Dei sette figli che Bianca Maria diede a
Francesco Sforza, Ascanio seppe brillare di luce propria per intelligenza,
abilità politica, liberalità, mecenatismo. Trovò in fretta la propria strada
fra le nomine a cardinale protonotario apostolico conferitogli da Sisto IV e l’accumula di privilegi concessigli dal fratello Ludovico, di
cui divenne l’“alter ego”. Più atto a maneggiare armi che a snocciolar rosari,
come dimostra la sua superba armatura conservata nell’armeria reale di Torino,
seppe intervenire in aiuto del fratello quando le
sorti di casa Sforza erano compromesse. Vescovo di Pavia, amministrò anche i
vescovati di Pesaro, Novara e Cremona, la città in cui era
nato. Fu abate di Chiaravalle e di Sant’Ambrogio e utilizzò le rendite di questa abbazia per far costruire dal Bramante i chiostri e
la canonica, rimasti incompiuti a causa delle tragiche vicende della sua
famiglia. Tenne a Roma corte principesca, godendo della
considerazione del Sacro Collegio e dell’aristocrazia romana, partecipe assidua
delle sue feste e delle sue cacce. Ebbe una parte importante nell’elezione al
soglio pontificio di Rodrigo Borgia, il futuro Alessandro VI. Gli mostrò la sua gratitudine il Borgia, donandogli un palazzo di sua
proprietà, oggi noto col nome di palazzo Sforza Cesarini. Liberale coi poveri, alla sua morte una folla di popolani corse a
baciargli le mani. Di lui il Giovio ricorda:
Usò il detto monsignore Ascanio, innanzi il tempo delle sue rovine, certe nuvole illuminate
dal sole, quasi in forma di far l’arcobaleno, come si vede sopra la porta di
Santa Maria della Consolazione in Roma, ma perché ella è senz’anima [= senza
motto], ognuno la interpreta a modo suo per dritto o per rovescio.
Tavola 57 - La Nube Raggiante. A sinistra, clipeo di S. Maria delle Grazie, a destra, capitello nel cortile della Rocchetta.
Uomo d’arme e di Chiesa, costretto ad appartenere a due mondi opposti,
è significativo abbia scelto per impresa l’arcobaleno,
il ponte fra la terra e il cielo, lo spettacolo più bello che la natura possa
offrirci. E’ simbolo di conciliazione, quindi di pace. I Greci l’avevano
personificato con Iride, messaggera degli dèi; gli
sciamani lo dipingono sui loro tamburi, per loro è il ponte grazie al quale si
accede al mondo ultraterreno; Jahvè se ne servì per rassicurare Noè sulla pace
fatta tra Dio e l’uomo. Elisabetta I, la grande regina
d’Inghilterra, in un famoso ritratto del Gheeraerts tiene in mano un arcobaleno
accompagnato dal motto “non sine sole Iris”. Anche Elisabetta dopo sanguinose
lotte aveva conciliato i partiti avversi nella sua
terra. Proprio perché è un segno di pacificazione e promessa di un’altra vita,
quella vera, viene rappresentato sui monumenti
funebri. A Milano dei colori dell’iride è affrescata la cupola della cappella
Portinari nella basilica di sant’Eustorgio; un grande arcobaleno è affrescato
nell’atrio della Certosa di Pavia, cappella funebre della famiglia Visconti; un
arcobaleno che spunta dietro una nube grandinifera si trova nella cappella dei
marchesi di Saluzzo, imparentati coi Visconti:
Violante di Saluzzo era stata una delle tre mogli di Luchino; il vescovo
Antonio da Saluzzo si era fatto promotore con Giangaleazzo della costruzione
del Duomo di Milano. Lo ricorda fra i personaggi celebri la porta Minguzzi
sulla facciata del Duomo.
Tavola 58 - Sopra, la cupola iridata della cappella Portinari. Sotto, Marcus Gheeraerts il Giovane: ritratto di Elisabetta I con l’arcobaleno.
Date le vicende conclusive del ducato di Milano, la
cresta iridata con raggi può apparire di buon augurio al cardinale.
Ascanio intervenne a favore di Ludovico, ne portò in salvo i figlioletti con
quanto restava del dissanguato tesoro ducale, tornò con le truppe tedesche per
difendere Milano dai Francesi. Insieme al Moro, travestito da soldato tedesco,
tentò di mettersi in salvo. Furono entrambi catturati, ma mentre il duca veniva trascinato prigioniero in Francia (con soddisfazione
delle sue truppe mercenarie alle quali doveva da mesi il soldo), Ascanio,
grazie alle sue amicizie curiali, fu nel giro di un paio d’anni liberato.
Bartolomeo Cavalleri, ambasciatore estense alla corte di Francia, ricorda come
Ludovico si raccomandasse al fratello Ascanio “che
l’era più savio di luy” e lo pregava “gli volesse mostrare la via de uscire de
presone como haveva facto luy”. In mezzo alla rovina della sua famiglia, si
schiuse davvero per il cardinale il cielo, mostrando
l’arcobaleno, quello scolpito sul monumento funebre che il papa Giulio II volle
per lui eseguito dal Sansovino nella chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma e
che reca il motto “Buon tempo”.
Tavola 59 - Jacopo Sansovino: Monumento funebre del cardinale Ascanio Sforza. Roma, S. Maria del Popolo. L’impresa della Nube è ripetuta quattro volte nel basamento in corrispondenza delle colonne.
Tavola 60 - Uno stemma di Milano all’epoca di Filippo II (Milano, Castello Sforzesco). Il Biscione è stato cacciato dai Gigli di Francia, dalle Torri di Castiglia, dai Pali di Aragona e dai Leopardi d’Inghilterra (Filippo a quel tempo era sposato con Maria Tudor, la “Sanguinaria”). Unico ricordo sforzesco, in un angolino, la Mela Cotogna.