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 Per ricordare Giacomo Campi

di Umberto Gatti

 

Madonna Binago

Madonna con sole raggiante e Bambino

 

Introduzione

Questo breve documento vuole portare il lettore alla conoscenza di una realtà cui posso accennare con poche pagine ed alcune immagini, sicuro che sarà il lettore stesso a valutare la realtà dei fatti e dei comportamenti umani. Poche le pagine perché non sono uno scrittore, non molte le immagini perché è già una fortuna averne salvate alcune. E' detto comune che la storia, anche quella locale, è fatta dagli uomini. Condivido questo detto ma vorrei aggiungere che gli uomini non sono avulsi da Cielo e Terra ed anche quando la storia non viene scritta questi due elementi operano. Il primo, il Cielo, vede negli atti degli uomini anche le storie mai tramandate, la seconda, la Terra, incide eventi mai scritti. Non è un pensiero astruso ma è come intendo io ed interpreto nell'episodio dell'adultera il gesto del Maestro che si inchina e scrive sulla Terra. Sento in questa scrittura una incisione indelebile dell'oggettività dell' agire umano.

Tuttavia racconterò quel che segue per fare un po' di storia, inserendomi nella realtà popolare di questo detto e perché, sentendo un forte anelito verso la giustizia e volendo omaggiare lo spirito artistico, ho il dovere di informare e documentare su una questione che con l'arte ha a che fare. Diversamente lasciando correre tutto nell'oblio, farei un' omissione verso i miei concittadini villaguardiesi e non potrei sperare che, dopo di me, altri si prendano in carico di arricchirla, nel rispetto della verità. Qui però, in questo concetto di "villaguardiese" devo ben differenziare tra chi, oggi, tace perché non sa e chi tace sapendo. Mi prendo la libertà di scrivere il nome di questo borgo come più sento consono ai miei ricordi nel rispetto di questi e della corretta letteratura, siano questi nomi Villaguardia, Villa Guardia o La Guardia.

 

La Casa Gatti di Villaguardia

Un giorno dell'anno 2001 la vecchia Casa Gatti di Villaguardia, acciaccata e sofferente ma ancora forte e con tante energie in corpo ed una grande anima dentro, si accasciava al suolo in pochi istanti. Un gran polverone e poi il silenzio, rotto forse solo da qualche singhiozzo di chi ha rispetto di una vecchia. Vecchia sì, aveva almeno un secolo e mezzo di vita. Era tra le più vecchie, forse la terza, di quella plaga boschiva che ancora non aveva un nome e che molti anni dopo sarebbe stata chiamata La Guardia. Acciaccata sì, perché, persi gli antichi amori padronali nel breve tempo degli anni 1987-1989 e non trovando fortuna negli affetti dei nuovi padroni si era lasciata un po' andare. Sofferente sì, perché sapeva di essere corteggiata dal vicino Municipio e non era sicura che questo l'avrebbe rispettata nella sua dignità di vecchia. Aveva il presentimento che un giorno sarebbe successo qualche cosa di brutto, temeva che si sarebbe potuto farle del male. Tante energie sì, aveva un corpo solido con una struttura sanissima e la sua anima era grande, un po' per la ricca storia vissuta attraverso la quale si era consolidata ed irrobustita ma soprattutto perché aveva avuto la grazia di essere accarezzata, agli inizi del 900, dal pennello di un valente pittore: Giacomo Campi, che nel 1913 si dilettò a dipingere i suoi affreschi sulle pareti di quei locali.

Solo le grandi e belle ville signorili potevano ambire a tanto privilegio e lei si sentiva un po' imbarazzata delle carezze di quei pennelli, chissà forse un po' vezzeggiata anche se conosceva le ragioni di quel misterioso privilegio. Non che si sentisse indegna, affatto! Era bella, grande e armoniosa. Sapeva di essere stata costruita senza economia di materiali e di spazi, ma quel ben di Dio di affreschi non erano di certo la normalità per una casa ad uso civile come quella che ospitava una famiglia della piccola borghesia ottocentesca.

La casa fu costruita, quasi contemporaneamente ad altre due dalle simili sembianze, da Luigi Peregrini. Fu costui un capomastro di Civello che viveva nella antica Torre dei Rusca in una piccola porzione di ciò che era rimasto del castello distrutto dagli spagnoli nel '600. Visse a cavallo del 18° e 19° secolo. Luigi Peregrini ebbe numerosa figliolanza di cui l'ultimogenita fu Valenta.

Come dono di nozze per questa figlia il padre Luigi edificò la casa e Valenta ed il suo sposo Antonio Gatti (nonno di mio padre Antonio) vi entrarono ad abitare. Ancora oggi nel famedio del cimitero di Maccio esistono entrambe le tombe dei miei bisnonni paterni e si può leggere la longevità di questa Valenta nata nel 1835 e morta nel 1934 quasi centenaria. Siamo in pieno ottocento attorno alla metà del secolo e da questo periodo quella casa fu sempre chiamata “la casa Gatti di Maccio”. Antonio Gatti e Valenta Pellegrini in Gatti ebbero molti figli e figlie. Uno di questi, Riccardo, generò mio padre Antonio. Un altro di questi figli, il più giovane, si chiamava Piero (alcuni anziani ricorderanno ancora il suo nomignolo "Pierin fuschet") ed era il vinaio del borgo e serviva modeste quantità di vino alla comunità di Maccio e di Civello. Poiché anche mio padre era commerciante di vini a Como, portò nei primi anni 60 dopo la morte dello zio Piero Gatti, la sua attività commerciale a Villaguardia e vi condusse la mia famiglia a risiedere, essendo la proprietà e la casa assai spaziose e disposte in tal modo da permettere l'una e l'altra cosa. Aveva un bel giardino, grandi e fresche cantine, un magazzino per l'attività commerciale, un bel porticato con un pozzo e tanti locali, ben nove, tra cui una grande cucina con un enorme camino a paratia, uno di quei camini lombardi che hanno una nicchia con le panchine attorno. In questa casa ho vissuto serenamente dal 1963 al 1983 insieme ai miei genitori Marta Fioretti in Gatti e Antonio Gatti, unitamente ai miei fratelli Oreste e Riccardo.

La mia famiglia vi entrò definitivamente nel 1963, dopo alcuni restauri ed ammodernamenti. Avevo 15 anni, tuttavia, già da diversi anni venivo a Villaguardia perché mio padre Antonio era in trattativa di acquisto con lo zio Piero Gatti. Ci andavo in automobile con mio padre nel 1954 salendo da Como, ma anche in tram, accompagnato da mia madre perché ero piccolo. Una volta, avrò avuto penso 6 o 7 anni, mi capitò di dormire in quella stanza ospitato dallo zio, affrescata con la bella madonna e tutte quelle figure attorno. Ebbi una impressione cosi particolare che mai ho dimenticato. Dopo divenne una abitudine convivere con quelle bellezze, ma quella volta provai emozioni profonde. Uno degli aspetti tecnici che mise un po' in difficoltà i miei genitori rispetto alla questione degli ammodernamenti era quello di come si potessero far conciliare le necessità abitative con l'esistenza degli affreschi nel rispetto del patrimonio artistico. Si decise che la camera da letto originaria, spoglia di mobili perché tutte le pareti erano totalmente dipinte, fosse convertita in salotto. Si chiuse una apertura di accesso secondaria ad un'altra cameretta e quella porta divenne una libreria.

Fu un salotto libreria e vi andavo, ormai ragazzo e studente, per immergermi nella lettura anche se poi presto mi ritrovavo, naso in su, in totale distrazione perché lo sguardo veniva dirottato dalle pagine del libro verso le immagini dei muri. L'immagine l'aveva vinta sulla parola scritta e se i libri erano sempre nuovi e diversi, le immagini di quei muri, eternamente uguali, erano sempre magicamente affascinanti e nuove. Oggi guardo al passato con un po' di nostalgia per la vecchia casa e non ho nulla da recriminare sulla sua demolizione anche se personalmente avrei auspicato un suo restauro ed una buona destinazione perché sono convinto che per un borgo che ancora deve scrivere la sua giovane storia una casa antica, ricca di storia, potesse essere un elemento di vanto e di fascino. Sono sicuro che quella casa avrebbe voluto continuare a vivere, ma se anche il destino avesse voluto diversamente sono certo che avrebbe accettato serenamente la morte se avesse potuto lasciare a Villa Guardia ed alla sua vita culturale, la cosa più bella di sé: l'arte pittorica. Restano di quella realtà pittorica queste mie fotografie. Sarò felice di sapere che continueranno a vivere nelle case di Villa Guardia, ereditiere di una piccola storia.

 

Giacomo Campi (1846-1921)

Giacomo Campi, oriundo cremonese, nacque a Milano nel 1846, iniziò gli studi pittorici con il professor Gandolfi, passò poi all'Accademia Carrara a Bergamo sotto il pittore Scuri; quindi lavorò a Roma in Vaticano, al Collegio Romano col pittore Francesco Podesti. Nel 1870 si stabilì a Milano dove aprì uno studio. Suoi dipinti sono in molte nobili dimore milanesi: nella casa Bagatti - Valsecchi, nella casa del Manzoni, in piazza Belgioioso a Milano, nel castello Arnaboldi in Carimate, nella casa del Duca Melzi, del Principe di Castelbarco, in alcune ville a St.Moritz e San Remo, nella casa Giacobbe di Magenta, nell'albergo Plinius in Como ed Angleterre di Venezia, presso il banchiere Alplon a Parigi; nelle sale d'udienza al palazzo reale di Monza, a Romanengo, a Cardano al Campo, a Saronno, in Vaticano, all'Accademia di S.Luca a Roma; a New York. Re Umberto lo insignì del titolo di cavaliere; la città di St.Moritz gli diede la cittadinanza svizzera; il governo lo nominò professore di disegno; fu socio onorario di numerose Società artistiche italiane. A Giacomo Campi si devono anche gli affreschi che rivestono la volta del Teatro Lirico di Magenta. Morì l'8 dicembre 1921.

Affreschi nel Teatro Lirico di Magenta
Affreschi nel Teatro Lirico di Magenta

 

Lascia un centinaio di quadri e altrettante opere minori. Queste quasi duecento opere furono esposte alla mostra postuma del 1922 in piazza Mercanti. Tempere, quadri ad olio, acquarelli e opere a carboncino. Fu non solo paesaggista di valore ma ritrattista finissimo che arricchì le quadrerie dei Borromeo, dei Belgioioso, dei Falcò, degli Stanga e degli Arnaboldi. Sensibile ai fermenti culturali della città, partecipò alla Scapigliatura Milanese. Fu pittore simbolista. Fu volontario garibaldino del 1866 e, nonostante avesse idee manifestamente repubblicane, divenne amico di re Umberto I per il suo talento di affreschista. Si conobbero nella villa reale di Monza. Lavorò nella casa del Manzoni e fu scenografo al teatro della Scala. Si dedicò a molte opere benefiche primeggiando fra schiere di artisti e filantropi che decoravano i bei salotti milanesi e la Società Artisti e Patriottica. Era un tipo a sé, pieno di sensibilità e delicatezza. Tenero coi fanciulli, ebbe tardi la consolazione di un figlio, Plinius, nato dal secondo matrimonio con Claudina Gatti di Villaguardia, un borgo nei pressi di Como.

La rosa perfettaPlinius Campi

La rosa perfetta (a sinistra) Plinius piccolo (a destra)

 

Plinius Campi (1905-1997)

Ritratto di Claudina GattiPlinius Campi, figlio unico di Giacomo Campi e Claudina Gatti (vedi il ritratto a destra), è da poco mancato. Si è dedicato a severi studi in campo fisico e matematico e diede già da giovane prove di sé come docente e scopritore di nuove leggi. Sospeso dalle scuole del Regno per quel carattere libero e geniale che un giorno lo fece ribellare alle discipline schematiche e rigide della pedagogia di quei tempi, fu poi accolto per i suoi grandi talenti alla Sorbona e qui ricevette il baccalaureato in fisica. Fu più tardi in corrispondenza di scienziati di fama mondiale e premi Nobel come De Broglie, Heisemberg ed il nostro Levi Civita. Collaborò con Natta e con Fermi e dava corsi di aggiornamento ai professori universitari. Aveva talenti geniali. Le sue osservazioni sulla cinematica prelusero alla teoria quantistica. Fu ottimo divulgatore e conferenziere. Durante il periodo della seconda guerra mondiale fu preso dai tedeschi, portato a Bolzano ed ospitato, curato a vista, in un grande albergo di quella città affinché collaborasse per la ricerca del "raggio della morte" una sorta di radar. Riuscì a sottrarsi e scappò, rifugiandosi nei pressi di Como, a Monteolimpino. Ricordo personalmente, io ragazzino fra le mura domestiche di questa casa in Villaguardia, quando veniva a trovarci, la chiarezza delle sue esposizioni, convincenti, avvincenti. Qualunque fosse l'argomento, l'ascolto si imponeva e sempre con gran simpatia e grandi sorrisi perché era un tipo assai gioioso. Quella sua allegria e quella comica spassosità erano forse in parte ereditate dal padre Giacomo e come quest'ultimo abbia affascinato Re Umberto e le platee dei teatri con le sue imitazioni gestuali e vocali e con la proiezione delle ombre cinesi, Plinius, nelle sue visite a Villaguardia, era vissuto da noi come gioioso elemento di spasso e di festa. Pubblicò un trattato di fisica nucleare e fu depositario di un brevetto speciale nel campo dell'ottica, in particolare sulla correzione degli errori di rifrazione delle lenti. Riuscì a riprodurre un tipo di carbone sintetico uguale a quello naturale usato per la industria dei telefoni. Quella fu per lui l'occasione che gli avrebbe aperto la strada alla grande notorietà e fama ma Plinius, come spesso succede agli spiriti geniali, non si curava del successo o della nomea e regalò agli inglesi il suo brevetto. Si occupò anche sperimentalmente di apparecchi fotoelettrici e moltiplicatori.

 

Gli affreschi in Casa Gatti

La casa Gatti aveva due locali interamente affrescati: il salotto al piano superiore, lato est, sulla via Vittorio Veneto che in origine era la camera da letto matrimoniale. Al piano terra, sul lato nord est della casa, in corrispondenza più o meno della piccola galleria attuale, c'era un locale adibito da mio padre a magazzino vini e liquori e che originariamente era un salotto. Questo era piuttosto malandato per l'umidità e gli affreschi, ancora molto ben visibili nel 1960, avrebbero necessitato di un restauro. Ricordo che la parete sud e la parete est di questo locale portavano un grande tema di vita portuale. Un bel tema non disgiunto sulle due parti convergenti ad angolo retto e ben concepito nelle prospettive. Un porto marittimo brulicante di soggetti e di vita con le navi e tanti personaggi come le donne coi fazzoletti in mano nel gesto di saluto ai naviganti. Contrariamente al locale superiore questi affreschi non furono mai ritoccati e restarono sempre lì, un po' trascurati a dire il vero anche perché, per le esigenze commerciali di mio padre, vi erano stati apposti degli scaffali aperti che non rovinavano i disegni ma ne celavano la vista. Sul lato del camino una specie di trompe l'oeil con due donne a busto nudo che sorreggono uno specchio ovale con cornice aurea. Era un tema che accompagnava la cappa del camino. Il soffitto mostrava una tema a ramage con foglie e rami. Il porticato, allora aperto, aveva sulla lunga parete nord un grande carboncino raffigurante una lunga tavolata con tutti i personaggi della famiglia Pellegrini- Gatti in posa di banchetto. Andò distrutto al momento dei lavori di riadattamento della casa nel 1962. Fu fatto un tentativo di salvataggio ma l'edera aveva invaso la superficie della parete ed il tentativo di rimozione aveva causato gravi danni così che furono purtroppo soppressi. I disegni a carboncino furono quindi cancellati.

Il locale superiore invece, poiché era ben conservato, ricevette dai miei le maggiori attenzioni e subì un restauro. Entrando a destra della porta una grande madonna con sole e luna, un dipinto a tutta parete testata del letto. (Bella, nonostante che i volti del Campi, come in questo caso, fossero a volte marcati, particolari, espressivi ed autentici, assai caratteristici. Il pittore che ha eseguito i restauri ci ha messo del proprio e nell'intento di addolcire i tratti del volto piuttosto marcati, ha trasformato la caratteristica originaria di quel volto. Ho visto entrambi i volti e questo, dopo il restauro, è uno di quelli senz'anima, che non si differenziano. I volti del Campi erano individuali, possiamo averne una idea osservando le fisionomie ritratte dei vari personaggi di cui riporto alcuni ritratti ed anche di quella "Madonna con sole raggiante e Bambino" su tavola in olio che ho la fortuna di conservare). Continuando in senso antiorario il giro delle pareti in fondo a destra sulla parte Nord un pastorella col cane, poi ancora un paesaggio alpino con montagna e baita, poi un pescatore (non fotografato). Sulla parete ovest affacciata su via Vittorio Veneto, un grande tema di una coppia di castellani a cavallo, e più a sinistra il tema del menestrello e dei castellani. A chiusura del giro, ritornando verso la porta d'ingresso del locale una bella contadina con una capretta. Anche qui il soffitto a tema di ramage e foglie, ma questa volta su fondo azzurro con nuvole e putti. Anche nel grande locale cucina del camino c'era una parete con un bel carboncino: un ovale raffigurante una Madonna con bimbo.

 

In appendice:

Un saggio di Plinius Campi sul padre Giacomo pubblicato da «La Martinella di Milano» nel 1949

Gli affreschi (scomparsi) di Casa Gatti

Gli affreschi (salvati) di Casa Giacobbe

Altre opere di Giacomo Campi: personaggi

Altre opere di Giacomo Campi: soggetti storici

 

Ultima modifica: giovedì 10 gennaio 2008

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