i nostri impianti”, dove il lettore potrà documentarsi anche sulle numerose altre attività nelle quali la AEM è attualmente impegnata, rispetto a quelle “storiche” di produzione di energia elettrica sulle quali queste note si concentrano. In questo sito è anche disponibile un ampio archivio fotografico di immagini relative alla storia dell’AEM. Inoltre, chi volesse informazioni più in generale sulla storia del sistema elettrico milanese, può andare alla apposita pagina.

 

Dal servizio elettrico comunale alla AEM

La decisione di costruire un impianto municipale di produzione di energia elettrica maturò nella Milano dei primi del ‘900 dopo che a Palazzo Marino si fu insediata l’Alleanza dei Partiti Popolari, (radicali, socialisti e repubblicani), la coalizione di “sinistra” che dal 1 dicembre 1899 sostituì il blocco di partiti “moderati” che per quarant’anni aveva governato Milano.

Il panorama cittadino dell’elettricità era stato fino a quel momento completamente dominato dalla società EDISON, che a partire dalla costruzione nel 1883 della Centrale Elettrica di Santa Radegonda (vedi pagina) aveva detenuto il monopolio della produzione, fornendo quanto necessario per i servizi di illuminazione pubblica e di tram elettrici, e rifornendo anche gli ancora non numerosissimi utenti privati.

Inevitabilmente la Edison aveva un po’ approfittato di questa situazione di monopolio, tant’è vero che Milano aveva le tariffe più alte per il kWh elettrico fra tutte le città italiane (1 lira al kWh), ed anche il servizio fornito sembra non fosse eccezionale per affidabilità e dinamicità. Si era perciò creato un diffuso malcontento e risentimento nei confronti della Edison, e non è quindi difficile comprendere, che in un blocco di partiti ideologicamente ostili al “profitto capitalistico” fosse maturata l’idea di una iniziativa comunale che consentisse di affrancarsi dal monopolio Edison, in particolare avvicinandosi la data di scadenza della concessione ventennale per l’illuminazione pubblica che la Edison aveva ottenuto dal Comune nel 1884[1]. Ma l’ostilità verso la Edison era in realtà presente anche negli ambienti liberali-industriali, che mal sopportavano la situazione di assoluta mancanza di alternative e di concorrenza che si era creata a Milano[2].

In Comune, già a partire dal lavoro della Commissione di revisione del bilancio preventivo del 1901, erano state formulate esplicite critiche alla gestione tecnica ed economica della illuminazione pubblica cittadina, ed erano state espresse raccomandazioni affinché venissero acquisite delle concessioni idrauliche in vista di una possibile municipalizzazione del servizio. Ma era anche chiaro che il tempo a disposizione prima della scadenza della concessione era troppo scarso per realizzare degli impianti idroelettrici, ed era perciò necessario provvedere alla costruzione di un impianto termoelettrico (di più rapida realizzazione) che consentisse al Comune di farsi carico almeno dei servizi di pubblica utilità fino a quel momento svolti dalla Edison.

L’Ufficio Tecnico Comunale, allora diretto dall’ingegnere Tito Gonzales, fu dunque incaricato di redigere un progetto. Furono in realtà predisposte tre alternative, ipotizzando differenti livelli di estensione del servizio comunale; fra le tre alternative una apposita commissione consiliare scelse quella che prevedeva il maggiore impegno per il Comune, e quindi un suo diretto coinvolgimento nel mercato dell’energia elettrica, da fornire non solo per i servizi pubblici, ma anche per gli usi privati e industriali.

Con l’approvazione a fine dicembre del 1903 della delibera di municipalizzazione dei servizi elettrici (e la contemporanea disdetta alla Edison) scattò l’iter per la realizzazione della prima Centrale Termoelettrica Comunale[3] che venne costruita in piazza Trento, in prossimità del nuovo scalo merci ferroviario di Porta Romana, dove era agevole far arrivare il carbone necessario al suo funzionamento. L’iter realizzativo fu piuttosto rapido in quanto la prima tranche dell’impianto, per una potenza di 2,4 MW, entrò in funzione circa un anno e mezzo più tardi, il 30 giugno 1905. La Centrale era dotata dei macchinari più moderni disponibile a quei tempi; in particolare le macchine motrici non erano solo di tipo alternativo[4], ma comprendevano anche delle moderne turbine a vapore prodotte dalla Franco Tosi di Legnano, accoppiate ad alternatori Oerlikon.

Primo nucleo della Centrale termoelettrica comunale di Piazza Trento, con l’area prospiciente ancora tutta da sistemare: in primo piano, verso destra, la sala macchine, in secondo piano il capannone delle caldaie (verso 1908-1909) La Centrale termoelettrica comunale di Piazza Trento: rappresentazione pittorica del progetto (probabilmente verso 1905) La sala macchine della centrale termoelettrica comunale di Piazza Trento: in primo piano i gruppi turbina, sullo sfondo il gruppo alternativo (verso 1909)
La sala macchine della centrale termoelettrica comunale di Piazza Trento: in primo piano il gruppo alternativo, sullo sfondo i gruppi turbina (verso 1909) Centrale termoelettrica comunale di Piazza Trento: caldaie a carbone a caricamento manuale (verso 1909) Centrale termoelettrica comunale di Piazza Trento: caldaie a carbone a griglia rotante, a caricamento meccanico (verso 1909)

Questo primo impianto cittadino fu completato con la realizzazione nel 1907 della sottostazione di via Gadio [5](non lontano dal Castello) dove la corrente alternata prodotta in piazza Trento veniva trasformata in continua per alimentare parte della rete di illuminazione pubblica, quella che utilizzava le lampade ad arco, e dieci anni più tardi anche la rete tranviaria.

La Centrale termoelettrica comunale di Piazza Trento: in primo piano la cabina elettrica, in secondo piano la sala macchine; il capannone delle caldaie, non visibile, era nella zona delle ciminiere (1931) Sala macchine della Centrale di Piazza Trento, dopo ristrutturazione: in primo piano convertitori rotanti per la rete tranviaria (verso 1931) Particolare di una turbina a vapore della Centrale comunale di piazza Trento (inizio anni ’30)
Sottostazione di via Gadio: convertitori rotanti per la generazione di corrente continua (durante la costruzione, verso 1907) Sottostazione di via Gadio: convertitori rotanti per la generazione di corrente continua (dopo 1907)

Dopo la caduta dell’amministrazione Barinetti, le elezioni svolte all’inizio del 1905 videro la vittoria della Federazione Elettorale Milanese, un’alleanza fra il partito liberale e cattolico. La nuova giunta che fu guidata da Ettore Ponti, industriale tessile, con assessore ai lavori pubblici Giuseppe Ponzio, docente del Politecnico, confermò pienamente la strada intrapresa dalla precedente giunta, di costruzione di una alternativa municipale al monopolio della Edison, ed in questa direzione il Comune si diede da fare riuscendo ad acquisire, all’inizio del 1906, notevoli concessioni idrauliche sul fiume Adda, in Valtellina, fra Bormio e Tirano[6].

L’Ufficio Tecnico Comunale predispose anche in questo caso un progetto per la realizzazione di un impianto di produzione e di una lunghissima, per quei tempi, linea di trasmissione (150 km alla tensione di 65 kV) per portare l’elettricità fino in città, passando dalla val Valcamonica e dalla Val Cavallina. L’incarico fu affidato a due illustri professionisti: per la parte idraulica all’ing. Carlo Mina, che aveva realizzato la Centrale di Vizzola della Società Lombarda, e per la parte elettromeccanica all’ing. Giacinto Motta, docente di Tecnologie Elettriche al Politecnico di Milano.

Il servizio di orologi elettrici iniziato nel 1875 dai fratelli Gerosa
Percorso del primo elettrodotto a 65 kV per il trasporto dell’elettricità dalla Valtellina (in servizio dal 1910)

I lavori di realizzazione iniziarono nella primavera del 1907. La localizzazione della Centrale di produzione avvenne sulla riva sinistra dell’Adda, nel territorio di Grosotto, un comune poco a valle di Grosio. In questo primo impianto le acque del fiume, che venivano raccolte circa dodici chilometri a monte, in località Le Prese, venivano convogliate con una lunga galleria a pelo libero in quota fino alle condotte forzate sovrastanti l’edificio della centrale, alimentando le turbine idrauliche con un salto di circa 320 m. Dopo essere state “turbinate”, producendo la potenza di circa 12 MW, le acque ritornavano nell’alveo dell’Adda[7]. L’edificio della Centrale, come ancora usava a quei tempi, fu costruito in forme architettoniche eleganti e decorate, su progetto dell’architetto Gaetano Moretti (l’edificio fu poi rimaneggiato, ribassandolo, nel 1934, quando la cabina di trasformazione fu rimossa dal piano superiore per essere sistemata a fianco dell’edificio principale).

Aspetto originale dell’edificio della Centrale di Grosotto, progettato dall’architetto Moretti; la cabina elettrica è sopra la sala macchine (verso 1910) Interno della sala macchine della Centrale di Grosotto (verso 1910) L’edificio della Centrale di Grosotto dopo la ristrutturazione; edificio ribassato per spostamento cabina elettrica (dopo 1934)

Le costruzione dell’impianto avvenne in un tempo piuttosto breve, meno di tre anni, concludendosi verso la fine del 1910. Il consiglio comunale fu unanime nel semplificare le procedure burocratiche necessarie alla realizzazione dell’impresa, mantenendone una gestione “in economia” sotto il controllo di una apposita commissione consiliare. La città di Milano mise tutto il suo “peso” per superare sia le pressioni governative che spingevano nella direzione della realizzazione preventiva di una azienda municipalizzata (si sarebbero dovuti seguire i dettati della legge sulle municipalizzazioni del 1903, che imponevano complesse procedure burocratiche), sia le opposizioni locali che vennero fuori (nonostante l’ottenimento delle concessioni idrauliche) in corso d’opera[8].

Così, quando si giunse alla costituzione della Azienda Elettrica Municipale, con delibera del luglio 1909, ratificata dal referendum popolare del 10 aprile 1910, la costruzione dell’impianto di Grosotto era quasi terminata, e quando la AEM fu ufficialmente costituita, in data 8 dicembre 1910, l’energia valtellinese arrivava regolarmente a Milano già da un paio di mesi, tramite il lungo elettrodotto che era stato costruito contemporaneamente alla Centrale.

 

Lo sviluppo degli impianti in Valtellina

Come afferma Cesare Pavese nel suo saggio citato fra i riferimenti:

“ Il primo quindicennio di attività dell’Azienda milanese fu pesantemente condizionato, oltre che dai fattori esogeni di carattere generale quali l’economia di guerra, la conflittualità del cosiddetto “biennio rosso” e l’avvento del fascismo, anche da difficili rapporti con le diverse amministrazioni di opposto colore che si susseguirono alla guida del Comune. Spesso si ebbero dissidi e frizioni quando non addirittura tentativi, più o meno velati, di smobilitazione.”

In particolare la realizzazione di Grosotto mise a disposizione una grande quantità di energia che non fu tutta immediatamente collocata, dando il destro nei primi anni a pesanti critiche sulla sua costruzione e su tutta la gestione della società. Ma con l’inizio del conflitto mondiale nel 1914, la macchina industriale milanese cominciò a lavorare a pieno ritmo saturando rapidamente la disponibilità dell’impianto, dando anzi il via ai primi studi di potenziamento ed estensione degli impianti valtellinesi. Venne così elaborato un progetto per la costruzione in valle Fraele, alle sorgenti dell’Adda, di un bacino di accumulo che consentisse una migliore gestione di centrali da costruire a valle, ma il progetto non ebbe seguito per la eccessiva vicinanza dei luoghi al fronte bellico. Venne però avviata la costruzione della piccola Centrale della Boscaccia (2 MW), situata a monte di Grosio, che doveva coprire il debito cittadino di potenza, anche in previsione della municipalizzazione dei servizi tranviari avvenuta nel 1916-17. Questo impianto, che utilizzava acque dell’Adda prelevate a Boscaccia, una località qualche chilometro più a valle di Le Prese, entrò comunque in funzione solo nel 1919.


Centrale della Boscaccia (verso 1919)

Secondo quanto riportato da C. Pavese nel saggio già citato, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, l’ufficio tecnico della AEM predispose un piano complessivo di espansione e di costruzione di impianti idroelettrici in Valtellina, che avrebbe dovuto coprire i previsti incrementi delle domanda di energia elettrica di Milano, e che fu presentato in Comune alla fine del 1921. Il piano prevedeva un utilizzo “in cascata” delle acque del bacino superiore dell’Adda, dalla quota di circa 1850 m. slm della Valle Fraele, fino alla quota di circa 400 m. slm a valle di Tirano. Gli impianti previsti (che come vedremo non furono tutti realizzati) erano i seguenti:

  • impianto di Viola-Fraele, con centrale da situare in località Isolaccia, a monte di Bormio, in Valdidentro;
  • impianto di Cepina, a valle di Bormio, per l’utilizzo delle acque scaricate dal precedente impianto, con un salto di circa 200 m da Isolaccia;
  • impianto di Le Prese, che avrebbe sfruttato l’ulteriore salto da Cepina fino alla omonima località dove era stata costruita l’opera di presa sull’Adda per la Centrale di Grosotto;
  • impianto di Mazzo, a valle di Grosotto, che avrebbe utilizzato le acque dell’Adda dopo la confluenza del torrente Roasco;
  • impianto di Stazzona, a valle di Tirano, che avrebbe prelevato le acque dell’Adda a monte di Tirano stesso, a Ponte di Sernio.

La realizzazione cronologica di questo complesso piano non seguì l’ordine monte-valle che abbiamo appena indicato, ed anzi subì presto un importante cambiamento in quanto la centrale di Mazzo fu sostituita da quella di Roasco, che fu la prima a entrare in servizio. Col tempo, in ogni caso, l’idea fondamentale già contenuta in questo piano, di un utilizzo in “cascata” delle acque valtellinesi, sarebbe stato progressivamente attuato.

L’edificio della Centrale di Roasco, un bella struttura progettata dall’architetto Piero Portaluppi, fu realizzato poco a valle di Grosio, ai piedi del castello Visconti-Venosta, del quale riprende gli stilemi medioevali. L’impianto utilizzava le acque dei due rami del torrente Roasco, affluente di destra dell’Adda, ed era alimentato dello sbarramento artificiale della diga di Fusino, in Val Grosina, che fu realizzata per creare un lago artificiale di 200.000 mc, regolarizzando i regimi di piena del torrente. Le macchine della Centrale, che avevano una potenza complessiva di circa 14 MW entrarono in servizio nel gennaio del 1922, permettendo di inviare a Milano una energia di cui la città aveva molto bisogno, ma non ancora sufficiente, come dimostrarono i frequenti disservizi che si verificarono ancora per tutto l’anno seguente. La Centrale di Roasco fu successivamente potenziata due volte, nel 1927 e nel 1934, arrivando a produrre oltre 31 MW.

Gli edifici della Centrale di Roasco, progettati dall’architetto Portaluppi (1922) La diga di Fusino, terminata nel 1922 (foto del 1984) Interno della sala macchine della Centrale di Roasco, dopo il potenziamento (verso 1931)

I lavori dell’impianto di Fraele non furono invece iniziati fino al 1925, sotto la presidenza di Carlo Cicogna-Mozzoni. Egli puntò ad una rapida realizzazione della prima diga di Cancano (denominata anche diga di Fraele), del tipo ad arco-gravità, che avrebbe dovuto creare un enorme bacino di oltre 20 milioni di mc, per alimentare tale centrale, ma anche per incrementare l’energia producibile da Grosotto. Il presidente Cicogna diede anche l’avvio ad un potenziamento della centrale cittadina di piazza Trento ed al potenziamento della linee di trasporto; a tal scopo negli anni immediatamente successivi venne realizzato un secondo elettrodotto dalla Valtellina, alla tensione di 130 kV, che fece capo alla nuova stazione di arrivo di Precotto, detta Ricevitrice Nord, inaugurata nel 1932 (essa fu collegata con piazza Trento da alcuni cavi che attraversarono la città in cunicoli sotterranei).

La prima diga di Cancano (terminata nel 1928)         La stazione Ricevitrice Nord, zona di Precotto,
con l’arrivo dell’elettrodotto da Fraele (1931)

Ritornando alla prima diga di Cancano, ricordo che i lavori di costruzione di questo sbarramento, già previsto nei piani di anteguerra, erano iniziati nel 1921, e durarono molti anni anche a causa delle condizioni climatiche e di lontananza dei luoghi di lavoro, che costringevano a rallentare molto o sospendere il lavoro in inverno. Terminata la diga nel 1928, una prima tranche della Centrale di Fraele-Isolaccia (per 15 MW) entrò in servizio nel 1928; a questo impianto confluivano anche le acque raccolte da vari torrenti in Val Viola, tramite un complesso di opere di presa ed un lungo canale collettore, costruiti in quegli stessi anni, che riversavano tali acque nel bacino di Cancano.

La Centrale di Fraele-Isolaccia (1928) Centrale di Fraele: interno della sala macchine con tre gruppi Pelton (1931)

Dopo la prematura scomparsa del presidente, conte Cicogna, a seguito dell’entrata in carica dell’ing. Albino Pasini, nel 1928, il prof. Gaudenzio Fantoli del Politecnico ricevette l’incarico di compiere un nuovo studio di ottimizzazione degli impianti valtellinesi. Secondo il nuovo piano veniva annullata la costruzione della Centrale di Cepina e si sospendeva la realizzazione di Stazzona, mentre dovevano essere potenziate sia Fraele che Grosotto. Inoltre la vecchia linea di trasmissione della Valcamonica, doveva essere potenziata portandola da 65 a 130 kV, ed attestandola a Milano alla nuova Ricevitrice Sud, che entrò in servizio nel 1934. La realizzazione di questo impianto fu l’occasione del completamento anche il riordino delle linee e delle sottostazioni cittadine, che era iniziato con la costruzione della Ricevitrice Nord.


La stazione Ricevitrice Sud, in costruzione nella zona di viale Ortles (1934)

Per quanto riguarda la Valtellina, i lavori del comparto più a valle ripresero nel 1935 e la Centrale di Stazzona entrò in servizio nel 1938, aggiungendo altri 35 MW alla potenza disponibile sulla rete della AEM. Questa centrale veniva alimentata dalle acque dell’Adda prelevate tramite una traversa sul fiume realizzata a Sernio, poco a monte di Tirano. Da qui un canale sotterraneo a pelo libero, lungo più di 8 km, portava le acque fino alle condotte forzate della centrale, realizzata in caverna sulla sponda sinistra del fiume.

Rotore dell’alternatore della Centrale di Stazzona (1938)           Lo sbarramento sull’Adda di Sernio, che alimenta
la Centrale di Stazzona (foto contemporanea)

Verso la fine degli anni ’30, su indicazioni del governo, anche il Genio Civile di Sondrio compì uno studio di ottimizzazione delle risorse idriche della Valtellina, e formulò una serie di proposte. La AEM non accettò tutte le conclusioni di questo piano, preferendo puntare su progetti già elaborati in proprio, di realizzare un nuovo invaso a monte di quello di Cancano e di modificare la centrale della Boscaccia. Fu però fatta propria dalla AEM la proposta del Genio Civile di costruire un impianto a Lovero, un po’ più a valle della località di Mazzo, dove non si era realizzato un precedente progetto. I lavori per la Centrale di Lovero (44 MW) iniziarono nel 1942, in piena guerra, e poterono essere conclusi solo a guerra finita nel marzo del 1948.


L’ingresso della Centrale di Lovero, nel giorno inaugurale (1948)

La guerra interruppe anche i lavori della diga di san Giacomo, situata a monte della prima diga di Cancano, che erano iniziati nel 1939. Per la costruzione di questo imponente sbarramento, del tipo a gravità, il cui coronamento, lungo oltre 1000 m, si trovava a circa 2000 m. di quota slm, fu realizzato un imponente insediamento per le maestranze, chiamato “Digapoli”, costruito in maniera tale da attenuare il disagio del lavoro in quota ed in condizioni climatiche ostili. Imponenti furono anche le opere realizzate per il trasporto dei materiali, effettuato per ferrovia, e nel tratto finale con una filovia dotata di autocarri elettrici su gomma.


Autocarri elettrici utilizzati durante al costruzione delle dighe di san Giacomo e Cancano II
(fine anni ’40-inizio anni ’50)

In sostanza il patrimonio di impianti della Valtellina non subì danni significativi durante la guerra (meno fortunata fu la sorte di diverse strutture e impianti in città), e la AEM fu per questo in grado, nel dopoguerra, di riprendere abbastanza rapidamente le sue funzioni e di completare i lavori già iniziati. Così la diga di san Giacomo poté essere inaugurata nell’agosto del 1950. Ai suoi piedi fu costruita una centrale che sfruttava il salto di 75 m con il sottostante bacino di Cancano, producendo circa 6 MW; l’impianto era dotato di macchine reversibili che nei periodi di basso assorbimento della rete elettrica potevano ripompare in alto l’acqua, in modo da poterla riutilizzare nelle ore di punta.

La diga di San Giacomo durante la costruzione (anni '40) La diga di San Giacomo nelle fasi finali della costruzione (fine anni ‘40) Inaugurazione dello sbarramento e della piccola centrale alla base della diga di San Giacomo(1950)

Inoltre, nel dopoguerra gli impianti vennero convertiti dalla frequenza di rete di 42 periodi (che era in uso a Milano fin dalle origini), alla frequenza di 50 periodi (50 Hz). Ciò permise anche un più agevole scambio di energia fra le reti dei sistemi elettrici settentrionali (quello Piemontese, per esempio, funzionava prevalentemente a 50 Hz).

 

Il completamento degli impianti valtellinesi ed il ritorno del termoelettrico

Con la fine della guerra e l’arrivo in Italia degli aiuti del Piano Marshall, la AEM iniziò a considerare l’opportunità di dotarsi anche di un nuovo impianto termoelettrico (quello di piazza Trento pur via via aggiornato, era ormai obsoleto), ma alla fine la direzione dell’azienda decise di rifiutare l’offerta di costruire in proprio un impianto a vapore da 60 MW, puntando ad un nuovo forte potenziamento degli impianti valtellinesi, a Grosio e Premadio. In attesa di poter costruire nuovi impianti idroelettrici l’ AEM aderì comunque ad un consorzio per la costruzione a Tavazzano (vicino a Lodi) di un impianto termoelettrico da 130 MW, entrato in servizio nel 1952, di cui si assunse una quota di potenza di 24 MW, per una produzione annua di 150 GWh[9] (ciò permise di mettere fuori servizio la vecchia centrale di piazza Trento).


La prima Centrale Termoelettrica di Tavazzano, della STEI,
alla cui realizzazione partecipò anche la AEM (1952)

In Valtellina, nella valle Fraele la AEM iniziò nel 1953 la costruzione di un nuovo imponente sbarramento, denominato Cancano II, che fu collocato poche centinaia di metri a valle della prima diga di Cancano, alzando la quota di coronamento fino a 1900 m. slm; questo nuovo bacino captava con un imponente complesso di “canali di gronda” le acque provenienti da bacini anche piuttosto lontani, dalla zona del Gavia e dai Forni ad est (canale Gavia-Forni-Braulio), e dalla valle di Livigno a ovest (canale dello Spoel). Le acque del bacino Cancano II, che sommerse la precedente diga[10] (ed anche l’insediamento per le vacanze dei dipendenti che l’AEM aveva realizzato in sua vicinanza[11]) venivano convogliate, con un salto di circa 650 m. nella sottostante centrale, situata in caverna profonda in prossimità di Premadio. All’uscita di questa centrale le stesse acque entravano in un lungo canale sotterraneo che mantenendosi in quota le convogliava alla nuova diga della val Grosina[12] (costruita poco a monte della vecchia diga di Fusino, e completata nel 1960), e da qui con un salto di quasi 600 m. fino alla sottostante Centrale di Grosio. Quest’ultima nuova centrale, iniziata nel 1956, situata anch’essa in caverna profonda, divenne il nodo centrale del sistema valtellinese, in quanto in essa veniva prodotta un’ulteriore ingente potenza.

Le acque del bacino Cancano II sommergono
la precedente diga di Cancano I (1956)            
I bacini di san Giacomo (sullo sfondo) e Cancano,
alla loro massima estensione, dopo il completamento
della diga di Cancano II (fine anni ’50)
La nuova diga della val Grosina (1960)             La nuova diga della Val Grosina ed, a valle,
la vecchia diga di Fusino (2005)


Spaccato della sala macchine in caverna della Centrale di Grosio (1960)

La Centrale di Premadio entrò in servizio nel 1956, con due gruppi da 74 MW ciascuno, mentre la Centrale di Grosio entrò in servizio nel 1960, con due gruppi da 110 MW, portati a tre nel 1964 (e con la possibilità di costruire anche un quarto gruppo, di pari potenza). Contemporaneamente al completamento di Grosio, veniva messo fuori servizio l’impianto di Roasco, il cui edificio della centrale, situato nella stessa aerea dove sorsero la sottostazione elettrica e gli impianti ausiliari della Centrale di Grosio, fu destinato ad altri usi. Per portare a Milano l’energia prodotta in queste due nuove centrali venne anche realizzato un nuovo elettrodotto, con due terne trifase a 220 kV, ed anche i preesistenti elettrodotti a 130 kV vennero ammodernati elevandone la tensione a 220 kV.

Centrale di Grosio: un gruppo principale ed il gruppo ausiliario
installati in caverna (inizio anni ‘60)
Centrale di Grosio: sala macchine in caverna con i primi tre gruppi (inizio anni ‘60)

In parallelo allo sviluppo del sistema idroelettrico valtellinesi fu elaborato anche un piano di adeguamento delle centrali termoelettriche, sempre necessarie in un sistema, che pur dotato di ampie capacità di accumulo, era pur sempre legato ai capricci del clima.

Venne così previsto il raddoppio della capacità di competenza AEM della Centrale di Tavazzano, e nel 1958 iniziò la costruzione della Centrale termoelettrica di Cassano d’Adda, lungo il canale della Muzza (compartecipata per ¼ della capacità dalla ASM di Brescia), dove venne realizzato un primo gruppo a vapore da 75 MW, entrato in servizio nel 1961.


Caldaia e sala macchine del primo gruppo della Centrale di Cassano (1961)

Con la nazionalizzazione dell’energia elettrica nel 1963 e con la nascita dell’ENEL i piani costruttivi dell’AEM ebbero un periodo di stasi, nonostante la rapida e unanime decisione del Consiglio Comunale di Milano di richiedere all’ENEL (come previsto dalla legge di nazionalizzazione) la concessione alla prosecuzione dell’attività dell’azienda.

I piani per la costruzione di un nuovo gruppo termoelettrico a Cassano rimasero così in attesa di autorizzazione per tutti gli anni ’60, e quando nel 1970 l’ENEL decise di nazionalizzare la Centrale di Tavazzano, la AEM perse la disponibilità di 48 MW termoelettrici e si trovò a corto di capacità produttiva.

Il deficit produttivo fu parzialmente colmato nel 1975 con l’entrata in servizio a Cassano di un gruppo turbogas da 24 MW, che permetteva di coprire almeno una parte delle punte di carico[13].

La caldaia a recupero e la ciminiera del primo gruppo turbogas da 24 MW della Centrale di Cassano, a sinistra della caldaia del gr.1 (1975) Ingresso della centrale idroelettrica del Braulio (entrata in servizio nel 1986)

Inoltre nel 1976 fu progettato un nuovo impianto in Valtellina, che sfruttava il dislivello esistente sul canale Gavia-Forni-Braulio. L’iter realizzativo di questo impianto, denominato Centrale del Brualio, costruita in pieno territorio del Parco dello Stelvio (quindi in caverna per minimizzare l’impatto ambientale) fu peraltro abbastanza lungo e l’impianto entrò in servizio solo nel 1986 (potenza complessiva installata 19 MW).

Il progetto di un nuovo gruppo termoelettrico a vapore, Cassano 2, da 320 MW, da costruire ampliando l’area dell’esistente impianto, fu sbloccato nel 1976, ma l’impianto, costruito dalla Franco Tosi, entrò in esercizio commerciale solo all’inizio del 1984.

Lavori di costruzione del gr. 2 della Centrale di Cassano: la nuova ciminiera sovrasta quelle del gr. 1 e del turbogas (verso fine anni ’70) I due gruppi della Centrale di Cassano, visti dal canale della Muzza (1984) Centrale di Cassano, caldaia a vapore del gr. 2 (1994)

Un breve accenno anche al fatto che nel corso degli anni ’60 e ’70 l’azienda provvide all’adeguamento di una infrastruttura poco appariscente, ma altrettanto indispensabile degli impianti di produzione, per la fornitura del servizio agli utenti finali, cioè della rete cittadina di distribuzione dell’energia elettrica; furono realizzate/ristrutturate 13 sottostazioni principali collegate fra loro ed alle Ricevitrici Nord e Sud, da centinaia di km di cavi a 23 kV e da decine di km di cavi a 220 kV ad olio fluido. (fig 25)


Stazioni ricevitrici e sottostazioni AEM a Milano, alla fine degli anni ‘60

 

Gli sviluppi recenti

Negli ultimi venti anni della storia della AEM la situazione degli impianti valtellinesi, ormai consolidati nella loro struttura fondamentale, ha subito una evoluzione nel senso del rinnovamento e del potenziamento, mentre il comparto degli impianti termoelettrici è quello che è stato sottoposto alle maggiori trasformazioni, anche in conseguenza della trasformazione dell’azienda, nel 1985 in Azienda Energetica Municipale[14], e dei nuovi compiti che le sono stati così assegnati (a partire dalla gestione del servizio gas, dal 1982, e dalla metanizzazione dell’intera città, dopo l’acquisizione di questa attività ceduta dalla Edison).

L’impianto termoelettrico di Cassano è quello che ha subito le maggiori trasformazioni, iniziate nel 1994 con una serie di miglioramenti di tipo ambientale, quali vari adeguamenti dei sistemi di combustione e di trattamento dei fumi delle caldaie a vapore dei due gruppi.

Successivamente i due preesistenti gruppi a vapore sono stati completamente rinnovati, trasformandoli in moderni, e assai più efficienti, cicli combinati a gas-vapore; ciò ha implicato lo smantellamento delle caldaie a vapore ed il parziale riutilizzo delle turbine, degli alternatori e dei relativi impianti ausiliari.

Il gruppo 1 (inizialmente da 75 MW) è stato associato ad una turbina a gas Siemens da 155 MW, producendo vapore tramite una “caldaia a recupero” inserita sul circuito dei gas di scarico del turbogas: questa prima tranche di impianto è entrata in funzione nel giugno del 2001.

Il gruppo 2 (inizialmente da 320 MW) è stato associato a due turbine a gas General Electric da 255 MW, che tramite due caldaie a recupero producono con i loro gas di scarico il vapore necessario ad azionare la preesistente turbina a vapore. Questa seconda tranche di impianto, entrata in servizio fra il 2003 e il 2005, ha portato la capacitò produttiva di Cassano a circa 1000 MW, tutti prodotti con l’utilizzo esclusivo di gas naturale e con una efficienza energetica nettamente superiore a quella dei precedenti impianti a condensazione[15].

L’efficienza energetica complessiva dell’impianto di Cassano è stata ulteriormente migliorata con l’entrata in servizio nel 2004-2005 di una rete di teleriscaldamento che serve la città di Cassano, recuperando parte del calore prodotto dalle caldaie. Inizialmente l’impianto serve circa 1.400 abitazioni, recuperando una potenza di 18 MW termici, e sarà progressivamente ampliato nei prossimi anni portando il calore recuperato a 50 MW termici.

Val al pena di citare il fatto che la AEM non è nuova a realizzazioni di reti di teleriscaldamento cittadino la prima delle quali fu realizzata a Milano, nel lontano 1960, nel quartiere Comasina. Più di recente, alla fine degli anni ’90, sono state realizzati due altri importanti interventi a Milano, nel quartiere Bicocca Tecnocity (40 MW termici) ed a Sesto san Giovanni, in collaborazione con la Sondel (60 MW termici)[16].

Nel gruppo delle centrali della Valtellina sono stati effettuati invece i seguenti principali interventi:

  • realizzazione di un nuovo gruppo (10 MW) che sfrutta il dislivello fra le dighe di San Giacomo e Cancano (intervento in corso di completamento);
  • aggiunta di un nuovo gruppo da 78 MW nella Centrale di Premadio (entrato in servizio a fine 2003); la realizzazione del nuovo canale Viola, la sistemazione dei bacini di accumulo di San Giacomo-Cancano e il nuovo gruppo di Premadio, hanno consentito la messa fuori servizio definitiva della Centrale di Fraele;
  • ristrutturazione della Centrale di Grosotto-Boscaccia (danneggiata dall’alluvione del 1987) con la rimessa in servizio di un gruppo da 3,3 MW nel 2000 e di un gruppo da 10 MW nel 2004;
  • potenziamento, tramite sostituzione delle giranti, dei tre esistenti gruppi della Centrale di Grosio, ed installazione di un quarto gruppo (108 MW), entrato in produzione nel 2002;
  • potenziamento, tramite sostituzione delle giranti, delle turbine della Centrale di Lovero (intervento concluso nel 2004)

Infine ricordo la costruzione, fra il 2004 e il 2005, della mini-centrale idroelettrica che sfrutta un piccolo dislivello (circa 4, 5 metri) esistente alla Conca Fallata, sul Naviglio Pavese. L’impianto, inaugurato nel maggio 2006, è stato costruito in un luogo in cui le acque del naviglio hanno fornito per decenni energia al vecchio stabilimento delle Cartiere Binda. La potenza prodotta è modesta (0,35 MW), ma l’intervento è fortemente simbolico della volontà di utilizzare anche i piccoli, ma numerosi potenziali di energia rinnovabile.

 

Riferimenti

AEM (a cura di), Gli impianti della AEM, Opuscolo illustrato non datato (data probabile fine anni ‘60), Grafica Gibiemme, Segrate

AEM (a cura di), Alle radici dello sviluppo. I primi 50 anni di storia dell’energia negli archivi della AEM, Edizione AEM fuori commercio, Milano, 1992

AEM (a cura di), Milano Illuminata. Storia, immagini, urbanistica ed emozioni dell’illuminazione elettrica pubblica, Edizione AEM fuori commercio, Milano, 1993

AEM (a cura di), AEM: una storia milanese, Edizione AEM fuori commercio, Milano, 1982

Baldovin G, De Censi M., Lavori in corso sugli impianti AEM in Alta Valtellina, "Rivista Quarry&Construction", Aprile 2004, pagg. 69-84

Eugenio Barioli, L’impianto idroelettrico di Grosio dell’Azienda Elettrica Municipale di Milano, "L’Energia Elettrica", n.4, 1963

Claudio Pavese, L’azienda energetica municipale di Milano, in Piero Bolchini (a cura di), Storia delle Aziende Elettriche Municipali, Laterza, Roma – Bari, 1999

Francesca Polatti (a cura di), Centrali idroelettriche in Valtellina: architettura e paesaggio 1900-1930, BiblioEnel, Collana Cultura e industria, 2004

E. Trevisani, La meccanica e l’elettricità in Italia, Capriolo & Massimino, Milano, 1909

Vedi anche www.aem.it (sezioni “i nostri impianti”e “archivio fotografico”)

 



[1] Il Comune doveva dare la eventuale disdetta della concessione entro il 31/12/1903.

[2] Ovviamente di diverso avviso era il gruppo politico-industriale-bancario che sosteneva la Edison, con in testa il senatore Giuseppe Colombo (fondatore della società) il quale aveva condotto nel Senato del Regno una forte opposizione anche alla legge del 1903 sulle municipalizzazioni (legge 29 marzo 1903, n. 103), che pose le basi per la nascita di molte aziende comunali di servizio in numerose città italiane.

[3] L'impianto sorse su di un'area di 11.000 mq, dotata di binario di raccordo con lo scalo merci di Porta Romana. Il salone delle macchine era predisposto per l'installazione di sette macchine, per una potenza complessiva di 24 MW; al 1909 di queste macchine ne erano già state installate cinque, e precisamente:

- una motrice a stantuffo a triplice espansione Tosi azionante un alternatore trifase, 42 periodi, 8650 V, da 1,2 MW;
- una turbina a vapore Tosi, accoppiata ad un alternatore Brown Boveri da 1,2 MW;
- una turbina a vapore Tosi, accoppiata ad un alternatore Oerlikon da 2,5 MW;
- una turbina a vapore Tosi, accoppiata ad un alternatore Westinghouse da 4 MW;
- una turbina a vapore Tosi, accoppiata ad un alternatore Oerlikon da 3,5 MW.

Questi alternatori venivano eccitate dalla corrente continua prodotta da due dinamo azionate da un piccolo motore alternativo e da una piccola turbina a vapore, e da due convertitori, dotati di motore-dinamo.

Accanto alla sala macchine esistevano:

- un primo locale caldaie, dotato di quattro caldaie multitubulari Tosi, della superficie riscaldata di 340 mq ciascuna, e di due caldaie Babcock & Wilcox da 375 mq; tutte quante con caricamento del carbone a mano;
- un secondo locale caldaie dotate di quattro caldaie Babcock & Wilcox da 575 mq, dotate di griglie mobili automatiche e di sovrastanti silos per il caricamento meccanico del carbone; le caldaie erano dotate di surriscaldatori e di economizzatori, e producevano vapore a 13 atm; le pompe di alimentazione erano sia a stantuffo, sia centrifughe multistadio Wortington, azionate da motore elettrico; l'acqua di alimentazione era attinta da appositi pozzi.

Dalla Centrale di p,za Trento l'elettricità veniva distribuita tramite due feeders a 8650 Volt, ad anello, che seguivano in sotterranea la circonvallazione ed i navigli, e da un terzo feeder trasversale che raggiungeva il punto più lontano dalla centrale. La tensione distribuita alle utenze private era a 160 Volt, 42 periodi.
La Centrale fu ampiamente ristrutturata all’inizio degli anni ’30, con l’installazione di macchinari più moderni e di migliore rendimento, realizzati dall’Ansaldo.

[4] Di tipo alternativo erano le macchine utilizzate in quegli anni nelle altre centrali termoelettriche cittadine della Edison, Santa Radegonda, Porta Volta e via G.B. Vico. Anche a Porta Volta furono in seguito installate delle turbine a vapore.

[5] Nella sottostazione di via Gadio erano installati dieci gruppi convertitori, ciascuno costituito da un motore trifase a 8650 V accoppiato alle due estremità a due dinamo del tipo Brush, che producevano corrente continua a 48 V. Queste dinamo alimentavano ciascuna 4 serie di 40 lampade ad arco, usate per l'illuminazione del centro cittadino.

[6]Il Comune riuscì così a superare lo smacco subito nel 1903-04 quando la Edison aveva abilmente “soffiato” al municipio un paio di vantaggiose concessioni idrauliche: a Robbiate sull’Adda, poco a monte di quella Centrale di Paderno con la quale dal 1898 aveva assicurato a Milano un notevole rifornimento di energia; e sul torrente Devero (affluente del Toce), in val d’Ossola.

[7] Lo schema idraulico di questa Centrale, era molto simile (opera di presa sul fiume e canale di derivazione in galleria, vasca di carico e condotte forzate esterne) a quello della centrale Edison di Paderno, che evidentemente aveva fatto scuola e veniva replicato, come schema di successo, anche in altri impianti.

[8] La Valtellina, che fino alla fine dell’800 era rimasta un luogo marginale nell’economia Lombarda, cominciò a prender coscienza del grande potenziale energetico dei suoi monti e delle sue acque dopo la realizzazione dei primi piccoli impianti di illuminazione elettrica pubblica, come la Centrale di Sondrio-Arquino, entrata in funzione nel 1893. La deputazione provinciale di Sondrio diede per questo incarico nel 1896 al Genio Civile di compiere una ricognizione sistematica dei corsi d’acqua della provincia, che servì a quantizzare in maniera sistematica il notevole potenziale energetico da essi rappresentato. Un primo episodio di sfruttamento più sistematico delle acque avvenne con la costruzione in bassa valle a Campovico (Morbegno) di una centrale per la alimentazione elettrica della ferrovia Colico-Sondrio, che fu la prima in Italia, ed una delle prime al mondo, ad essere elettrificata, con linea aerea, fra il 1899 e il dal 1902. Dopo la ricognizione del Genio Civile iniziarono a pervenire ai comuni della valle un notevole numero di richieste di concessioni per l’utilizzo delle acque, da vari soggetti industriali (Falk, Gruppo Edison, Società Idroelettrica Italiana), e dal Comune di Milano, che fu il primo, nel 1906, a dare un concreto avvio alle costruzioni. Ma il modo con cui il municipio milanese aveva ottenuto le concessioni scatenò inizialmente una notevole opposizione locale: esse infatti provennero da una cessione dei diritti di sfruttamento che l’ingegnere tiranese Valmiro Pinchetti aveva ottenuto pochi mesi prima dai comuni compresi fra Tirano e Bormio, per la produzione locale di energia. Il Comune di Milano giocò però abilmente la carta di promettere ai comuni un compenso in denaro ed in natura (una parte dell’energia prodotta) come contropartita dello sfruttamento delle acque, e ciò servi a superare rapidamente le opposizioni locali, consentendo di dare un pronto avvio ai lavori. E’ interessante sottolineare che l’offerta di compensazioni fatta da Milano superava i limiti della legislazione nazionale allora in vigore per le concessioni idrauliche, i cui proventi andavano solo allo Stato ed in nessuna misura agli enti locali. Questo accordo col municipio milanese divenne quindi il modello anche per le concessioni che furono accordate agli altri attori industriali che costruirono impianti idroelettrici in Valtellina, che furono tutti costretti a pagare dei diritti alle amministrazioni locali. (cfr Polatti, capitolo secondo)

[9] La proprietà della centrale era della società STEI (Società Termoelettrica Italiana), un consorzio fra Montecatini, Edison, Falck , Aem e Agip, quest’ultimo non come utente, ma come fornitore del combustibile (metano). L’impianto era dotato di due gruppi da 65.000 kW, di costruzione americana, ed aveva un discreto rendimento, circa il 36%.

[10] Il bacino di Cancano II alla sua massima estensione arrivava ai piedi della diga di San Giacomo; fu pertanto eliminata la piccola centrale che esisteva alla base di quest’ultima diga. Nel 2004, in occasione dell’inizio del programma triennale di manutenzione straordinaria della diga, è stato però dato inizio alla costruzione di una nuova centrale che sfrutterà nuovamente il dislivello fra le due dighe, producendo una potenza massima di 10.000 kW.

[11] La perdita di questo insediamento sarebbe stata sostituita, agli inizi degli anni ’60, con la costruzione della colonia di Teglio e dell’albergo per i dipendenti di Bormio.

[12] Nei piani di quegli anni era prevista anche al costruzione di un ulteriore sbarramento a monte, la diga di Pugnalto, alla quota di 1485 m. slm, che non fu però mai costruita.

[13] Il calore di scarico di questa macchina poteva essere recuperato in una apposita caldaia ed utilizzato per preriscaldare l’acqua di alimento del gruppo a vapore; in tal modo si evitava di spillare vapore dalla turbina per compiere la stessa operazione, ed essa era quindi in grado di produrre una potenza maggiore, contribuendo a coprire i carichi di punta.

[14] L’AEM si è inoltre trasformata in società per azioni dal 1 dicembre 1996 ed è stata quotata in borsa nel luglio del 1998, quando il comune ha messo in vendita il 49% delle azioni.

[15] Nell’ambito della ristrutturazione di impianto è stato anche smantellato il primitivo gruppo turbogas da 24 MW, rivendendolo ad un produttore di energia straniero.

[16] Non è stato invece mai realizzato per incertezze politiche e per opposizioni locali, il progetto, sviluppato negli anni ’80, di un impianto di teleriscaldamento nella zona sud-ovest di Milano, in via Gonin.

Ultima modifica: martedì 1 maggio 2007

gianluca.lapini@fastwebnet.it