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Milano città acquatica e il suo porto di mare

di Paolo Colussi

 

 

Milano e l’acqua

Fig. 1 - Il sistema delle acque attorno a MilanoMilano sorge “in mezzo a molte acque”, tanto che da più parti si è cercato di interpretare il suo nome “medio-lanum” proprio come un’indicazione di questa sua posizione intermedia tra i corsi d’acqua. Una carta dei fiumi che le scorrono più da vicino ci mostra come sia posta tra il Ticino e l’Adda, tra l’Olona e il Lambro, tra il Nirone e il Seveso, in una strana successione di coppie di corsi d’acqua che vanno progressivamente diminuendo d’importanza avvicinandosi al cuore dell’antico centro celtico e poi romano.

Molta parte della storia di Milano, antica e moderna, si può interpretare come una lotta con l’acqua che si svolge attraverso i secoli vedendo prevalere ora la tenacia dei Milanesi, ora la resistenza dell’acqua ad assoggettarsi al loro volere. I benefici dell’acqua sono sempre stati molteplici, prevalendo l’uno o l’altro nelle diverse epoche storiche. In epoca romana l’acqua serviva soprattutto per le fognature della città e per facilitare i trasporti. Nel XII secolo diventa un elemento difensivo, al quale subito si affianca un utilizzo sempre più ampio come bene economico per l’agricoltura (irrigazione) e per l’industria (mulini). Dalla fine del Trecento, quando le ambizioni dei Milanesi diventano smisurate come la loro nuova cattedrale, l’acqua viene vista sempre più come un mezzo per trasportare persone e cose e da quel momento la costruzione dei canali navigabili (navigli) sarà un loro cruccio costante, un assillo che è ancora presente ai nostri giorni.

Percorrendo questo lungo viaggio nella storia di Milano capiremo perché l’acqua è ancora oggi qualcosa di speciale per questa città, tanto da giustificare strane leggende e una profonda nostalgia nei confronti di una scomparsa “città acquatica” simboleggiata dalle innumerevoli vedute dei Navigli che rappresentano per i Milanesi una sorta di paradiso perduto da rimpiangere o da riconquistare.

 

Portare acqua a Milano

Fig. 2 - Idrografia in epoca romana (da F. Poggi, Le fognature di Milano)Per quanto le informazioni siano piuttosto vaghe e incerte possiamo supporre che i Romani abbiano operato in modo da arricchire la dotazione di acque della città modificando il corso del Seveso con due derivazioni (Sevesetti), una in zona S. Marco per alimentare il fossato ed un’altra lungo il corso Venezia (poi chiamata Acqualunga), per portare l’acqua fino al centro della città servendo anche le Terme Erculee e poi i battisteri della cattedrale. L’acqua del fossato che correva lungo il versante occidentale delle mura era fornita invece dal Nirone e da alcune rogge riunite nel Rile de Crosa o Molia che correva lungo l’attuale corso Garibaldi fino al Pontaccio.

Le opere idrauliche più impegnative dei Romani riguardano però la zona meridionale della città dove tutti i corsi d’acqua sopra ricordati confluivano in un unico canale di scarico - la Vettabbia - che sfociava nel Lambro a Melegnano. Secondo Landolfo Seniore, lo storico vissuto nel secolo XI, il nome Vettabbia deriverebbe dalla parola latina vectabilis (“trasportabile, capace di trasportare”) perché al tempo dei Romani era navigabile e “unito al Po per mezzo del fiume Lambro, offriva alla nostra città tutte le ricchezze d’oltre mare.”

In effetti la Vettabbia era probabilmente il corso inferiore del Nirone trasformato in canale e arricchito con le acque del Seveso e della Molia.  La tesi della navigabilità di Landolfo Seniore è rafforzata da un’altra grande opera idraulica realizzata dai Romani che altrimenti non troverebbe una spiegazione soddisfacente: la deviazione delle acque dell’Olona. Le acque dell’Olona furono portate con un canale artificiale a confluire nel fiume Lombra (poi Mossa) verso Lampugnano, poi, all’altezza dell’attuale piazza Tripoli, furono deviate ancora verso est fino ad entrare in città mediante il canale detto Vepra, che percorreva le vie S. Vincenzo e Gian Giacomo Mora per raggiungere piazza Vetra e congiungersi alla Vettabbia. Non si capirebbe la necessità di un’opera così importante  se non si supponesse che la Vettabbia fosse utilizzata dai Romani anche per trasportare merci da e per l’importante porto di Cremona.

Anche se nessun documento dell’epoca ne parla, in epoca imperiale Milano avrebbe quindi avuto un porto capace di metterla in comunicazione con il Po e il mare Adriatico. Secondo alcuni studiosi questo porto si sarebbe trovato in via Larga dove il terreno presenta delle depressioni che hanno dato luogo in seguito a toponimi come via Postlaghetto e via Pantano. Alcuni ritrovamenti di banchine sostenute da palificazioni potrebbero suffragare questa teoria che non è però da tutti condivisa. Anche un Diploma di Liutprando (prima metà dell’VIII secolo) sul Porto alla foce del Lambro proverebbe per alcuni che lì si trovava un porto di interscambio per trasportare le merci da imbarcazioni più grandi ad altre minori che risalivano il Lambro almeno fino a Melegnano.

 

Il grande risveglio del dodicesimo secolo

(Nei capitoli sullo sviluppo del sistema dei Navigli, ci aiuteremo con alcuni link al sito degli Amici dei Navigli.)

All’inizio del XII secolo, la nuova organizzazione comunale della città e il fiorire di redditizie attività economiche trasforma l’immagine del territorio circostante da una placida area agricola in una gabbia che fa apparire sempre più difficili e costosi gli spostamenti delle merci. Alcuni centri circostanti, posti sulle principali vie di comunicazione in partenza da Milano, stanno diventando vicini scomodi da sottomettere, e nei confronti dei primi due tra questi - Como e Lodi - si scatena ben presto la furia dei nuovi ricchi. L’elezione a imperatore di Federico Barbarossa (1152) complica le cose. I comuni colpiti si rivolgono a lui per ottenere protezione, e Milano deve subire un primo duro monito e pesanti sanzioni nei confronti di alcuni castelli della “Bulgaria”, la regione tra il Ticino e l’Agogna che serviva da cuscinetto rispetto ai comuni di Novara e Vercelli. In vista della seconda discesa in Italia dell’imperatore, il Comune, consapevole della forte ostilità di Federico nei suoi confronti, incarica mastro Guitelmo di scavare un fossato di protezione attorno alle antiche mura romane. Le vicende successive sono troppo note per essere qui di nuovo raccontate. Ci interessa invece soffermarci su quanto avviene dopo la battaglia di Legnano (1176) e la successiva pace di Venezia (1178).

Nel 1179 i Milanesi decidono di scavare un lungo canale che, partendo da Tornavento sul Ticino, portasse l’acqua di questo fiume verso Milano, correndo per un lungo tratto iniziale parallelamente al Ticino. Un lavoro molto costoso  per una città appena uscita da decenni di guerre che avevano comportato enormi distruzioni e persino la deportazione in massa dei cittadini lontano dalle mura per parecchi anni. Da dove viene questa idea? A mio avviso, molte delle risposte date a questa domanda sono poco convincenti.

Poiché, alla fine, questo lavoro porterà alla creazione del Naviglio Grande, qualcuno ha pensato che fin da principio lo scopo fosse quello di creare un canale navigabile, anche se nessuno per almeno un secolo parla di navigazione su questo corso d’acqua che veniva chiamato “fiume Ticinello”. Altri hanno pensato ad un canale per l’irrigazione o per la creazione di mulini, ma queste due attività erano ancora molto rare a quell’epoca anche nei numerosi corsi d’acqua già esistenti. La terza e più probabile ipotesi, considerate le recentissime vicende politiche e militari, è quella di un’opera di fortificazione, una seconda linea di difesa verso occidente, capace di scoraggiare futuri assalti di città nemiche (Novara) o dello stesso imperatore. Negli stessi anni infatti anche i Lodigiani scavano un fossato - la Muzza - per crearsi un’efficace linea di confine rispetto agli aggressivi Milanesi. Comunque, come accade spesso a Milano, i lavori di scavo del Ticinello procedono a singhiozzo. Interrotti ad Abbiategrasso, sono ripresi nel 1233 per raggiungere Gaggiano, forse anche in questo caso per proteggersi dalle future incursioni del nuovo imperatore - Federico II - appena scomunicato dal papa.

Fig. 3 - Idrografia tra la chiusa e S. Eustorgio (da F. Poggi, Le fognature di Milano)Placatasi questa bufera, nel 1257 i lavori del Ticinello riprendono con un rilevante impegno anche finanziario, tanto che l’artefice dell’opera, il podestà Beno de’ Gozzadini, viene trucidato dalla folla inferocita per le tasse richieste per eseguire questi lavori. Il Ticinello arriva così finalmente a Milano, nei pressi di S. Eustorgio, da dove, percorrendo la via Sambuco, poteva raggiungere la Vettabbia presso la chiusa di S. Martino, nel punto dove questa usciva dal quel fossato che più tardi diventerà la Cerchia dei Navigli. Fig. 4 - La chiusa di S. Martino con la Torre dell'Imperatore e il Molino delle ArmiInvece di farle congiungere subito alla Vettabbia, vediamo però che le acque del Ticinello sono condotte in un canale parallelo a questa che le indirizza, guarda caso, ad irrigare proprio i terreni dei nuovi signori di Milano, i Torriani, che possedevano e coltivavano tutta l’area di Selvanesco a sud della città.

Nel XIII secolo, sulla scia dei Cistercensi, le pratiche di irrigazione sono ormai molto diffuse soprattutto per alimentare i prati a sud di Milano ed anche i mulini costituiscono un buon affare per chi dispone di un corso d’acqua. Il Ticinello, alla fine, si rivela un’opera molto redditizia. Nel 1296 le controversie per i diritti sulle acque sono numerosissimi e alquanto ingarbugliati, tanto che vengono convocati 14 giuristi per stilare dei responsi validi sull’argomento. Questi responsi, inseriti negli Statuti del 1396, saranno per molto tempo la base per dirimere le controversie in questa materia, che aveva assunto ormai una grande portata economica.

Con i Visconti, nel Trecento, la città continua a svilupparsi ed a realizzare quel programma di sottomissione delle città vicine già tentato senza successo due secoli prima. Milano, ormai dominatrice della Lombardia e di parte dell’Emilia, si sente padrona delle comunicazioni e i canali devono trasformarsi in “navigli”. Non è tutto chiaro ciò che avviene in questo secolo. Nel 1323, per proteggersi dagli assalti delle truppe papali che assediano Milano, si scava un nuovo fossato - il Redefossi - che probabilmente riutilizza l’antico letto del Seveso deviato dai Romani. Forse perché ormai protetta da questo nuovo fosso, pochi anni dopo la città sente di poter fare a meno del fossato interno trasformandolo nel Naviglio interno con le imponenti opere di sbancamento e abbellimento decise da Azzone Visconti. Il Ticinello è ormai utilizzato intensamente come mezzo di trasporto e presso S. Eustorgio l’attività di carico e scarico fa assumere a quest’area l’aspetto di un vero porto commerciale. Si parla sempre più insistentemente di rendere navigabile la Vettabbia e il Lambro per collegare Milano al Po, soprattutto per il trasporto del sale preveniente da Venezia. La conquista di Pavia del 1359 rende però questa esigenza meno pressante dal momento che è possibile utilizzare il suo porto per queste esigenze ed è anche opportuno riservare ai Pavesi, piuttosto scontenti della dominazione milanese, alcuni tangibili benefici. Anche la costruzione del castello di Pavia e il trasferimento in quella città di mezza Corte viscontea rientra forse in questo programma di pacificazione.

La costruzione dei due castelli di Galeazzo II - quello di Pavia e quello di Porta Giovia (poi Sforzesco) a Milano - avvia inoltre la realizzazione di due opere idrauliche che lasceranno un segno profondo sul territorio, determinandone il destino futuro. Sappiamo che in entrambi e casi accanto a questi castelli era prevista la creazione di due enormi parchi (“barchi”) cintati da adibire ad uso agricolo e luogo di svago e intrattenimento per il signore. Per irrigare queste ampie tenute, Galeazzo II fa scavale un canale verso Binasco e Pavia che convogliava verso sud le acque del Ticinello sul tracciato del futuro Naviglio Pavese. Un altro canale partiva invece dall’Adda e portava le acque al Parco del castello di Porta Giovia sul tracciato del futuro Naviglio della Martesana. Si tratta in entrambi i casi di lavori notevoli, ma limitati alla creazione di “cavi” o “acquedotti”. Solo in seguito si sentirà l’esigenza di trasformarli in canali navigabili.

La fondazione del Duomo nel 1386 e la necessità di spostare nel centro di Milano tonnellate di marmi estratti dalle sponde del lago Maggiore (Candoglia) intensifica l’uso del Naviglio Grande e fa emergere la scomodità del “porto” di S. Eustorgio, troppo lontano dai luoghi di destinazione di molte merci (pietre, ghiaia, sabbia, legname). D’altra parte, il Naviglio interno è più alto di 5 braccia (circa 3 metri) rispetto a S. Eustorgio ed era molto difficile superare questo dislivello. Sarà l’incontro degli interessi economici con quelli politici a dare l’impulso decisivo alla soluzione del problema con la creazione della “conca” di Viarenna nel 1439. Questa “conca”, attuata mediante l’apertura e chiusura di due chiuse poste ad una distanza capace di contenere una barca, consentì di superare questo dislivello - in salita e in discesa - in un tempo molto breve e con l’aiuto di poche braccia. I battelli con i carichi pesanti e ingombranti riuscirono così a raggiungere il “laghetto” di S. Stefano in Brolo nel cuore della città. Forse però questo sforzo non sarebbe mai stato compiuto se il duca Filippo Maria Visconti non avesse avuto i suoi motivi per sollecitarne l’attuazione. Questo duca, specialmente negli ultimi anni della sua vita, era diventato assai strano, per non dire “paranoico”. Temeva tutto e tutti. Risiedeva alternativamente nei castelli di Milano, Pavia, Abbiategrasso e Bereguardo che raggiungeva sempre in barca perché non si azzardava a spostarsi lungo le strade pubbliche. La conca di Viarenna (assieme alla conca di S. Ambrogio costruita nel 1445 nell’attuale via Carducci) era quindi indispensabile per uscire da Milano e raggiungere il Naviglio Grande. Sempre a questo fine farà scavare anche il Naviglio di Bereguardo, un canale di scarsa portata destinato ai soli battelli del duca, che verrà in seguito prolungato fino alle porte di Pavia.

 

Il periodo sforzesco

Nella seconda metà del Quattrocento, sotto il dominio degli Sforza, Milano vive una stagione di grande fervore economico che vede l’affermazione di nuove colture (riso e gelso) e di nuove industrie, prima fra tutte quella della seta. Con l’aiuto di due validi ingegneri, Bertola da Novate e Aristotele Fioravanti, gli Sforza moltiplicano le attività idrauliche entro i loro domini, sia per migliorare i trasporti, sia per incrementare le loro colture. Il Naviglio di Bereguardo viene migliorato e portato sino alle porte di Pavia. Da qui al Ticino restava però sempre da superare un salto quasi invalicabile di circa 20 metri. Sulla riva destra del Ticino, a scopo difensivo ed irriguo, sono scavati i navigli Sforzesco, Langosco e la Roggia Mora. Si pensa di rendere navigabile il canale per Binasco e Pavia, ma i lavori si interrompono presto o forse non iniziano neppure.

Fig. 5 - Veduta della MartesanaL’opera invece di maggiore impegno degli Sforza è la trasformazione del canale della Martesana in naviglio. Iniziata nel 1464, nel momento in cui Francesco Sforza è al suo apogeo, quest’opera procede speditamente fino alle porte di Milano, superando con arditi ponti-canale i fiumi Molgora e Lambro. Il periodo turbolento seguito all’uccisione di Galeazzo Maria e fino al consolidamento del ducato di Ludovico il Moro, fa interrompere per parecchi anni i lavori, resi difficoltosi anche dal forte dislivello presente nell’ultimo tratto del percorso, tra Gorla e il punto di destinazione: il Naviglio interno a S. Marco. Questi problemi tecnici saranno superati alla fine del Quattrocento con la costruzione delle conche dell’Incoronata e di S. Marco, che consentono alle imbarcazioni di approdare nel nuovo “porto”, che verrà usato sino a questo secolo quando vi arrivavano, per esempio, i grandi rotoli di carta per la tipografia del Corriere.

A questo punto, siamo nel 1497, esiste un sistema di canali navigabili che mette tra loro in comunicazione l’Adda e il Ticino, accostandosi molto da vicino al porto fluviale di Pavia e quindi al Po e all’Adriatico. Lo sforzo compiuto nel corso del XV secolo per realizzare questo programma è stato molto enfatizzato dagli storici di Milano, che hanno considerato quest’opera come un capolavoro che ha precorso le successive grandi opere di canalizzazione realizzate in Francia. Dall’inizio dell’Ottocento, si è cercato di dare un lustro ancora maggiore a tutto ciò attribuendo tutte le realizzazioni idrauliche a Leonardo da Vinci le cui opere di ingegneria erano state appena riscoperte all’Ambrosiana da Carlo Amoretti. Così gli viene attribuita la conca di Viarenna (non era ancora nato!) e i lavori della Martesana, eseguiti in gran parte prima del suo arrivo a Milano. Alcuni addirittura gli attribuiscono la Darsena a Porta Ticinese, realizzata verso la fine dell’Ottocento quando fu demolito quel tratto dei Bastioni. Tra tutte queste leggende, resta solo da verificare quale fu il suo apporto alla realizzazione delle conche di S. Marco e dell’Incoronata, da lui diligentemente disegnate nei suoi taccuini.

Alla caduta degli Sforza, all’inizio del Cinquecento, questo sistema di navigazione interno della Lombardia presenta però due importanti interruzioni che ne limitano molto l’efficacia: il collegamento con il lago di Lecco lungo il corso superiore dell’Adda e il collegamento con Pavia attraverso Binasco. Una volta eliminati questi due ostacoli, Milano avrebbe potuto dirsi davvero una “città acquatica” dotata di un potente porto, ma nel Cinquecento tutto ciò era destinato a restare un sogno. Eppure i tentativi non mancarono. Già Leonardo (quello vero, non quello del mito ottocentesco) aveva studiato il corso dell’Adda da Brivio a Trezzo per cercare la via migliore per collegare Lecco con Milano. Un tentativo più sistematico di affrontare lo stesso problema viene compiuto alla fine del Cinquecento dall’architetto, pittore e ingegnere Giuseppe Meda che nel 1580, a pochi anni dalla grande peste di S. Carlo, firma un contratto con le autorità municipali milanesi per la realizzazione di un canale parallelo all’Adda interrotto da numerose chiuse. I lavori iniziano nel 1591 e proseguono lentamente, con modifiche, crolli e ripensamenti, fino al 1603 quando i lavori sono giunti a Paderno.

Fig. 6 - Il Trofeo a Porta TicineseEntusiasmato da questo successo, il governatore spagnolo Pedro Enriquez de Acevedo, conte di Fuentes, avvia i lavori del Naviglio Pavese, anche questo su progetto del Meda. Fa anche di più, anticipando di secoli quella che recentemente è stata definita la “politica dell’annuncio”: fa costruire fuori Porta Ticinese una grande lapide - il “Trofeo” - nella quale il re di Spagna e lo stesso Fuentes vengono ricordati come autori di una grande opera ... appena iniziata. Sfortuna volle che le difficoltà incontrate appena fuori città nel punto dove in nuovo Naviglio doveva superare il corso del Lambro Meridionale e un forte dislivello, fecero arenare ben presto l’iniziativa. Il nome di quella zona - la “Conca fallata” - risuonerà per almeno due secoli beffardamente nei confronti dei politici incauti.

 

Sembra un lieto fine, e invece ...

Con le nozze dell’arciduca Ferdinando, il figlio di Maria Teresa d’Austria che si stabilisce a Milano nel 1771 come nuovo e autorevole governatore della Lombardia Austriaca, si chiude il tormentato periodo delle guerre e dei sacrifici economici ed inizia una nuova era, fervida di iniziative che mirano a trasformare il volto della città secondo i nuovi principi razionali dell’Illuminismo. Il problema dei due canali navigabili lasciati a mezzo torna alla ribalta. Milano deve potersi rifornire agevolmente dei materiali da costruzione necessari per il rinnovamento edilizio e sarebbe molto comodo poter disporre a costi minori delle grandi cave di pietra situate sul lago di Como. Così, una delle prime decisioni della corte riguarda il completamento del Naviglio di Paderno, che, grazie alle capacità idrauliche di Paolo Frisi e di altri, viene finalmente avviato e concluso, sicché dopo solo quattro anni, l’11 ottobre 1777, il nuovo Naviglio può essere solennemente inaugurato dall’arciduca. Da allora un fiume di pietre si riversa in città consentendo, tra l’altro, di lastricare la maggior parte delle strade.

Con il Regno d’Italia di Napoleone, trent’anni dopo, sembra che si possa finalmente porre rimedio anche a quel grave difetto di Milano che Bonvesin della Riva riteneva già risolvibile alla fine del XIII secolo: il porto di mare. Il 21 giugno 1805, Napoleone, appena incoronato re d’Italia, decreta che:

1°. Il Canale da Milano a Pavia sarà reso navigabile. Mi sarà presentato il progetto avanti il primo ottobre ed i travagli saranno diretti in modo da essere terminati nello spazio di 8 anni.

2°. Il nostro Ministro dell’interno è incaricato dell’esecuzione del presente decreto.

Neanche i perentori decreti di Napoleone, nel caso di lavori pubblici, sono sufficienti per far rispettare le scadenze. Tuttavia si riuscì abbastanza presto a superare le particolari difficoltà di quest’opera che venne inaugurata dagli Austriaci, di nuovo padroni della Lombardia, il 16 agosto 1819.

Avrebbe dovuto essere un giorno felice. Dopo la tanto attesa conclusione dei lavori del Duomo, anche l’altra opera interminabile, la realizzazione del porto di Milano, sembrava ormai giunta a compimento, ma non era così. Proprio in questi anni i battelli a vapore di Robert Fulton stavano riscuotendo enorme successo negli Stati Uniti per la loro velocità ed economicità soprattutto nella navigazione fluviale. Rispetto a questa grande rivoluzione tecnologica i battellini che percorrevano i nostri angusti navigli sembravano ormai destinati ad un utilizzo marginale. Il porto di Milano avrebbe dovuto essere ben altra cosa! Alcuni milanesi, affascinati dalle novità emergenti, vollero immediatamente rendere evidente questa nuova realtà adoperandosi per realizzare una linea di navigazione tra Milano e Venezia con battelli a vapore. I promotori di questa iniziativa furono Luigi Porro Lambertenghi, Federico Confalonieri e Alessandro Visconti d’Aragona, e il 6 luglio 1820 il primo battello a vapore - l’Eridano - salpò trionfalmente ... da Cremona. Gli eventi politici immediatamente successivi, con l’arreso o la fuga all’estero dei promotori per cospirazione contro l’Austria, interruppe questa impresa pionieristica, che fu ripresa successivamente in altra forma soprattutto come navigazione sui maggiori laghi lombardi, ma ormai il problema del porto di Milano, nel momento in cui sembrava risolto, sparì all’orizzonte come un miraggio nel deserto.

 

 

Le acque ctonie

Il nuovo volto neoclassico della città e la sua espansione nel corso dell’Ottocento avviò una guerriglia, lenta da principio, ma poi sempre più incalzante, contro i corsi d’acqua che scorrevano accanto alle strade di Milano, costringendoli a nascondersi l’uno dopo l’altro nel sottosuolo dove formano ancora oggi una misteriosa rete di canali, ignorata dai più, ma percepita dai milanesi come “un altro mondo” raggiungibile solo attraverso passaggi segreti e proibiti.

L’interramento dei canali interni era già stato avviato nel XVI secolo. Dopo il tratto della Vetra che percorreva via S. Vincenzo (o S. Calocero?) e via Gian Giacomo Mora, venne interrato il fossato che circondava le antiche mura romane lungo via Monte di Pietà, via Montenapoleone e via Durini, da un lato, e via Nirone, dall’altro lato. Nei due secoli successivi non si parla più di interramenti, anzi è tutto un fiorire, entro la cerchia dei Bastioni,  di nuovi canali, anche di minime dimensioni, che servivano ad irrigare gli orti e i giardini situati tra la cerchia dei Navigli e i Bastioni. La moda dei giardini all’inglese della fine del Settecento portò addirittura alla creazione di molti laghetti preromantici che accentuarono l’aspetto “acquatico” della città. Elemento gradito dell’arredo privato, in questo stesso periodo l’acqua diventa fastidiosa quando è presente nelle vie pubbliche. Si comincia dal borgo di Porta Orientale (corso Venezia) ad interrare l’Acqualunga, segue nel 1838 l’interramento della Roggia Borgognona lungo corso di Porta Tosa (corso di Porta Vittoria) e nel 1857, con rapido colpo di mano, scompare il Laghetto di S. Stefano. Nello stesso anno, tra l’orrore e lo sgomento di molti milanesi, viene presentato il primo progetto per la copertura della cerchia dei Navigli, un’idea che, come sappiamo, andrà definitivamente in porto negli anni 1930 avviando quella lunga scia di pubblicazioni nostalgiche della Vecchia Milano ancora oggi tutt’altro che esaurita.

 

 

E il porto di Milano?

 

Fig. 7 - Il porto di Milano - Progetto del 1907Nell’anno 1900, nel pieno dell’espansione edilizia ed industriale della città, l’ingegnere Paribelli del Genio Civile pensò di affrontare il vecchio problema del porto di Milano da un’angolatura diversa, che riprendeva in parte il tracciato già seguito probabilmente dai Romani, spostando però il punto di partenza delle imbarcazioni a sud della città, a Rogoredo, dove tutte le acque si raccolgono prima di avviarsi verso il Lambro. L’idea fu subito sviluppata da parecchi tecnici che segnalarono l’esigenza di creare sia un porto commerciale con diversi bacini disposti a pettine, sia un porto-canale industriale utilizzabile dalle industrie che avessero deciso di stabilirsi nell’area. Nel dicembre 1917, in piena “Caporetto”, l’Ufficio Tecnico del Comune portò all’approvazione il progetto definitivo che comportava ovviamente anche la costituzione di un’Azienda Portuale di Milano.

Fig. 8 - Il porto di Milano - Progetto del 1917Terminata la guerra, il progetto fu ripreso e avviato anche per dare un lavoro al gran numero di disoccupati di ritorno dal fronte. Dal 1919 al 1922 furono eseguite diverse opere: lo sbancamento del porto commerciale, lo scavo di 2 metri del porto industriale tra la via Emilia e la Paullese, lo scavo di alcuni tronchi del canale per circa 20 km a S. Giuliano, Lodi, Maleo e Maccastorna.

Nel 1922, le mutate condizioni politiche portarono ad una sospensione dei lavori, mentre il traffico alla Darsena di Porta Ticinese continuava ad aumentare parallelamente allo sviluppo edilizio della città. Il numero di imbarcazioni (oltre 70 al giorno) nel 1936 superava quello di porti affermati come quelli di Brindisi, Bari e Messina. Si trattava però di imbarcazioni di modesta portata (40/80 tonnellate) molto inferiori ai battelli di 600 tonnellate che percorrevano i canali francesi e che avrebbero potuto navigare da Milano a Venezia lungo il Po. I lavori andavano quindi ripresi, magari rivedendo il vecchio progetto del 1917. E così fu. Fig. 9 - Il porto di Milano - Progetto del 1940Verso la fine degli anni ‘30, sotto la direzione dell’ingegnere Giuseppe Baselli, Capo dell’Ufficio Tecnico Municipale, venne rivisto l’intero progetto al quale furono apportate alcune modifiche: mentre il porto commerciale restava ancora a Rogoredo, il porto industriale si spostava a sud di Milano con un lungo canale che si congiungeva al Naviglio Pavese sotto la Conca Fallata e proseguiva in linea retta fino al Naviglio Grande appena fuori dai confini comunali. Per superare i circa 20 m di dislivello tra Rogoredo e il Naviglio Grande erano previste tre conche. All’incrocio con i due Navigli, due grandi darsene avrebbero favorito l’interscambio tra i battelli più piccoli e quelli maggiori. L’alimentazione di questo grande porto-canale era assicurata da un nuovo “Naviglio Grande” derivato anch’esso dal Ticino che avrebbe seguito un tracciato diverso da quello dell’antico Naviglio Grande.

Fig. 10 - Il porto di Milano - Progetto del 1941Questi importanti lavori comportavano il “vantaggio” di poter sopprimere i tratti dei due navigli dentro il territorio comunale e la darsena di Porta Ticinese consentendo la costruzione di più ampie strade e una più facile espansione abitativa dell’area. Restava in sospeso il problema del raccordo con la Martesana, da effettuarsi in un secondo momento con un canale che sarebbe passato ad est dell’idroscalo. Anche il tracciato del canale da Milano al Po subiva alcune modifiche: anziché restare sempre parallelo all’Adda, attraversava questo fiume per dirigersi direttamente su Cremona.

Il Piano Regolatore Generale del Comune di Milano, approvato nel 1953, recepì in pieno tutte le indicazioni del progetto del 1941, ma i lavori non vennero avviati. Con il nuovo ordinamento regionale, nel 1972, la Regione Lombardia proclamò l’imminente inizio delle opere. Si acquistarono terreni e si costituì un nuovo organismo, che, in collaborazione con le altre regioni che si affacciano sul Po, si è adoperato per migliorare la navigazione su questo fiume, costruendo anche alcuni canali che scorrono paralleli al suo corso. In Lombardia si è scavato un tratto di canale da Cremona all’Adda (Canale Milano) che per ora giace tra i campi inutilizzato. Il decreto del 3 giugno 2000, infatti, ha soppresso e messo in liquidazione il Consorzio del canale Milano-Cremona-Po.
A Milano, oltre a intitolare “Porto di Mare” una stazione della Metropolitana, non si è fatto ancora nulla, ma non bisogna disperare, le navi da Milano arriveranno al mare quando “i potenti di questa terra indirizzeranno le loro forze a compiere quest’opera, con lo stesso impegno con cui ora si distruggono a vicenda ad estorcono denaro ai concittadini per sostenere le loro scelleratezze” (De magnalibus Mediolani, cap. VIII, righe 199-201). Parola di Bonvesin da la Riva!

 

 

 

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Ultima modifica:  mercoledì 20 marzo 2013

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