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 Il monumento funebre a Gaston de Foix del Bambaia: vicissitudini di un’opera d’arte

di Mauro Colombo

 

Ary Scheffer, Gaston de Foix morente sul campo di battaglia dopo la vittoria di Ravenna (Versailles, Château)

 

Antefatto storico: la battaglia di Ravenna

Gaston de Foix, duca di Nemours, conte d’Etampes e viceconte di Narbonne, comandante dell’armata reale in Italia, nacque a Mazeres il 10 dicembre 1489 da Jean de Foix e da Maria d’Orleans, una delle sorelle del re Luigi XII. Il 25 giugno 1511 fu nominato governatore di Milano. A soli ventitrè anni, dopo aver condotto il proprio esercito alla vittoria, trovò inaspettatamente la morte mentre dava l’inseguimento ad alcuni nemici in fuga al termine di una della battaglie campali più cruente e sanguinose mai avvenute, passata alla storia come la battaglia di Ravenna.

ritratti idealizzati di Gaston de Foix

Come raccontano le cronache, nelle campagne attorno alla città, in una zona detta oggi Molinaccio (presso S.Bartolo), alle ore 8 del giorno 11 aprile 1512, Pasqua di Resurrezione, ebbe inizio lo scontro tra l’esercito francese e le truppe pontificie della Lega Santa, formata da veneziani, spagnoli, napoletani, e da un numero imprecisato di mercenari. Complessivamente si batterono 62.100 soldati: 34.700 della Lega Santa contro 27.400 franco-tedeschi.

Nella battaglia, proseguita per circa 8 ore, persero la vita molte migliaia di soldati; le stime oscillano dai 5.000 ai 21.000 morti. La Lega Santa si era trincerata dietro ad un poderoso fossato, scavato tutt’attorno alla zona dominata da un mulino (l’odierno Molinaccio) che divenne il quartier generale delle truppe papaline. La trincea così predisposta aveva un solo varco di circa tredici metri, secondo i progetti militari ideato per far uscire, al momento opportuno, la cavalleria che avrebbe attaccato i francesi che assediavano il campo.
Da quel varco, invece, entrò l’esercito francese guidato da Gaston de Foix, che con quella mossa trovò la vittoria ma anche, poco dopo, la morte.

A ricordo della battaglia venne eretta, 45 anni dopo (quindi nel 1557) una colonna commemorativa detta “dei francesi”, che narra del sacrifico di 20.000 soldati francesi e spagnoli. Da più parti si sostiene che il punto originario di posa del monumento coinciderebbe con quello ove trovò la morte proprio il de Foix.

A tre giorni dallo scontro, il corpo del giovane duca, scortato da un gran numero di compatrioti, molti dei quali reggevano stendardi strappati alle truppe sconfitte della Lega Santa, fu portato a Bologna per la celebrazione di un solenne rito funebre.
Successivamente, il mesto corteo con la salma dell’eroe francese partì verso Nord, e il 25 aprile entrò a Milano. In Duomo venne officiato un ulteriore rito funebre, al termine del quale il corpo fu appeso tra due pilastri della cattedrale, secondo l’usanza riservata ai duchi milanesi.

La vittoria francese tuttavia si stemperò ben presto davanti all’arrivo di nuove e fresche truppe svizzere, la cui temuta forza spinse Gian Giacomo Trivulzio a condurre fuori città l’esercito francese, per ritirarsi a Pavia.
Il 20 giugno 1512 Milano aprì così le porte alle truppe papaline guidate da Ottaviano Sforza, che prese la città in nome di Massimiliano Sforza (che però arriverà solo a dicembre, assieme al suo burattinaio, Matteo Scheiner cardinale di Sion). In estate, per spregio verso i pochi francesi rimasti e arroccati in castello, gli svizzeri profanarono la tomba di Gaston de Foix e ne gettarono i resti mortali sui bastioni. Solo l’arrivo del cardinale di Sion permetterà al corpo del duca di tornare in Duomo.

Successivamente i francesi, riorganizzatisi, affrontarono e batterono gli svizzeri nella battaglia di Marignano (13-14 settembre 1515). Il nuovo re di Francia, Francesco I, succeduto a Luigi XII, entrò solennemente in città l’11 ottobre 1515.

Un monumento funebre per l’eroe francese

Rientrati a Milano i francesi, nel corso dell’anno successivo venne decisa l’erezione di un monumento funebre da dedicare al valoroso combattente tragicamente morto in battaglia, non solo per rendere omaggio ad un importante membro di casa reale, ma anche per consolidare, davanti ai milanesi, un potere che ora appariva alquanto rafforzato.

La volontà di donare alle spoglie di Gaston un degno monumento fu dello stesso re di Francia, Francesco I, che prima di rientrare in patria nel gennaio del 1516 (quando ormai la situazione gli appariva tranquilla e saldamente nelle sue mani) diede disposizioni in merito, lasciando che alla fase pratica e organizzativa ci pensasse Odet de Foix, signore di Lautrec (cugino di Gaston de Foix) che sarebbe rimasto a Milano quale successore nel governo del ducato (e che sarà anche ricordato per essere stato uno dei peggiori governatori della città: brutale, dispotico, violento, avido di denaro).

Si può anche sostenere che forse l’idea del monumento fosse di Odet, ma non c’è dubbio che l’ordine e soprattutto i fondi necessari provenissero dal re. Non si sa con precisione quando e per quale ragione il lavoro venne commissionato al Bambaia, l’unica certezza è che a lui si affidò l’intero progetto, la supervisione e la realizzazione in piena autonomia, senza che al progetto partecipassero altri artisti dell’epoca, se non in veste di aiutanti e collaboratori.

Agostino Busti, il Bambaia: cenni biografici

Tomba di Lancino CurzioMa chi era nel 1516 Agostino Busti, per essere scelto quale artefice di un così importante monumento funebre, voluto dallo stesso re di Francia, e pensato per celebrare indirettamente la potenza francese?

La sua data di nascita si può fissare nel 1483, sulla base di un necrologio conservato all’Archivio di Stato di Milano che lo dice morto l’11 giugno 1548 all’età di sessantacinque anni.
La prima notizia è del gennaio 1512, quando insieme al fratello Polidoro chiese di essere assunto tra gli scultori del Duomo. A quella data l’artista era quasi trentenne e il suo tirocinio, forse avvenuto sotto la guida di Benedetto Briosco, doveva essersi concluso da tempo.

Del 1516 è il contratto per l’esecuzione della tomba di Francesco Orsini e della moglie Caterina Birago (oggi smembrata e divisa tra il Museo del Castello Sforzesco, il Centro San Fedele e Palazzo Pitti), finita e pagata l’anno successivo; di poco precedente il monumento di Lancino Curzio (Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco).

Con buona probabilità, fu tra gli artisti lombardi che il 24 settembre 1513 partirono per accompagnare Leonardo alla volta di Roma. Infatti, nell’elenco stilato dal grande Da Vinci dei personaggi che lo seguirono nella trasferta risulta un certo Fanfoia, nome misterioso che non identifica nessun artista conosciuto ma che presenta intriganti similitudini fonetiche con il soprannome Bambaia, tanto più se si pensa alla stravaganza del Leonardo anche in fatto di scrittura. A riprova del viaggio, nel 1521 il Cesariano include il Bambaia tra gli artisti scesi a Roma in viaggio di istruzione. Frammento della tomba di Francesco Orsini (Palazzo Pitti)Esiste inoltre un taccuino sicuramente appartenuto al Bambaia e datato 1514 in cui l’artista scrisse le sue impressioni e tracciò schizzi relativi alle antichità classiche presenti nelle città eterna.

Se a noi dunque potrebbe apparire non molto titolato quando venne scelto per il monumento a Gaston de Foix, è bene sottolineare che probabilmente il Busti aveva lavorato ad opere che non conosciamo e che non sono giunte a noi, e che avevano ben deposto a suo favore allorchè gli fu appaltata l’opera.

Successivamente al monumento de Foix, sappiamo che il Bambaia lavorò (intorno al 1522) per il monumento dedicato da Maffiolo Birago ai fratelli Gian Marco e Zenone: altra opera di grande impegno portata a termine per la cappella Birago in san Francesco Grande, ma poi rimossa e smembrata tra varie collezioni.
Dopo questa data i documenti registrano la commissione al Bambaia di un sepolcro nella chiesa di Santa Marta: dedicato a Giovanni Antonio Bellotti, morto nel 1528, fu anch’esso smantellato e disperso.

Dal 1535 il nome del Busti compare regolarmente nelle carte dell’archivio del Duomo di Milano, per opere non sempre identificabili. Certa è la sua partecipazione alle sculture dell’Altare della Presentazione (1543) e all’esecuzione delle lapide dedicata al canonico Vimercati. Meno sicura la totale autografia del monumento a Marino Caracciolo (morto nel 1538), per il quale si ipotizza un intervento, soprattutto nella parte architettonica, di Cristoforo Lombardo.

Fra le numerose opere a lui attribuite si ricorda il monumento di Mercurio Bua oggi nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Treviso, che si identifica con quello che l’artista aveva in lavorazione per il musico Franchino Gaffurio, asportato da Pavia nel 1527 dallo stesso Bua come bottino di guerra.

Tomba di Lancino Curzio (particolare)

Altare della Presentazione nel Duomo di Milano (particolare)

Il luogo prescelto: Santa Marta

Come narrano le cronache del monastero di Santa Marta, il corpo del de Foix fu trasportato presso l’annessa chiesa il 9 febbraio 1516, per volere del Lautrec, affinchè si rivolgesse all’eroico comandante la dovuta venerazione.

La chiesa di Santa Marta delle monache agostiniane era posizionata dove oggi si apre piazza Mentana, o come scriveva il Latuada “Tenendo la strada additata dal muro laterale di S. Maria al cerchio si entra per angusto vicolo, il quale conduce alla chiesa, ed insigne monastero”.
Sempre prendendo come cicerone il Latuada, sappiamo che il chiostro ebbe origine nel 1345, anno in cui tale Simona da Casale, per dedicare la sua vita a Dio, radunò nella propria casa vicino ad una piccola cappella dedicata a Santa Marta altre compagne devote. Successivamente questa congregazione abbracciò la regola agostiniana, sotto la guida spirituale di Margherita Lambertenghi.

Supposto ritratto di suor Arcangela PanigarolaCol tempo il monastero e la chiesa crebbero di estensione ed importanza, e persino Ludovico il Moro, con la consorte Beatrice d’Este “più volte vi si trasferiva per godere di quella religiosa conferenza, ed in particolare per abboccarsi con la Venerabile Serva di Dio Veronica Negroni da Binasco laica, che fioriva in que’tempi con fama di virtuose azioni, e tantissimi esempi”.

La scelta di questa chiesa fu dettata dal fatto che all’epoca la prioressa del monastero era Arcangela Panigarola, la quale intratteneva stretti legami con importanti prelati francesi e particolarmente con Denis Brionnet, vescovo di Saint Malo e Toulon, figlio spirituale della Panigarola stessa.

Verso la fine della primavera del 1517 venne assegnata la cappella ove si intendeva tumulare il corpo e si cominciarono a celebrare delle messe.

La prima notizia circa il lavoro di costruzione del monumento ad opera del Busti è del 2 ottobre del 1517, quando Arcangela Panigarola scrisse a Denis Brionnet: “...e così sona contenta che Vostra Signoria me consegliasse como debia fare de cento e vinti schudi, qualli lassò Monsignore Reverendissimo de Lodeva per comenzare a fornire la capella della Madona, la qualle cossa non se possuto fare per ché Monsignore Lautrec non vole movere el corpo de Foys fini che non habio fata la sua capella, con una archa molto superba”.

Sembrerebbe dunque che il corpo del de Foix fosse stato temporaneamente interrato nella cappella dedicata della Madonna, in attesa di essere trasferito nel monumento destinato a riceverlo, monumento il cui esatto posizionamento non ci è stato tramandato.

La decorazione della cappella della Madonna fu presumibilmente affidata a Bernardino Luini e fu per lo meno parzialmente finanziata da Guillaume Brionnet, come ricorda la lettera di Arcangela Panigarola. La cappella era destinata ad ospitare non solo i resti del de Foix (temporaneamente), ma anche “del Signor Rugiero Barono de la Borgogna Francese, il qual era parente del quondam illustrissimo Signor de Foys, e il magnifico domino Pietro (non è riportato alcun cognome) senatore di Milano qualle era Francese”.

Struttura ipotetica del monumento

Purtroppo non sono giunti a noi i disegni progettuali del monumento funebre tracciati dal Bambaia, se non alcuni schizzi che però non sono unanimamente attribuibili a questa precisa committenza, quanto piuttosto ad altri progetti di monumenti funebri che il Bambaia aveva ideato.

Progetto di monumento funebre un tempo collegato alla tomba di Gaston de Foix (Victoria and Albert Museum)

Se consideriamo poi, come meglio vedremo di seguito, che l’opera non solo non venne mai terminata, ma addirittura smembrata per quanto riguarda le poche parti lavorate, il più grande dilemma che ancora oggi ruota attorno all’opera dedicata al de Foix è come fosse intesa dall’artista la struttura globale.

Innanzitutto per almeno tre secoli non fu neppure chiaro se nella mente del Bambaia vi fosse l’idea di una tomba parietale (cioè da assemblarsi appoggiandola ad una parete) oppure isolata (cioè portante e quindi isolata nel mezzo di uno spazio dedicato).
Disegno di Leonardo per la tomba di Gian Giacomo TrivulzioAll’epoca del Bambaia si andava registrando il passaggio dalla tomba parietale a quella isolata, secondo una nuova visione architettonica. Così, dopo i monumenti quattrocenteschi a parete quali i famosi dedicati al Brivio in Sant’Eustorgio o ai Della Torre in Santa Maria delle Grazie, alla fine degli anni ottanta dello stesso secolo si passò alle tombe isolate come quella di Giovanni Borromeo in San Francesco Grande, quasi a riprendere un tema tipicamente trecentesco, che aveva permesso la nascita della famosa statua equestre di Bernabò Visconti situata in posizione dominante nell’abside della chiesa di San Giovanni in Conca (collocazione che poi San Carlo Borromeo non volle tollerare a causa dell’eccessiva venerazione che i milanesi avevano cominciato a riservargli, e che quindi ordinò si spostasse in posizione defilata).

La struttura del monumento isolato era quella tipica dell’edicola a pilastri che racchiudeva in sè la figura del defunto in posizione supina, ritratto nel momento delle esequie. L’esempio più illustre a Milano era il mausoleo Trivulzio, come appare negli schizzi del Leonardo: una statua equestre del condottiero sopra un basamento costituito da una edicola classica, sotto la quale si collocava il sarcofago.

Le diverse mode dei monumenti parietali o isolati si potevano registrare anche quali caratteristiche di certe città: a Venezia si privilegiava il parietale (Pietro Lombardo, monumento al doge Pietro Mocenigo, e Tullio Lombardo, monumento al doge Andrea Vendramin, entrambi nella chiesa di San Giovanni e Paolo – S.Zanipolo, la chiesa dei funerali dei dogi). A Roma, sotto la spinta riformatrice di Michelangelo, prevaleva il monumento isolato.

Monumento funebre di Luigi XII a Saint-DenisPer valutare a quale tipologia si fosse ispirato il Bambaia, è doveroso valutare la committenza, nel nostro caso francese, e notare come le due sepolture più vicine nel tempo a quella di Gaston de Foix fossero i mausolei di Carlo VIII (poi distrutto durante la Rivoluzione ma ben conosciuto grazie a precise incisioni giunte a noi) e di Luigi XII, entrambi di tipo isolato, posti nell’abbazia di Saint-Denis. Quest’ultimo monumento, dedicato a Luigi XII e alla moglie Anna di Bretagna, venne realizzato dai toscani Antonio e Giovanni Giusti, ed ebbe inizio nel 1515, quindi poco prima di quando Bambaia iniziasse quello per Gaston de Foix. I due lavori procedettero in parallelo e mostrerebbero dunque non casuali coincidenze.

Accettando questa impostazione storica, è possibile ritenere che il monumento da collocarsi in Santa Marta fosse dunque di tipo isolato, e si sarebbe dovuto caratterizzare per un’edicola sotto la quale avrebbe trovato posto la scultura del condottiero ritratto giacente sul lit de parade, con in evidenza i segni del potere e del rango.

Nel periodo durante il quale il Bambaia, aiutato da valenti scultori, si dedicava alla prestigiosa committenza, realizzò innanzitutto la figura di Gaston de Foix, oltre a numerose formelle che rappresentavano scene di battaglia e il momento della processione che conduce il corpo a Milano.

Gaston de Foix

Vennero scolpite poi le figure degli apostoli, che avrebbero (forse) dovuto essere poste attorno all’edicola. Vennero lavorati anche numerosi fregi e pilastri. Tuttavia il Bambaia era ancora ben lontano dall’aver completato tutti i pezzi marmorei che risultavano nella sua mente necessari per cominciare ad innalzare il monumento, allorchè inaspettati mutamenti politici fermarono il tutto.

La processione che trasporta il corpo a MilanoUn pilastrino

Gaston de Foix si lancia nella mischia malgrado l'esortazione di Bayard

L’abbandono dei lavori

Verosimilmente infatti l’attività si interruppe nel 1521, per l’ulteriore peggioramento della già critica situazione francese. In estate Lautrec, minacciato dai ribelli milanesi e in guerra con le forze papali, Carlo V, il Marchese di Mantova e i fiorentini, fu costretto a vendere le sue proprietà personali per pagare le guarnigioni: sicuramente quindi non era molto preoccupato del destino che sarebbe toccato alla tomba di suo cugino.

Nell’ottobre del 1521 il Bambaia vendette sei centenari di marmo di Carrara alla fabbrica del Duomo. Questo materiale forse doveva essere usato per la tomba del de Foix: la sua vendita fa pensare che lo scultore fosse ormai consapevole dell’impossibilità di continuare il progetto in tempi brevi. E difatti nel novembre 1521 i francesi furono cacciati da Milano e il 4 aprile 1522 Francesco II Sforza, con l’appoggio della truppe imperiali e papali, entrò in trionfo in città. L’esercito francese fu definitivamente sconfitto nella battaglia della Bicocca (27 aprile 1522).

Le armate reali occuparono ancora per breve tempo Milano alla fine del 1524 (annata orribile, oltretutto, per un’epidemia di peste che uccise all’incirca 80.000 milanesi), ma furono definitivamente sconfitte il 24 febbraio 1525 nella battaglia di Pavia. Francesco I cadde prigioniero nelle mani degli Spagnoli, e Francesco II Sforza rientrò nuovamente a Milano trionfatore: fu la fine del dominio francese, sarà l’inizio di quello spagnolo. Tuttavia la situazione rimase estremamente instabile fino al 1529, anno in cui Carlo V e Francesco I stipularono la pace.

Alla luce delle vicende politiche e militari appena descritte, si può pensare che quegli elementi della tomba che furono effettivamente eseguiti, furono scolpiti tra la metà del 1517 e la metà del 1521. Non si sa che sorte abbia avuto il marmo che si trovava nella bottega del Bambaia nel 1528, ma si può supporre che o non sia stato lavorato affatto, o che lo sia stato assai poco, perché altrimenti non avrebbe potuto servire ai fabbricieri del Duomo a cui doveva essere lasciato in eredità.

È qui importante ricordare che il Bambaia accettò, sempre per posizionarlo in Santa Marta, la commissione di realizzare un altro monumento funebre, da dedicarsi all’ecclesiastico Giovanni Antonio Bellotti, amico e consigliere della madre superiore Arcangela Panigarola. La sepoltura avvenne il 27 ottobre 1528. Più tardi, a lavori già iniziati, il contratto fu dichiarato nullo, la tomba smantellata e il corpo spostato.

Il mistero rimane legato a questo fatto: non sappiamo se il Bambaia usò per la tomba del Bellotti qualche elemento in origine progettato per il monumento de Foix, e neppure sappiamo, cosa assai importante, se in seguito il Bambaia ritirò i pezzi lavorati, oppure anche in questo caso li abbandonò in qualche spazio del monastero.

Non è ipotesi tanto inverosimile supporre che il Bambaia riciclasse per la nuova opera qualche pezzo, ovviamente non raffigurante fatti d’armi o personali del de Foix; avrebbe ben potuto sfruttare qualche altro elemento architettonico neutro, come fregi e decorazioni floreali, tanto più che nessuno lo avrebbe mai rimproverato, essendo Odet de Foix, l’unico eventualmente interessato all’opera funebre abbandonata, morto nel luglio del 1528.

Quando il Vasari visitò Santa Marta prima del l550 vide “molte figure grandi e finite, ed alcune mezze fatte ed abozzate, con assai storie di mezzo rilievo in pezzi e non murate, e con moltissimi fogliami e trofei”. In un altro passo delle Vite entrò nel dettaglio e scrisse: “Sono da dieci storie di figure piccole, sculpite con molta diligenza, de’ fatti, battaglie, vittorie et espugnazioni di terre fatte da quel signore, e finalmente la morte e sepoltura sua: e per dirlo brevemente ell’è tale quest’opera, che, mirandola con stupore, stetti un pezzo pensando se è possibile che si facciano con mano e con ferri sì sottili e meravigliose opere, veggendosi in questa sepoltura fatti con stupendissimo intaglio fregiature di trofei, d’arme di tutte le sorti, carri, artiglierie, e molti altri instrumenti di guerra, e finalmente il corpo di quel signore così morto, per le vittorie avute. E certo è un peccato che quest’opera, la quale è degnissima di essere annoverata fra le più stupende dell’arte, sia imperfetta, e lasciata stare per terra in pezzi senza essere in alcun luogo murata”.

Dunque i pezzi del monumento, solo in parte finiti, erano lasciati senza alcuna cura per terra. Non si sa in quale punto del monastero li vide, probabilmente in qualche parte del chiostro dove i visitatori non erano normalmente ammessi.

Smantellamento e prime dispersioni

Nel 1673, da un inventario dei beni situati nella villa Arconati di Castellazzo (poco lungi da Bollate), sappiamo che alcune sculture del monumento erano in possesso di questa nobile famiglia, e probabilmente tale possesso era iniziato parecchi anni prima. Per la precisione, risultavano custoditi in loco: sette rilievi, quattro dei quali larghi un braccio, gli altri tre larghi due braccia; un rilievo lungo e stretto con trofei guerreschi, due pilastrini scolpiti su tre lati.

Progetto del Richini per il restauro di S. Marta del 1621-24Con buona probabilità i marmi Arconati furono comprati nello stesso periodo in cui Flaminio Piatti comprò i due rilievi a trofei successivamente donati all’Ambrosiana; dunque questa transazione deve aver avuto luogo in un periodo di tempo che va dal momento in cui Vasari vide la tomba e il 1613, l’anno della morte del Piatti, molto probabilmente tra il 1570 e il 1600.

In questo periodo infatti era madre superiore del convento di Santa Marta Paola Maria Arconati (morta nel 1604), la quale convinse le sorelle a disfarsi di tutte le opere di valore custodite nelle celle e nei locali del monastero, al fine di ricavare il denaro necessario per ornare adeguatamente l’altare. Non sappiamo a quale prezzo queste parti scolpite dal Bambaia furono vendute dalla madre superiore ai propri parenti per addobbare la residenza di Castellazzo. Non è neppure possibile sapere con esattezza quanti altri frammenti del monumento furono venduti dalle suore alla fine del ‘500.

Certo è che nel 1674 non restava più alcun elemento dell’opera presso Santa Marta, fatta eccezione per il pezzo più pregevole, la scultura a figura intera di Gaston de Foix ritratto durante le esequie. Le suore decisero dunque di far murare l’opera d’arte nel chiostro, in posizione verticale (come se il morto fosse appoggiato alla parete, scelta alquanto discutibile) e fecero collocare una lapide con la seguente dicitura:

SIMVLACRVM
GASTONIS FOXII
GALLICARVM COPIATRVM DVCTORIS
QUI IN RAVENNATE PRAELIO CECIDIT
ANNO MDXII
CVM IN AEDE MARTHAE RESTITVENDA
EIVS TVMVLVS DIRVTVS SIT
HVIVSCE COENOBII VIRGINES
AD TANTI DVCIS IMMORTALITATEM
HOC IN LOCO COLLOCANDVM
CVRAVERE
ANNO MDCLXXIV

Quando infatti il Latuada scrisse la sua Descrizione di Milano (1738) visitando la chiesa e il monastero di Santa Marta parlò della scultura in “riglievo” come l’unico pezzo rimasto in loco (“avanzato”) dal “celebre mausoleo eretto alle ossa di questo duca con istatoe ed intagli (con statue e sculture) in bianco marmo lavorato da Agostino Busti detto il Bambaja, insigne Scultore, lodato da Giorgio Vasari e Giovanpaolo Lomazzo. Molte di quelle statoe si ritrovano nella celebre Villa di Castellazzo del Sig. Conte Arconati, ed altri bassi riglievi si conservano nella Galleria delle Sculture annessa alla Bibblioteca Ambrosiana”. La descrizione si chiude con la trascrizione delle parole della lapide che le monache avevano murato accanto alla scultura.

Pochi anni dopo Marc’Antonio Dal Re, parlando della villa di Castellazzo, descrive i marmi che vi erano custoditi, tra i quali spiccavano: “i famosi bassorilievi, altre volte adornamento del sepolcro di Gastone di Foix, fanno vaga mostra, e piena fede della rara dilicatezza dello scalpelo, che come molle cera ha impresso nel marmo picciolissime figure disposte in forma di sanguinosa battaglia, ed in lugubre apparato di morte, animali, fiori, cartelle, ed altri tali ornamenti, da fare invidia alle rinomate greche sculture”.

Le sculture del Bambaia nella villa Arconati (Marc'Antonio Dal Re)

Soppressione di Santa Marta

Il monastero di Santa Marta fu soppresso nel 1798 e pochi anni dopo il ritratto di Gaston de Foix con relativa iscrizione fu staccato dal muro e trasferito all’Accademia delle Belle Arti; contemporaneamente altre sculture furono ritirate dal convento: un “profeta Isaia” assiso seguì la stessa sorte della lastra, mentre altri quattro “profeti o apostoli” del tutto simili, visti dal Bossi a Chiaravalle, provenivano presumibilmente dalla chiesa.

I locali del monastero furono dal 1844 sede del Museo di Storia Naturale, ma finirono con l’essere poi demoliti nel 1861, per fare posto ad una piazza e alla costruzione del Regio istituto tecnico di Santa Marta, che per qualche anno diede il nome allo slargo così ricavato. Con delibera del 13 settembre 1865 la piazza fu dedicata alla battaglia di Mentana, toponimo che ancora oggi conserva. Nella piazza venne collocato nel 1880 il monumento del Belli dedicato ai caduti di quella battaglia, e all’inaugurazione (il 3 novembre) si presentò lo stesso Garibaldi.

Inaugurazione del monumento ai caduti di Mantana

Epilogo

Il pittore Giuseppe Bossi fu il primo a tentare un’analisi approfondita dei vari pezzi del monumento de Foix e a proporre una ricostruzione che non si basasse, come precedentemente qualcuno aveva azzardato, sulla pura invenzione.

Nella sua opera dedicata al monumento (del 1852) elencò come probabili elementi della tomba: sette rilievi narrativi, un rilievo a trofei lungo e stretto, due pilastrini, sei figure assise di “apostoli, evangelisti o profeti” a Castellazzo, due rilievi a trofei lunghi e stretti e un pilastrino all’Ambrosiana; il “profeta Isaia” e la lastra tombale all’Accademia di Brera; quattro “profeti o apostoli” all’Abbazia di Chiaravalle; due lesene, di cui una con la firma del Busti già nella collezione Anguissola e da lui acquistate; inoltre certi putti già nella collezione Monti.

Risulta immediatamente chiaro che numerosi nuovi pezzi si venivano ad aggiungere a quelli citati dagli scrittori precedenti. La collezione di Castellazzo, che nel 1822 era già passata alla famiglia Busca, era stata arricchita di sei figure assise di “apostoli, evangelisti o profeti”, acquistati qualche tempo dopo che il Dal Re aveva descritto gli arredi della villa nel 1743, probabilmente al momento della soppressione di Santa Marta.

L’Ambrosiana aveva acquistato un pilastrino delle medesime dimensioni di quelli conservati a Castellazzo, e cinque sculture provenienti dal monastero di Santa Marta, trascurate o forse del tutto ignote agli storici precedenti, erano giunte, una all’Accademia, e le altre quattro a Chiaravalle. Infine, lo stesso Bossi aveva comprato due pilastri decorativi.

Durante tutto il corso del XIX secolo il monumento a Gaston de Foix suscitò un profondo interesse sia tra gli storici d’arte che tra i collezionisti, interesse indubbiamente ispirato in parte dalla precisa descrizione del Bossi e dalla sua intelligente proposta di ricostruzione della tomba, e in parte dal diffondersi dello storicismo romantico.

Purtroppo, sulla foga del momento, si finì per attribuire al monumento per il de Foix qualsiasi scultura del Bambaia di cui non si sapesse con certezza dare una diversa collocazione storica. E così, decine di pezzi smantellati dagli altri due monumenti funebri realizzati dal Busti, quello per i Birago e quello per il Bellotti, finirono con l’essere annoverati come appartenenti al progetto de Foix. Con tale sistema tutt’altro che critico, si finì per inserire nel catalogo di Brera ben 59 pezzi come originali del monumento al de Foix.

Nonostante la buona volontà di molti critici, e benchè sulla fine dell’Ottocento si cominciasse a distinguere tra pezzi originali e pezzi provenienti dagli altri lavori scultorei del Busti, è ad oggi impossibile sapere con esattezza quanti e quali pezzi avesse previsto il Bambaia, e soprattutto quali oggi esistenti fossero davvero appartenuti al progetto per il de Foix.

Attuale collocazione

Nel 1900, all’apertura del Castello Sforzesco restaurato e delle relative raccolte archeologiche ed artistiche, venne collocata nella Sala IX la scultura raffigurante Gaston de Foix, circondata da alcuni tra i migliori pezzi che avrebbero dovuto costituire l’intero monumento, grazie al lavoro di salvataggio compiuto dal pittore Bossi. La collocazione venne dopo la seconda guerra rielaborata e progettata dallo studio BBPR.

Allestimento originale dello studio BBPR

Nel 1990 l’intera raccolta dei pezzi fino ad allora custoditi dalla famiglia Arconati presso la villa di Castellazzo venne acquistata dal Comune di Milano e conseguentemente trasferita in Castello, al fine di una corretta riunificazione delle sculture del Bambaia.

Attuale sistemazione dei frammenti al Castello Sforzesco (Sala 15)

Altri pezzi dell’opera sono conservati oggi all’Ambrosiana, mentre ulteriori frammenti scultorei si trovano a Londra (Victoria and Albert Museum) e a Torino (Musei Civici).

Vedi nel sito del Castello Sforzesco (SALA 15)

 

Bibliografia

Agosti G., Bambaia e il classicismo lombardo, Torino, Einaudi 1990;

Bossi G., Descrizione del monumento di Gastone di Foix, scolpito da Agostino Busti detto il Bambaja, Milano, Fusi 1852;

Dal Re M., Ville di delizia dello Stato di Milano, 1743;

Fava F., Storia di Milano, Milano, Libreria Milanese 1997;

Fiorio M.T., Agostino Busti: uno scultore lombardo per il re di Francia, in Il Bambaia, Firenze, Cantini 1990;

Garberi M., Fiorio M.T., Shell J., Agostino Busti detto il Bambaia. 1483-1548. Il monumento di Gaston de Foix, Milano, Finarte e Longanesi 1990;

Latuada S., Descrizione di Milano, tomo IV, 1738;

Shell J., Il problema della ricostruzione del monumento a Gaston de Foix, in Il Bambaia, Firenze, Cantini 1990;

Vasari G., Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori ed architettori, 1550.

 

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Ultima modifica: giovedì 15 febbraio 2007

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