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Giovannola di Montebretto, Bernarda Visconti e il suo fantasma

di Maria Grazia Tolfo

 

Giovannola di Montebretto e Bernabò Visconti

Giovannola, piccola e rubiconda, era una delle giovani che, forse per motivi di parentela con il personale a servizio alla corte di S. Giovanni in Conca, era entrata fatalmente in contatto visivo col superbo Bernabò. La ragazza appariva allegra, disinvolta, per nulla intimorita dalla fama sinistra del nero Signore, quasi volesse sfidarlo alla sua conquista come una lepre marzolina sfida e gioca col cane che vuole azzannarla. Ma Giovannola era semplicemente una sventata, incapace di riflettere sulle conseguenze dei suoi comportamenti e totalmente priva del sentimento della paura, dono prezioso agli umani quando è dato in misura sufficiente a provocare la prudenza. 

Abitava a Milano in una casa presso la Torre dei Moriggi, nella parrocchia di S. Pietro in Vigna. Dopo che ebbe conosciuto Bernabò, si trasferì in una casa all'attuale Crocetta di Porta Romana, nella quale più tardi andò ad abitare Sagramoro Visconti.
Servadeo Bustigalli, familiare intimo e confidente di Bernabò, aveva il delicato incarico di trattare la questione economica con le donne prescelte dal suo signore, lavoro veramente impegnativo e senza noia, data la mole di relazioni amorose extra-coniugali di Bernabò. Cresciuto in un appartamento nella contrada alla Torre dei Moriggi, vicino a quello di Giovannola, Servadeo aveva avuto occasione di conoscerla giovanissima. E' lo stesso Servadeo a raccontarci che Bernabò fece chiudere con assi una scala della casa di Giovannola per evitare di essere visto dagli inquilini quando andava a trovarla, prima di regalarle la casa appena fuori la sua Rocca di Porta Romana. Come messaggero d'amore veniva utilizzato Giovanni Rampazzi, detto fra' Giovanni dai Cani, una losca figura di ruffiano che incontreremo ancora in più tristi circostanze.

Da Bernabò le nacque nel 1353 una bimba rosea e coi capelli biondo-rossicci come lei. Le misero nome Bernarda. Bernabò ne era così deliziato che decise il trasloco di mamma e figlia nella Rocca di Porta Romana, dove lui svolgeva le sue mansioni amministrative quotidiane, in modo da poterle avere sempre con lui. Questo non toglie che al Visconti in quello stesso anno nascesse Marco, il terzo figlio legittimo.

Fu per uno stupido scherzo mal riuscito e per il solito amore del rischio che Giovannola mise fine alla sua vita di concubina? Durante i festeggiamenti seguenti alla vittoria di Casorate, ottenuta dalle truppe viscontee l'11 novembre 1356 contro quelle imperiali di Carlo IV, Giovannola civettò con il capitano generale di Galeazzo, Pandolfo Malatesta, e come premio per la vittoria a un torneo lo omaggiò di un anello...che le era stato regalato da Bernabò. Pandolfo non era un rozzo condottiero, era figlio di Galeotto, signore di Fano, e faceva parte della dinastia dei Malatesta di Verrucchio che per due secoli riuscirà a tenere il dominio sulla Marca anconetana e su parte della Romagna. Aveva fama di gran seduttore, ma era anche colto e fra le sue sincere amicizie vantava Francesco Petrarca. Come poteva una sciocchina come Giovannola pensare di giocare impunemente a provocare una rissa tra Bernabò e Pandolfo per il suo amore? Forse riteneva di poter spiegare tutto a Bernabò, ignorando che le sue collere erano incontrollabili. Forse Pandolfo le era in realtà antipatico perché troppo compassato e voleva vederlo in difficoltà. Nessuno lo seppe allora né si saprà mai.

E' Pietro Azzario che ci informa delle conseguenze di un così incauto gesto. Pandolfo, ignaro del retroscena, si presentò a corte da Bernabò sfoggiando al dito l'anello di Giovannola (nelle regole cavalleresche sarebbe stato un affronto alla dama il non farlo). Peccato che Bernabò avesse buona vista e buona memoria: colpito dal bagliore dell'anello mentre Pandolfo gli faceva l'inchino di rito, sfoderò fulmineamente la spada e si avventò contro l'ignaro capitano che, perso l'equilibrio, inciampò provvidenzialmente nel fodero della sua spada e finì lungo e disteso per terra. Il colpo di Bernabò fese l'aria e non poté ripetersi, perché i suoi ufficiali si affrettarono a bloccare l'impetuoso signore: Pandolfo guidava un esercito e non era il caso di farsi scoppiare una guerra in casa!
L'ira di Bernabò era terribile, gli toglieva il ben dell'intelletto, e solo la moglie Regina riusciva ad arginarla e a smorzarla. Quando il marito ordinò che il Malatesta venisse decapitato senza processo, perché l'anello urlava come prova il suo delitto, Regina mandò d'urgenza a chiamare il cognato Galeazzo, che abitava nei pressi. 
Galeazzo riuscì a sottrarre a Bernabò il suo comandante, con l'assicurazione che avrebbe fatto eseguire lui stesso la sentenza di morte, invece lo fece fuggire. Pandolfo, scanso equivoci, si eclissò per un certo periodo in Terra Santa, seguendo l'Itinerarium Syriacum, una guida per la Palestina scritta dal suo amico Petrarca. Al suo ritorno passerà a militare al servizio del papa, nemico dei Visconti e saprà vendicarsi di quello spavento. Nel 1361, in occasione della guerra per Bologna, il Malatesta prometterà il doppio della paga di un mese alle sue truppe se sapranno disperdere le truppe di Bernabò. Per il Visconti sarà una batosta indimenticabile: più di mille morti e mille e trecento prigionieri.

Cosa ne fu di Giovannola? Poiché Bernabò non perdonava mai i tradimenti, dovette essere convinto che si era trattato di uno scherzo e, anche dietro pressione di Regina, dovette limitarsi ad espellere Giovannola dalla Rocca trattenendo la figlia Bernarda.
Giovannola, privata per sempre dalla figlia, ebbe la disgrazia di sopravviverle e di seguirne la tragica fine. Il suo amico d'infanzia Servadeo Bustigalli andava a consolarla durante quei giorni terribili e la trovava sempre in lacrime. Difficilmente uno scherzo potrebbe dirsi così mal riuscito.

 

Bernarda Visconti

Il matrimonio con Giovanni Suardo

Anche dopo il fattaccio occorso alla madre nel 1356, Bernarda continuò a vivere nella Rocca di Porta Romana, come testimonia Isabella de Cola, una sua coetanea che crebbe insieme a lei come compagna di giochi; venne allevata come un'orfana e vi rimase finché si sposò, viziata e coccolata dal padre.

Di lei si sa che era piccola di statura, rotondetta, con una faccina resa impertinente dal nasino aquilino, ma addolcita da una massa di capelli biondo miele. A 14 anni venne sposata con una dote di 7000 zecchini d'oro il 16 gennaio 1367 a Giovanni di Baldino Suardo, grande ghibellino e alleato visconteo nel dominio della città di Bergamo, dove la coppia andò a vivere in un palazzo presso la chiesa di S. Agata.

In occasione del matrimonio il castello di Bianzano ricevette una decorazione all'ingresso con gli affreschi delle Virtù cardinali e una serie di putti festanti, intercalati dagli stemmi dei Suardo e dei Visconti. Nella minuscola corte interna compaiono ancora le caratteristiche losanghe bianco-nere (nel WEB: www.cortedeisuardo.com/atrio.htm per gli affreschi).

La relazione con Antoniolo Zotta

La convivenza tra i due si era rivelata presto difficile e Bernarda, con l'assenso del padre, soggiornava spesso a Milano, nella Rocca di Porta Romana. Qui Bernarda strinse una relazione con un cortigiano, Antoniolo Zotta, ragazzotto sportivo, prestante e imprudente. Forse il castellano Giovannolo da Vedano, che non voleva avere problemi con il suo signore, li aveva pregati di essere più circospetti per non metterlo nei guai. Forse la risposta dei due giovani fu arrogante e ferì l'orgoglio del castellano, che aspettò il momento giusto per vendicarsi e mettersi nel contempo al riparo da punizioni.

Nella notte del 17 gennaio 1376 il Vedano fece irruzione con testimoni nella camera da letto di Bernarda e colse i due amanti in atteggiamenti inequivocabili. Lo zelante castellano denunciò la scoperta a Bernabò, che si trovava a caccia a Cusago. Accecato da una delle sue proverbiali ire, il Visconti ordinò che Antoniolo venisse consegnato al podestà per l'immediata esecuzione.
La punizione era veramente eccessiva, perché il reato commesso da Antoniolo - intrattenere una relazione con una donna sposata - prevedeva in realtà solo una multa di 100 terzioli, visto che non c'era stata violenza. Poiché Bernabò era laureato in giurisprudenza e amministrava da solo la giustizia nel suo territorio, pensò di giustificare la pena inflitta con un'accusa di tentato furto con scasso. Sotto tortura Antoniolo confessò di aver cercato di forzare la serratura di un cassone di Bernabò contenente preziosi. Tanto bastò perché il povero Zotta venisse tradotto su un asino al Vigentino e impiccato.

L'accanimento dimostrato da Bernabò suscitò sospetti. Si mormorò che era invidioso di Antoniolo in quanto era un giostratore più abile di lui; altri insinuarono che l'interesse di Bernabò per la figlia era incestuoso ed era soltanto perché Bernarda era una sua preferita che l'aveva ospitata a corte. Altri ancora ritennero che Bernabò non volesse perdere la faccia nei confronti di un suo prezioso alleato, il Suardo, che per altro non voleva vedere Bernarda neppure dipinta.
Le interpretazioni del gesto si complicano anche per via della parentela che legava Antoniolo a Bernabò. Luchina Visconti, l'unica figlia avuta dal grande Azzone, aveva sposato Lucolo Zotta: è probabile che lo sventurato giovane non fosse estraneo alla famiglia Visconti.

La prigionia a Porta Nuova

Ancora più insolito è il comportamento che Bernabò tenne con la figlia. Come primo provvedimento spedì fra' Giovanni dai Cani, il suo fedelissimo ruffiano, a gettarle acqua gelata sul capo e su tutta la persona - si era a gennaio! -, intendendo con ciò "spegnere il fuoco che la stessa aveva nelle natiche", secondo la dichiarazione dello stesso fra' Giovanni. Durante questa sadica procedura, Bernarda implorava urlando che facessero di lei quello che volevano, ma che lasciassero stare il suo amato Antoniolo. Questa supplica, riferita al padre, non fece che aumentare la sua ira: ordinò che Bernarda venisse scuriata con forza e solo l'intervento di Regina riuscì ad evitare che il marito infierisse con maggior accanimento.

La punizione per un'adultera colta sul fatto era la morte, ma siccome Bernabò non voleva che una sua figlia fosse sottoposta all'onta della pubblica esecuzione, preferì che Bernarda si consumasse naturalmente per inedia. La testimone Bianca Lampugnani, nipote del castellano di Porta Nuova Ambrogio Solaro, vide arrivare Bernarda scortata da Bianco Limoni e Filippo Casati, ufficiali di Bernabò. La sventurata venne chiusa in una camera e poco dopo fu raggiunta dalla cugina Andreola
Per espresso ordine di Bernabò, le due donne potevano alimentarsi solo a pane ed acqua. In anticamera, per sorvegliare che gli ordini venissero eseguiti, dormivano i due suddetti ufficiali in attesa del decesso, che tardava però a venire. Alla fine di maggio (erano già trascorsi cinque mesi) ci fu un'emergenza: le truppe bretoni erano calate in Lombardia per la questione di Bologna e i due ufficiali abbandonarono il loro comodo servizio di guardiani per raggiungere le truppe viscontee. Le prigioniere furono separate per motivi di sicurezza e da quel momento non ebbero neppure il conforto reciproco, ma solo il buio dei loro pensieri.

Bianca Lampugnani serviva loro la miserrima cena, ma Bianco Limoni confidò al figlio Luigi un particolare sulla detenzione: nella cella di Bernarda c'era una lampada ad olio che conteneva in uno spazio segreto del vino! Si scoprì che la carcerata beveva il vino con una cannuccia e mangiava il pane intinto nell'olio. Bernabò, per nulla intenerito da tanta vitalità, ordinò che le portassero solo candele, difficilmente commestibili.
Questo accanimento si spiega o con uno schema d'incesto o con l'identificazione fatta da Bernabò tra Bernarda e Giovannola, alla quale non aveva evidentemente perdonato la terribile figura fatta con il Malatesta e i conseguenti morti di Bologna del 1361. Bisogna ammettere che a Bernarda in ogni caso non fece buon gioco la somiglianza fisica con la madre!

Le due sventurate resistettero ben sette mesi a pane ed acqua, poi morirono. E' sempre Bianca Lampugnani che ci fornisce i dati sulla morte: Bernarda spirò nella notte di S. Francesco, il 4 ottobre 1376, mentre Andreola le sopravvisse solo di qualche giorno. Fra' Giacomo de Lapalada della chiesa di S. Francesco Grande e padre spirituale alla corte viscontea, chiamato in punto di morte a raccogliere le confessioni di quelle due donne, si allontanò sconvolto dal loro stato fisico e dall'intollerabile fetore delle celle. 
Informato del decesso, Bernabò chiese ad Antonio de Medici, nipote del castellano Solaro, se ci fosse qualche chiesa campestre fuori Porta Nuova dove seppellire in gran segreto le nipoti. La scelta cadde sulla chiesa di S. Giacomo fuori Porta Nuova.

Qui finisce la storia di Bernarda e inizia quella del suo "fantasma", una vicenda che non ha niente da invidiare a quella a noi contemporanea di Anastasia, la presunta figlia dello zar.

 

Il fantasma di Bernarda

La ricomparsa a Bologna

La prima volta che Bernarda ricomparve fu a Bologna, ma non è detto da dove provenisse. Secondo Andreino Lamairola si trattava di una donna alta una spanna più della figlia di Bernabò e molto magra, che di mestiere faceva la prostituta. Ma chi era veramente e cosa fece scattare nella sua mente l'identificazione con la figlia di Bernabò?
La morte di Bernarda era stata tragica, soprattutto perché ad ucciderla era stato il padre e non certo solo a causa del suo adulterio. E' probabile che la nostra sosia dovette sperimentare vicende analoghe, probabilmente abusi sessuali da parte del padre, che in uno stato alterato di coscienza la portarono a identificarsi in pieno con la defunta, come se dovesse riscattarla e quindi salvare se stessa. 
Chi la conobbe la considerò bachata, ossia con qualche rotella in meno, ma lei da quel momento si ritenne Bernarda Visconti. 

Le voci della presenza di sua figlia a Bologna allarmarono Bernabò, non tanto perché non fosse sicuro del fatto suo, ma perché temeva che il Suardo - suo ottimo alleato - si sentisse preso in giro, tanto più che si era risposato. Don Giacomo Bossi, prevosto di S. Maria Nuova alle Case Rotte, che all'epoca dei fatti aveva solo 17 anni, doveva prestare servizio presso Bernabò perché rilasciò questa testimonianza molto intima. 
All'arrivo della lettera da Bologna, Bernabò gettò con stizza la missiva sul suo letto e fece chiamare Bianco Limoni, che aveva scortato Bernarda alla Rocchetta e ne era stato per cinque lunghi mesi il custode. "Bianco, prendi questa lettera e leggila". Bianco, che poteva vedere i fulmini dell'imminente tempesta concentrati pericolosamente sul capo del suo signore e non desiderava che si scaricassero su di lui, sostenne con tranquilla fermezza che Bernarda era morta e sepolta a S. Giacomo, per cui la missiva conteneva un mucchio di sciocchezze.
Fu la volta di Antoniolo de Medici ad avvertire il fuoco sotto i piedi quando venne prelevato dalla guardia di Bernabò per tradurlo al suo cospetto: "Tu mi hai detto che Bernarda era morta e che l'avevi fatta seppellire; ora dimmi, com'è che ho notizia che essa vive a Bologna?" Antoniolo sostenne coraggiosamente lo sguardo alterato del signore, passando al contrattacco: "Ditemi chi sono quelli che vogliono farvi credere il contrario di quanto vi ho dichiarato; non mancano testimoni che possono dire la verità e che furono presenti alla morte e alla sepoltura". Superarono tutti la prova senza un'incrinatura nella voce.

Eppure Bernabò non si dava pace, dimostrando che ben altri fantasmi lo ossessionavano già prima della dura sentenza contro la figlia: accusò il castellano di Porta Nova di averla fatta fuggire e lo incarcerò con la famiglia in attesa della riesumazione. Bianco de' Limoni, parente di Giovannola di Montebretto per parte di madre, poté constatare che il cadavere non si era mosso dalla tomba e che "habeat ipsa Bernarda labia oris a parte superiori tota marcita e guasta" (Canetta, ASL 1883, p. 41). Lo sciagurato padre si acquietò, mandò la conferma della morte al Suardo e la cosa sembrò finita lì, almeno per lui.

Il fantasma si sposa

La stessa Bernarda fu segnalata - forse dopo la morte di Bernabò nel 1385 - a Firenze, dove la sua "sorellastra" Donnina Visconti la riconobbe, suscitando l'ironia del molto più anziano e disincantato marito John Hakwood (Giovanni Acuto). Per accontentare la moglie, il capitano accasò la presunta cognata con un suo arciere di nome Vilichoch.

Bernarda seguì il marito a Lucca, dove un giorno incontrò Andreino Lamairola - poi teste al suo processo di riconoscimento del 1424 - che descrisse così l'incontro: "Era già morto il signor Bernabò quando un giorno, passando per Lucca per certi miei affari, fui chiamato da una donna che era sposata a un inglese di nome Vilichoch, stipendiato a Lucca, che mi disse di essere Bernarda, figlia di Bernabò" (Mazzi, ASL 1906). Perché mai quest'ansia di farsi riconoscere?

Di passaggio a Milano nel 1400, Bernarda venne fatta incontrare con Isabella de Cola, che sarebbe stata la sua amica dalla nascita. Isabella si trovava nel monastero di S. Radegonda e non riconobbe quella che non era neppure una sosia, visto che era più vecchia, scura e col viso lungo. Ma anche questo misconoscimento non sortì alcun effetto rilevante.

Il cerchio si chiude

Troviamo infine Bernarda a Bergamo, dove era iniziata la tragedia. Cosa la portò sin lì? 
Giovanni Suardo si era risposato con Rizzarda Beccaria di Pavia, dimostrando così che almeno lui alla morte della prima moglie ci credeva. Dopo il colpo di stato del 1385 ai danni di Bernabò, era passato senza problemi dalla parte di Gian Galeazzo. Il 1° dicembre 1391, in occasione della morte di Amedeo VII, aveva fatto parte della delegazione viscontea in Savoia con Franchino Rusca, ritornando il 17 gennaio 1392. Nella primavera 1395 aveva fatto sposare la figlia Lucia, avuta da Rizzarda, a Giovanni figlio del milanese Milano Malabarba. 
Giovanni Suardo era infine deceduto il 19 ottobre 1402 in seguito a un incidente occorsogli a Gorgonzola, mentre si recava ai funerali di Gian Galeazzo. Il ponte su cui stava transitando cedette per la gran quantità di acqua e pioggia e Giovanni si fratturò la tibia. Fu trasportato a Vaprio per la medicazione, ma dopo dieci giorni morì di cancrena. Poiché non aveva fatto in tempo a redigere un testamento, la figlia Lucia per legge non poteva ereditare, essendo donna e per di più sposata. I beni dovevano essere divisi tra i parenti del Suardo.

Il 14 gennaio 1407 a Dalmine, alla presenza del notaio Bartolomeo di Vianova, di un console della città di Bergamo e di sette testimoni appartenenti a famiglie nobili bergamasche, Bernarda, figlia di Bernabò, cedette ai fratelli Pietro e Giovanni, figli di Guglielmo (cugino primo di Giovanni), tutti i suoi diritti sulle terre avute in pegno per la sua dote e i gioielli coi vestiti pregiati in cambio del corrispondente valore di 8000 fiorini. Il prezzo convenuto fu sborsato all'atto della cessione e Bernarda firmò la quietanza, rinunciando a qualsiasi futura rivendicazione. Con questo atto i fratelli Pietro e Giovanni Suardo si accaparravano i fondi di Sforzatica, Albegno, Sabio, Dalmine e Colognola che Bernabò aveva ottenuto come dote per la figlia in cambio dei soldi. Questi fondi erano vincolati alla questione della dote degli eredi di Bernabò, messa in discussione da Gian Galeazzo.

Cosa ne fu di Bernarda dopo che le ebbero consegnato gli ottomila fiorini? La vendita venne considerata solo fittizzia o la povera esaltata firmò in buona fede e quindi volle tenersi il malloppo? Oppure si accontentò di un risarcimento per il suo disturbo, ma in questo caso avrebbe dovuto ammettere con se stessa di non essere la vera Bernarda? Oppure fu vittima di una rapina e morì per la seconda volta? Come un vero fantasma, avuto il suo risarcimento morale, Bernarda si è dissolta. 
Quello che colpisce in questa vicenda è che alla fine fu proprio la legge, con tanto di notai e consoli, a stabilire che quella era Bernarda e che a procurarle il riconoscimento fu proprio la famiglia Suardo. Dal punto di vista legale, una vera truffa, dal punto di vista della Nemesi, giustizia.

Questa farsa dovette sembrare eccessiva anche ai contemporanei, perché nel gennaio 1424 si aprì un processo che durò due anni per stabilire la verità dei fatti. Grazie agli atti del processo abbiamo potuto ricostruire la storia. Ma al popolino il risultato del processo non interessò minimamente, perché ormai tutti erano certi che a combinare tutti questi scherzi era stato il fantasma di Bernarda e questa volta erano proprio riusciti bene!


Note a margine

Il castello di Bianzano con i suoi affreschi trecenteschi eseguiti per le nozze di Bernarda è restaurato e visitabile. E' studiato per essere stato sede dei Templari ed avere un orientamento particolarmente interessante per l'archeo-astronomia. 
La Rocca di Porta Romana dove si svolse la tragedia di Bernarda venne incendiata e saccheggiata nel 1385, durante il colpo di stato che travolse Bernabò e la sua famiglia. Sui suoi resti Francesco Sforza volle edificare la Ca' Granda.
La Rocca di Porta Nuova fu abbattuta e se ne sono perse anche le tracce.
La chiesa di S. Giacomo fuori Porta Nuova venne demolita per far spazio a piazza Cavour. Peccato, perché era stata una delle prime scuole popolari di Milano, gestite da Castellino da Castello a partire dal 1539.
Ancora oggidì qualcuno cerca il fantasma di Bernarda, anche solo per scriverci una storia...

Bibliografia essenziale

Canetta P., Bernarda, figlia naturale di Bernabò Visconti, ASL (Archivio Storico Lombardo) 1883, pp. 9-53, relativo al processo aperto nel 1424 e con i documenti.
Mazzi A., Bernarda, figlia naturale di Bernabò Visconti, ASL 1906

Ultima modifica: martedì 03 dicembre 2002

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