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Mediolanum, il municipio romano

di Maria Grazia Tolfo

Sommario

La colonia di diritto latino: la guerra tra Mario e Silla - La centuriazione 

La provincia Cisalpina: l'ascesa di Pompeo Magno - Il governatorato di Aulo Gabinio - Il compitum - Il perimetro delle mura gallo-romane - La curia e il Capitolium - L'anfiteatro - L'ergasterium - Il viridarium - Altri governatori della Cisalpina -

Il municipium civium romanorum: il governatorato di C. Giulio Cesare - Il foro - Il tempio di Venere Genitrice - Il governatorato dei Bruti 

Dalla tradizione celtica alla cultura romana: la scuola - La giustizia - Il costume - La medicina

 

La colonia di diritto latino

La guerra tra Mario e Silla

Cosa successe a Medhelan dal 196 a.C., quando cominciò a gravitare nell’orbe romano? Inizialmente gli abitanti si limitarono a fare gli alleati, entrando come ausiliari provinciali nell’esercito romano. La riforma della base del reclutamento proposta nel 107 dal console Caio Mario dovette conquistare l’Insubria alla causa del partito popolare da lui rappresentato. Mario ammetteva per la prima volta i “proletari” al servizio volontario e retribuito per sedici anni.

Quando alla fine del 91 a.C. scoppiò la guerra tra Roma e i soci italici, Cn. Pompeo Strabone ricorse nell’anno 89 a un provvedimento d’urgenza, la lex Pompeia de Transpadanis, per concedere il diritto latino alla popolazione celtica cisalpina, onde assicurarsi il suo appoggio o anche solo la neutralità. Vennero allo scopo individuate dieci tribù (circoscrizioni) poco affollate, suscitando in ogni caso una vivace opposizione a Roma. Mediolanum, incluso il territorio di Como, venne iscritto nella tribù Oufentina [1] . Lo stato di colonia latina permetteva a Mediolanum di conservare le sue leggi, i suoi magistrati, la sua moneta, acquistando il diritto di commercio. I coloni, fittizi nel caso della nostra città, non godevano del diritto elettorale né passivo né attivo a Roma, né potevano appellarsi al popolo romano contro le sentenze dei magistrati.  

Lucio Cornelio SillaNello scontro che seguì fra Mario e il rappresentante del Senato, Silla, Mediolanum parteggiò per il perdente Mario. Non tutta la Cisalpina si schierò con Mario (e ovviamente non tutti i mediolanensi) visto che nell’87 quando Mario e Cinna assediavano Roma, il Senato romano mandò a chiamare aiuti in Cisalpina, dove erano disseminate le colonie romane da Rimini a Cremona. Il rientro a Roma di Mario diede il via a feroci vendette contro la nobiltà; il fatto che le teste dei senatori venissero esposte nel Foro, pratica finora estranea ai Romani, ci fa supporre che tra i mariani fossero presenti molti Celti.

Nell’anno 86, morto Mario e con Cinna dittatore, vennero finalmente eletti i censori che dovevano registrare nelle tribù i nuovi cittadini. L’operazione procedette per circa due anni, ponendo parimenti le basi per la centuriazione, onde definire i confini amministrativi delle colonie. Ma i lavori s’interruppero nuovamente per tre anni a causa del ritorno di Silla e del riaccendersi della guerra civile.

Nuovamente abbiamo notizie indirette della posizione filo-mariana assunta da Mediolanum, perché Frontino nei suoi Stratagemata (I 9,3) narra del massacro dei senatori mediolanensi ad opera dei soldati del ventenne Cn. Pompeo, uno dei più valenti ed energici luogotenenti di Silla e figlio di Pompeo Strabone [2] . Le rappresaglie di Silla fecero impallidire quelle di Mario e si avventarono particolarmente contro i membri più in vista dell’ordine equestre, da sempre schierato nel partito mariano. Le esecuzioni romane si riproposero infatti, seppur su scala minore, nelle città italiche che avevano simpatizzato per il partito mariano. La “decapitazione” del senato mediolanense fu comunque consolidata con la dichiarazione di inabilità e di ineleggibilità ai pubblici uffici anche dei figli dei proscritti.

Silla, per mantenere le promesse di donativi fatte alle sue truppe, confiscò le proprietà fondarie dei mediolanensi che figuravano nelle sue liste, tra cui quella di P. Valerio Catone, che diventerà capo-scuola della corrente poetica dei neoteroi (politicamente repubblicani), attivi a Roma all’epoca di Giulio Cesare. Non bisogna dimenticare che era stato proprio Mario a far entrare nell’esercito i proletari, che al congedo si attendevano dal generale il loro compenso.


La centuriazione

La centuriazione a ovest di Milano secondo gli studi di M. Antico GallinaPer l’iscrizione a una tribù occorreva dimostrare il censo, che era a base agraria. Onde uniformare il censo insubre con quello romano si dovette procedere a una centuriazione, più a fini contabili che per la resistemazione dei confini di proprietà o per la deduzione di coloni. I Romani infatti evitavano di fare assegnazioni di terre in località dove i campi erano già messi proficuamente a coltura e l’agro milanese era già abbondantemente sfruttato nella parte settentrionale. La nostra centuriazione fu probabilmente un censimento catastale in base a una formula standard, senza escludere che potessero essere immessi sul mercato i terreni intorno al santuario celtico e quelli meridionali impantanati e da bonificare. La mappatura catastale ebbe inizio nell’anno 86 e procedette per due anni, venendo sospesa fino all’anno 81, quando in Cisalpina, trasformata in provincia, venne inviato un governatore. Era il momento del governo aristocratico sillano, al quale Mediolanum si era dimostrata così ostile da vedere estromessa tutta la sua rappresentanza politica.

I parametri per la centuriazione variavano entro una base standard di 20 x 20 actus (708 m), 20 x 21 actus (708 m x 743 m) o di 21 x 21 actus. [3] Il termine tecnico è quello di una “formula” per la definizione dell’ampiezza delle sortes, cioè dei lotti di terra, diversa a seconda della natura del suolo e dell’ampiezza del territorio disponibile, tenuto conto che venivano assegnati solo lotti effettivamente coltivabili. Stranamente per Mediolanum non si è ancora potuto stabilire definitivamente la misura della centuria: per il prof. Mirabella Roberti sarebbe di 20 x 21 actus, secondo i nostri calcoli sembrerebbe di 23 x 23 actus (ca. 800 m di lato). [4] E’ possibile quindi che nell’agro milanese la mancanza di riconoscimento dei limiti delle centurie derivi dalla preesistenza di un sistema di piccoli poderi difficilmente riconducibile alle formule, ma che un’operazione di censimento catastale sia stata effettuata su base 23 x 23 actus, che assumerebbe un significato un po’ punitivo per i possidenti insubri e vantaggioso per l’assegnazione di terre ai veterani. Dato il particolare momento politico, una tale manovra da parte del Senato romano potrebbe essere plausibile (ma in attesa di verifica).

Si potrebbe rintracciare la centuriazione nelle immediate vicinanze di Mediolanum nella zona poi nota come Brera guasta, estesa tra via Orti, via Lamarmora, via Commenda e nella zona di via Brera. Brera o braida in latino medievale risulta da una forma corrotta di praedia, poderi, e potrebbe riferirsi agli appezzamenti della centuriazione, come dimostrerebbe la maglia delle vie.

 

La provincia Cisalpina

L’ascesa di Pompeo Magno

Per volere di Silla nell’81 a.C. la Cisalpina diventò infine provincia, retta da un governatore al comando di truppe - l’unico esercito armato presente sulla penisola italiana! -, senza colleghi nell’esercizio della carica, non soggetto al controllo e al veto dei tribuni, investito del supremo potere amministrativo, militare e giudiziario. Il governatore apparteneva alla classe senatoria romana e portava con sé la sua equipe di segretari, scribi, littori ed altri, costituendo il primo nucleo di burocrazia statale in una provincia.  

Marco Emilio LepidoMa la pace non era ancora arrivata. Nel 78 M. Emilio Lepido, eletto console con l’assenso di Silla, nel cui partito militava, propose la restituzione agli ex-proscritti delle terre confiscate a favore dei sillani e fomentò una rivolta nella Cisalpina, avvalendosi del governatore M. Giunio Bruto [5] . Dobbiamo intendere che il partito popolare era ancora molto forte nella Cisalpina e che i due abbandonarono il partito aristocratico appena ne intravvidero la possibilità? Non bisogna dimenticare che Giunio Bruto (il padre del futuro tirannicida) disponeva dell’unico esercito regolare armato nella penisola italica. Per rinsaldare la base della sua allenza Lepido avanzò la proposta di estendere la cittadinanza romana ai Transpadani, come era stato fatto nell’89 per i Cispadani liberi, ma perché la legge passasse bisognerà attendere il 49 a.C.

Pompeo MagnoRientrò in campo Pompeo Magno, che nel 77 sconfisse Bruto a Modena, facendolo giustiziare. Com’è possibile che la colonia “mariana” di Mediolanum si sia convertita successivamente alla fedeltà verso Pompeo, macchiatosi anche dell’eliminazione del suo senato? Pompeo viene così definito:

Uomo di poche idee costruttive e fondamentalmente incline al conservatorismo, la sua ambizione personale non si spingeva gran che oltre la mira di conseguire la fama di generale provetto e la posizione onorifica di princeps in seno alla classe dirigente della Repubblica. [6]

La conversione di Pompeo al partito democratico era avvenuta per motivi di opportunismo, soprattutto in seguito ai rovesci subiti in Spagna contro l’esercito mariano di Sertorio, e quindi una motivazione  ideologica gli era del tutto estranea. [7] Ma forse fu solamente il suo appoggio agli equites, che sembrano essere stata la classe sociale più importante di Mediolanum, ad assicurargli quella fedeltà che si protrarrà alla memoria fino ai tempi di Augusto.   

Moneta emessa da Pompeo in cui appare sotto le sembianze di GianoDal punto di vista politico e culturale cosa comportò per i mediolanensi lo statuto provinciale e il diritto latino? Che i notabili celti esercitando la magistratura delle colonie prendevano la cittadinanza romana, venendo inseriti nelle liste elettorali della tribù Oufentina. S’impegnavano a sostenere militarmente il Senato romano e a rispettarne le leggi, anche se la colonia manteneva il diritto che le era proprio. Nonostante non ci fosse l’obbligo, gli Insubri decisero di  sospendere la coniazione della dracma padana per unificarsi al sistema monetario romano.

 

Il governatorato di Aulo Gabinio

Al primo consolato di Pompeo Magno è legata localmente la memoria dell’amministrazione di Aulo Gabinio, al quale viene attribuita la ri-fondazione della città romana, dopo la civilizzazione portata dal console Marcello [8] . La memoria ha tipicamente stravolto il fatto storico, per cui riesce particolarmente difficile capire quando e cosa effettivamente successe.

Se la presenza di Aulo Gabinio in Cisalpina è legata al consolato di Pompeo, l’anno non può che essere stato il 70 a.C., perché durante il secondo consolato pompeiano Gabinio era proconsole in Siria e durante il terzo, nel 52, era in esilio per accuse di peculato. Verrà richiamato da Cesare nel 49 per combattere contro i pompeiani e morirà l’anno dopo a Salona. Per fare il governatore in una provincia occorreva appartenere al rango senatoriale come censo. La funzione del governatore era quella di assicurare l’ordine pubblico, amministrare la giustizia, sorvegliando la vita religiosa e il funzionamento dei templi, garantire la riscossione delle imposte e proteggere i confini, per cui si può pensare che la carica doveva essere assegnata solo a persone già avanti nel cursus honorum.

L’anno 70 a.C. s’inserisce in un periodo molto alto perché si realizzino tutte le opere che la storiografia locale gli attribuisce. Senza pretendere di dare validità storica alla tradizione, vediamo cosa dovrebbe essere stato realizzato da questo personaggio enigmaticamente popolare a Mediolanum, dal momento che le sue mire sembravano rivolte solo verso l’Oriente. [9]

Il primo a citare Gabinio fu il  trecentesco Flos florum, secondo il quale questo “governatore” diede alla metropoli celtica la dignità di una città romana e il Besta aggiunge che ciò avvenne sotto il consolato di Pompeo Magno:

ad imitationem magnae Romae inter muros civitatis plura palatia erexit et aedificia ut capitolium, theatrum, ippodromium, compitum, verzarium et harena. [10]

 
Il compitum

L’accenno al compitum, che non è un edificio ma un luogo che indica un crocicchio, data la rilevanza conferitagli nel testo ci rimanda alla definizione sacrale della prima pianta di Mediolanum, conseguente alla centuriazione da poco avviata e forse ancora in atto.

La centuriazione avveniva secondo un procedimento incentrato sull’incrocio ortogonale di assi, che partivano da un punto di riferimento nella campagna, e da un orientamento che non frazionasse il territorio (ad es. il corso dei fiumi o il crinale di monti). Il punto di partenza veniva definito l’umbelicus e l’incrocio delle ortogonali riceveva un carattere sacrale, il compitum. [11] Fortunatamente è rimasto tale toponimo nell’area di via S. Paolo in Compito, che coincide anche con l’antica intersezione di due assi viari celtici, quello per Brescia e quello per Pavia. Oltre al toponimo, che per altro significa normalmente anche solo crocevia, non è rimasto niente che giustifichi la nostra ipotesi, cioè che da quel punto sia iniziata la delimitazione delle mura di Mediolanum

Sempre facendo ricorso al corpo di leggende, il compitum era rimasto nella nostra memoria collettiva per i giochi che vi si svolgevano annualmente. Il Grazioli, concorde nell’assegnare l’istituzione dei giochi a Gabinio, aggiunge che i giochi si celebravano nel giorno seguente le kalende di gennaio ad onore dei Lari o per quelli che erano morti in pellegrinaggio. [12]

Lares viales I Compitalia erano una festa di capodanno mobile, annoverata fra i sacra popularia, una festa rionale in onore delle entità protettrici del territorio, cioè degli antenati degli attuali abitanti (nel nostro caso gli Insubri). Due chiese avevano mantenuto il titolo di “in compito”: S. Paolo, all’angolo tra l’omonima via e corso Vitt. Emanuele, e S. Martino, verso piazza Beccaria. Data l’usanza milanese di esaugurare edifici pagani dedicandoli a S. Martino, potrebbe indicare la posizione della cappella ai Lares Viales, mentre S. Paolo indicherebbe la presenza di un cippo, forse a ricordo del punto dal quale si iniziò la costruzione delle prime mura romane.

La festa dei Compitalia decadde a causa di un senatoconsulto presentato da Clodio nel 64 che vietava ogni tipo di collegio; bisogna attendere il 12 a.C. perché Augusto in veste di Pontefice Massimo riorganizzi il culto dei Lares Compitales,   però spostato a maggio e sotto il controllo dei vicomagistri.


Il perimetro delle mura gallo-romane

Darsi un limite sacro che tenesse fuori il caos era un rito indispensabile per una città romana, sia che si trattasse di un accampamento o di una città vera e propria. La funzione delle mura non era protettiva in senso fisico - per difendersi si poteva ricorrere a un vallo -, ma magico-religioso. Questa premessa è indispensabile per capire che, se non si sono trovati avanzi di mura repubblicane, è probabilmente per via della loro natura più che altro simbolica: forse solo un muro gallico, un terrapieno, che doveva far capire ai cittadini di essere diventati romani. [13]

Che però ci fosse una delimitazione, qualunque fosse il materiale in cui venne eseguita, è rilevabile dall’analisi topografica della città. Il lato occidentale delle mura dovrebbe corrispondere all’andamento di via S. Sisto e incrociare il lato settentrionale intorno a via S. Giovanni sul Muro. Sotto casa Delmati in via Brisa si trovò un muro in ciottoli dello spessore di 3 m, con scarpata interna ed esterna che sottopassava via Vigna a 14 m di distanza dall’angolo, a - 5 m dal piano di calpestio. [14] Il lato meridionale ha lasciato tracce evidenti nella curvatura di via Torino di fronte alla chiesa di S. Giorgio al palazzo. Si potrebbe ritenere che una traccia del muro si sia trovata in via S. Maria Valle 2a-2b con due muri paralleli con andamento E-O distanti tra loro m 2,10, riutilizzati nel più tardo (traianeo?) impianto termale. La muratura più antica era costruita in filari regolari di mattoni e ciottoli alternati. Il muro doveva continuare verso Palazzo Trivulzio, segnare il lato meridionale di via Zebedia e di S. Giovanni in Conca e concludersi alla pusterla del Bottonuto.

Il lato orientale del perimetro doveva innestarsi all’ellisse tra via S. Raffaele e via S. Paolo ma, non essendoci evidenza alcuna di mura, rimane l’ipotesi finora non presa in considerazione che il primitivo corso del Seveso sia stato utilizzato come difesa naturale a est. Come è emerso dagli scavi per la linea MM3, in via Croce Rossa-via Manzoni c’era una banchina fluviale che, seppur costruita alla fine del I sec. a.C. (età augustea), denuncia l’esistenza del Seveso in questo alveo. Il Seveso era largo ca. 3 m e profondo 1,50 m; scendeva come oggi da viale Zara, passando per via Castelfidardo, dove all’angolo coi Bastioni di Porta Nuova si rinvennero nel 1959 delle palificazioni con beole simili a quelle di via Croce Rossa e di via Larga. Quindi il fiume era prossimo all’ellisse celtica.

Resta il problema del raccordo tra il lato orientale e quello settentrionale. Nelle mappe storiche di Milano si fa passare il muro urbico da via del Lauro a via Agnello, in base a un tratto lungo m 14 di muro in conglomerato emerso nel 1952 in via Filodrammatici, interpretato come muro urbico con molti dubbi data la sua esiguità. Gli archeologi si aspettavano di trovare i resti della Porta Nuova romana in occasione dei lavori di costruzione della biglietteria della Scala nel 1979, ma gli scavi diedero esiti negativi. Questi dati porterebbero ad escludere che mura romane siano mai passate all'interno di questa ellisse. Con questa premessa acquista significato il ritrovamento avvenuto nel 1893 a cura dell’Uff. Tecnico Municipale di una tomba a inumazione nella carreggiata di corso Vitt. Emanuele all’ang. occid. di via Agnello a una quota di - 3,30 m e di pavimenti romani a mosaico e a mattoni a - 2,70 m che escludono il passaggio delle mura per questa direttrice. I dati ci informano indirettamente che l’area era esterna alle mura, almeno a quelle repubblicane. I dati dei reperti sono comunque insufficienti a stabilire a quale periodo possono essere datati [15]

La natura geomorfologica di Milano, costituita da terreno poco compatto con falda affiorante, aveva abituato i Celti a costruzioni senza fondazioni. U. Tocchetti Pollini ha notato una somiglianza interessante fra la cinta muraria di Como e questa più antica mediolanense:

sorgono infatti entrambe su una platea priva di fondazioni, con un basamento articolato in brevi riseghe e composto di pietra di Saltrio, cui è sovrapposta una cortina, composta di masselli della stessa pietra a Como e da laterizi a Milano. [16]

Ci sono anche altri indizi che inducono a ritenere che vi fossero porte in muratura in corrispondenza delle arterie di maggior traffico, perché la primitiva Porta Ticinese, sulla quale venne costruita intorno al 25 a.C. quella augustea, mostra una disposizione verso via C. Correnti, ossia verso l’area cultuale di S. Vincenzo e quindi verso Vigevano-Torino e non verso Pavia. [17] Si attuò anche il collegamento con un’altra città pompeiana, Laus Pompeia (Lodivecchio) con una strada in uscita da Porta Romana, una glareata larga 20 piedi, con due canali di scolo laterali.

La novità più sconvolgente per i Celti mediolanensi dovette essere l’orientamento secondo gli assi principali e non secondo quelli intermedi rispettati alla fondazione del santuario. I nuovi quartieri nella porzione settentrionale della cittadina denunciano la volontà dei progettisti di attenersi al classico orientamento romano, ma l’esperimento verrà concluso di lì a breve, e sarebbe interessante sapere con quali motivazioni ufficiali.

Nel De bello, V, 42 è detto che i Nervi in sole tre ore costruirono una palizzata alta 10 piedi (quasi 3 m) e scavarono un fossato largo 6 piedi (4,80 m) con tre miglia di perimetro (più di 5 km). Tutto sommato il perimetro di Mediolanum nel I sec. a.C. non era molto esteso coi suoi 3 km ed è assurdo pensare che non venisse in qualche modo marcato.

Ci sono comunque alcune considerazioni da fare: il 70 a.C. sembra a confronto con le altre città cisalpine un periodo molto precoce per un’operazione del genere; le mura non sono emerse in tutto il loro perimetro, il che lascia intendere che, seppure si tracciò il solco e s’iniziò a costruirle, le mura non vennero completate, forse a causa dei rivolgimenti politici del periodo.

 

La curia e il Capitolium

Secondo la testimonianza del Sironi, Aulo Gabinio fece costruire un

palazo dito de robur ora nominato Cordusio cioè Curia ducis e ivi contiguo lo S. Protasio nominato a la rover (f. 10).  

Il Cordusio come si presenta attualmente Non è detto che il governatore della Cisalpina dovesse avere sede a Mediolanum, ma c’era certamente un palazzo di rappresentanza amministrativa locale. La curia tradizionalmente intesa s’istituì nel 49 a.C., quando Mediolanum con altre città della Cisalpina divenne municipio con diritto romano, con un collegio di quattro magistrati, i quattuorviri, due incaricati della giustizia e due dell’amministra-zione della città. E’ possibile che la curia si trovasse dove la tradizione l’ha sempre posta, al Cordusio. L’edificio non doveva essere di grandi dimensioni, ma di un certo prestigio edilizio, utilizzando preferibilmente pietre o anche più pregiati marmi invece di legno e cocciopesto, secondo la tradizione locale.

Abbiamo poi visto che, in base alla tradizione del trecentesco Flos florum, Gabinio costruì anche il Capitolium. Non può esistere amministrazione romana senza tempio capitolino, perché il magistrato, prima di convocare un’assemblea, deve trarre gli auspici, cioè consultare Giove per ottenerne l’approvazione, altrimenti l’assemblea va rinviata. Curia e Capitolium devono essere quindi edifici prossimi per motivi di funzionalità. Se il grande edificio tra via Cordusio e via Bocchetto poteva essere una basilica con incluso l’altare di Giove, non si può escludere che si costruisse invece un tempio alla triade capitolina, che è un edificio solo cultuale e di modeste dimensioni. Il Besta si spinge a descriverlo:

Fu chiamato Campidoglio ad imitatione di quello di Roma, era ornato di belle sale, et stanze, e nel mezzo sopra un alto trono haveva l’Idolo di Giove; era chiamato anche palazzo Augustale [18] , perché gli Imperatori vi potevan habitar; et era tanto grande, e capace et anche così forte, che in tempo di qualche improvvisa scorreria di nemici oltramontani ne campi Milanesi, i cittadini vi si salvavan dentro col meglio che havevano. [19]

G.B. Villa precisava nel 1627 che il Campidoglio si trovava fra il Broletto e la chiesa di S. Salvatore e il Torre unisce le due leggende del Campidoglio e dell’arengo (ellisse?) in questa frase:

Nei tempi degli antichi Romani in questo sito [S. Salvatore in xenodochio] veggevasi superba fabbrica, nominato Campidoglio sotto la direzione di Giove, ella era così vasta che attingeva dove adesso si innalza la corte ducale detta l’Arengo o piazza arenaria. [20]

Riassumendo, a prescindere dall’attribuzione ad Aulo Gabinio delle opere e della cronologia che le pone al 70 a.C., dalla tradizione si ricava che all’esterno dell’oppidum celtico si trovava la Curia, ossia il Consiglio coloniale, localizzabile proprio nell’isolato del Cordusio demolito per la creazione della piazza, e il Capitolium, accessibile con una scala che prospettava su via S. Margherita e fiancheggiato a sud   dall’antica “forcella” glareata e ormai lastricata da almeno un secolo. I due edifici si ponevano provocatoriamente vicini ai centri del potere e della religiosità celti, rappresentati dall’ex Medhelan e dal santuario di Belisama.

Non si può invece pensare che si costruisse parimenti un foro in quest’area per via della complicazione creata dall’intersezione dei due diversi orientamenti celtici e romani, i primi lungo gli assi intermedi, i secondi invece in direzione N-S.

I nostri storici, collocando il Capitolium accanto all’ellisse, ci suggeriscono indirettamente che questa era ormai divenuta un oppidum dove rifugiarsi in caso di bisogno. Gli stessi sono invece molto lontani dal vero quando considerano il Capitolium alla stregua del palazzo del Campidoglio romano, sede dell’amministrazione civica.

capitello corinzio-italico rinvenuto nel 1901 in via BocchettoLungi dall’apparire come un grande edificio con più stanze, il santuario di età repubblicana ha piccole dimensioni; è costituito da uno zoccolo alto 2,5/3 m sul quale poggia un portico a colonne ed è pensato per una visione frontale, mentre quella posteriore non è presa in considerazione. La scalinata serviva anche per i discorsi pubblici.  I quattro grandi capitelli corinzio-italici rinvenuti nel 1901 in via Bocchetto sono stati datati a quest'epoca (inizio I sec. a.C.) e riferiti a un tempio in antis, con pronao anteposto alla cella.

L’unica testimonianza che abbiamo circa la presenza del Capitolium mediolanense è una lapide dedicata alla triade capitolina Giove, Giunone, Minerva, emersa da S. Donnino alla Mazza (CIL, V, 5771), al capo opposto dell’oppidum.

E’ interessante anche la notazione che il Campidoglio venisse chiamato anche “palazzo augustale”, perché ci indica la presenza nei suoi pressi della sede degli Augustali, il collegio dei sei magistrati cittadini che dall’età di Ottaviano Augusto si occuperanno dei giochi e del culto imperiale nelle città italiche.

Non tragga infine in inganno l’assimilazione fatta tra arengo e corte ducale, perché è senz’altro possibile che ci sia stata la stessa migrazione di un nome in base alla funzione che si è verificata per “palatium”, “broletto”, “conservatorio”, ossia che il nome che ha connotato per un certo tempo uno specifico edificio/luogo venga applicato anche ad altri edifici/luoghi in base alla funzione. Se l’oppidum era divenuto uno spazio civico e lo si definiva “arengo”, è possibile che lo stesso nome sia stato tenuto per il luogo di riunione accanto alla cattedrale durante il medioevo.


L’anfiteatro

Lapide del gladiatore Urbicus rinvenuta sull'area del PoliclinicoUna città romana non poteva esimersi dal dare giochi e dall’avere un luogo a ciò deputato. Inizialmente le venationes si svolsero al teatro, poi i Romani elaborarono edifici con uno spazio maggiore per il movimento dei gladiatori e nacquero gli anfiteatri o arene. Sullo spazio lungo la via Vigentina, dove per secoli si erano tenuti i giochi funebri celtici in occasione del capodanno o di Lugnasad, i Romani mantennero la funzione e costruirono forse il primo anfiteatro, che si trovò dove ora sorge l’Università Statale. La successiva trasformazione dell’edificio da fortilizio di Stilicone a rocca di Bernabò Visconti per giungere alla Ca’ Granda filaretiana, ha distrutto ogni possibilità di riconoscerne gli avanzi. Neppure la lapide risalente al III sec. d.C. del gladiatore fiorentino Urbicus rinvenuta in via F. Sforza (S. Antonino) può essere considerata una prova inconfutabile della presenza in loco di un’arena.

Di solito, dove si trova un’arena, lì è anche la caserma dei gladiatori, il luogo dove vivevano e si allenavano. Non bisogna dimenticare che per lo più erano schiavi o condannati che entravano nelle arene, quasi mai liberi professionisti.

Intorno alla caserma c’era poi lo spoliarium, dove venivano spogliati i corpi dei gladiatori morti, il sanarium, l’ospedale dei gladiatori [21] , l’armamentarium che custodiva le armi, il summum choragium, dove si preparavano e conservavano i complessi macchinari scenici impiegati nell’anfiteatro.

Il Ludus magnus o caserma dei gladiatori a RomaDonatella Caporusso notò che, osservando le piante di Milano dal Lafrery (1573) in poi, le case antistanti piazza S. Nazaro apparivano disposte ad emiciclo, quasi a ricalcare l’andamento di un precedente edificio che si estendeva ad occupare tutta la larghezza dell’attuale corso di Porta Romana, quindi anteriore alla costruzione della strada da parte di Pompeo Magno [22] . La Caporusso lo interpretò come una caserma di gladiatori, sul tipo del Ludus Magnus di Roma, il che porterebbe a ritenere che fosse in funzione un anfiteatro prima dell’apertura della strada.  

 

Due belle statuette di terracotta che rappresentano due gladiatori: un murmillo a sinistra e un thraex, risalgono al II sec. d.C. e s ono conservate nel Württembergisches Landesmuseum Stuttgart.


L’ergasterium

Associato alla supposta presenza dell’anfiteatro nel brolo è l’ergasterium o ergastolo, un luogo “fantastico” rimasto nella memoria locale:

Fuit hedifitium altissimis muris circumspectum, diversis cameris et stabulis distinctum, in quibus erant tauri indomiti, ursi et tygrides. Ubi certis diebus aspitiente niverso populo iuvenes sive tyrones nostre urbis adveniebant et cum bestiis pugnabant, gratia furoris sed non criminis. In isto loco nunc est ecclesia Sancti Nazarii in brolio [23] .

 

Il viridarium

Sempre a quest’epoca risalirebbe la delimitazione di parchi e giardini, che per tutta l’età celtica avevano costituito un tutt’uno con il tessuto abitativo - eccezion fatta per i boschi sacri. Scrive Benzo Alessandrino che il viridarium era

quasi paradisus diversis insitum arboribus amoenum erat iuxta moenia civitatis, ubi consules et senatores sua corpora recreabant, in quo fructum et florum immensa divrsitas aviumque inclusarum...clarissima melodia. In medio erat ydolum Februae dii Martis genitricis [24] sedens in aureo throno, quae super apparatum bellorum responsa dabat: hic loco hodie vulgo Verzarium dicitur. [25]

Il Verziere nel Quattrocento si trovava in piazza Fontana, a ridosso della Porta Tonsa romana. Più difficile è capire donde sia pervenuta a Benzo la leggenda che Februa desse responsi per la guerra.

Concludendo, cosa possiamo accettare di quanto la tradizione assegna al “fondatore” Gabinio? Con molta circospezione gli si può riconoscere una delimitazione sacrale della città e il Capitolium; ci sembrano invece databili all’età augustea la sede dei seviri augustali, il teatro e i giochi compitali, per non parlare ovviamente dell’arena e del circo, costruzioni posteriori anche all’impero augusteo.

 

Altri governatori della Cisalpina

Per quanto riguarda i governatori della Cisalpina, disponiamo di testimonianze storiche che vengono assolutamente ignorate dalla memoria locale, mentre alcuni che non hanno mai ricoperto tale carica - e non ci stupirebbe se anche Aulo Gabinio rientrasse nella categoria - vengono incensati e ricoperti di meriti.

Marco Giunio Bruto, padre del tirannicida, fu governatore nel 78 a.C., cadendo vittima della ribellione di M. Emilio Lepido contro Silla. Ma Mediolanum non lo ricorda e della famiglia elogia solo il figlio tirannicida.

Nel 74 è proconsole della Cisalpina C. Aurelio Cotta, l’anno successivo impegnato nelle guerre mitridatiche, ma ignorato dagli storici locali. Tra il 66 e il 65 aveva ricoperto la carica Cn. Calpurnio Pisone, un “giovane sventato” secondo la lapidaria sentenza degli storici.

Marco Tullio CiceroneNon si può dire lo stesso di M. Tullio Cicerone, console nel 63, rimasto nella memoria collettiva mediolanese senza che abbia effettivamente ricoperto la carica di governatore:  

Milano fu governata da Cicerone, che chiama i Galli i migliori e più virtuosi cittadini della repubblica, fior d’Italia e sostiene che le colonie e i municipio dell’Insubria vivevano in meravigliosa concordia, sostegno e ornamento principale di Roma. [26]

La presunta statua di Cicerone (testa posteriore) detta comunemente "omm de preia"M. Tullio Cicerone, nativo della stessa città di Mario e appartenente all’ordine equestre, cioè di quei ricchi uomini d'affari che ambivano elevarsi ai ranghi della vecchia aristocrazia; fu dall’inizio della sua carriera un uomo di Pompeo. La frase citata da C. Cantù si riferisce agli anni successivi alla sua vittoria su Catilina (63 a.C.), quando si dedicò a realizzare il programma ideale di riconciliare la nobiltà senatoria e l’ordine equestre (concordia ordinum). Mentre riservava a se stesso il ruolo di ispiratore, chi doveva presiederlo era Pompeo.

 

Il municipium civium romanorum

Il governatorato di C. Giulio Cesare

Caio Giulio CesareCesare fu eletto console nel 59 a.C. Prima del termine della carica cercò il mezzo per disporre di un esercito proprio quale eventuale punto di forza contro gli altri due colleghi Pompeo e Crasso. Per questa ragione ottenne a partire dal 1° marzo 59 per cinque anni - violando il principio dell’annualità degli incarichi proconsolari - il governo della Cisalpina, dell’Illiria e della Gallia Transalpina, disponendo così di un esercito armato che gli permetteva di intervenire rapidamente nella capitale. Dal 59 al 55 a.C. fu quindi governatore nella Cisalpina, che utilizzò come punto di appoggio e di reclutamento per la guerra gallica, facendosi prorogare il mandato per altri cinque anni, fino al 50 a.C.

Cesare non terminò tranquillamente il suo mandato perché Pompeo era risoluto a fermarne l’ascesa e con una deliberazione senatoria gli intimò di lasciare entro il 1° luglio 49 la provincia della Gallia, pena essere dichiarato “nemico della patria”. Il 13 gennaio 49 Cesare passava il Rubicone e dava inizio alla sua dittatura, entrando il 1° aprile a Roma.

Il senato mediolanese insorse nuovamente, sdegnato per l’usurpazione delle libertà repubblicane. A nulla valse la legge che l’11 marzo 49 L. Roscio Fabato, partigiano di Cesare, fece approvare per concedere la cittadinanza romana ai Transpadani. La promozione era un’altra volta un modo per farsi alleati i Cisalpini e reperire fondi per sferrare l’attacco decisivo a Pompeo, rifugiato a Salonicco. Mediolanum non perdonò a Cesare la morte di Pompeo, avvenuta nel 48 in Egitto, per ordine dei consiglieri di Tolomeo XIII appartenenti alle famigerate truppe gabiniane. Indicativa di questa avversione a Cesare è anche la formazione a Roma del gruppo di neoteroi o poeti nuovi, di origine Cisalpina. Liberi e spregiudicati mentre innovavano lo stile poetico non perdevano occasione per satireggiare contro Cesare. [27]

Ritratto di Giulio Cesare prima del suo assassionioAppena stabilizzato al potere, oltre ad immettere nel Senato romano molti homines novi provenienti dai municipi italici, Cesare vi portò anche notabili dalla Cisalpina, coi quali contava di fare una breccia nel fronte pompeiano. Ma Mediolanum  rimproverò a Cesare di aver concesso più attenzione a Como (Novo-Comum) [28] , staccandola dalla capitale insubre e così limitando l’egemonia che Mediolanum esercitava all’interno della tribù Oufentina. [29]

La Lex Julia Municipalis servì a fissare le norme per il funzionamento dei municipi italici; a molti provinciali devoti a Cesare venne concesso il rango di senatore e la cittadinanza romana, al fine di accelerare la romanizzazione delle province. Il Senato romano raggiunse il numero spropositato di mille senatori.

Il primo provvedimento fu comunque quello di amnistiare i pompeiani, con esiti molto diversi. Mentre ad esempio Catone Uticense preferì suicidarsi piuttosto che scendere a compromessi con Cesare, Cicerone e il nipote dell’Uticense, Marco Giunio Bruto, accettarono l’amnistia. E sarà proprio Bruto, il futuro tirannicida, a ottenere da Cesare il governo della Cisalpina nel 46 a.C., succedendo a Marco Calidio, governatore nel 47. Questo è anche l’anno in cui Cesare scrisse la Guerra civile, pubblicata postuma, con la quale si proponeva di dare un valore super partes alla sua guerra e di fare di se stesso un eroe positivo nella tragedia che, “contro la sua volontà”, aveva sconvolto l’Italia. Nelle sue memorie attribuisce ai nobili e a Pompeo tutta la responsabilità dell’inizio e della prosecuzione della guerra civile, per cui la fine di Pompeo appare come un’inevitabile punizione. Il ritratto di Pompeo dato da Cesare è complesso, ambiguo, perché l’immagine stessa dell’uomo, dell’antico amico (e complice) diventato avversario e nemico, ha vissuto ambigua nella mente di Cesare ed è rimasta politicamente e storicamente irrisolta. [30]


Il foro

E’ Giulio Cesare che istituisce il modello del foro, realizzando a Roma il forum Julium, un’area rettangolare di 160 m x 75 m, orientato SE-NO, fiancheggiato da botteghe, con a un’estremità il tempio di Venus Genitrix, che conteneva la statua della dea realizzata dallo scultore neo-attico Arkesilaos e dipinti di Timomachos di Bisanzio. La trovata urbanistica s’imporrà e verrà letta a Roma più come manifestazione del potere monarchico che come soluzione per il disbrigo delle faccende municipali.

A Mediolanum questa operazione non dovette riuscire, intanto perché gli edifici rappresentativi erano appena stati costruiti dai pompeiani, poi per i motivi di orientamento prima spiegati. Il “foro” era dato dall’intersezione della “forcella” e di via S. Margherita al Cordusio, nell’area che rimarrà fino ai nostri giorni come luogo di amministrazione civica, il Broletto.


Il tempio di Venere Genitrice

E’ però possibile che venisse dedicato almeno un tempio a Venere Genitrice, in seguito al voto fatto da Cesare prima della battaglia di Farsalo contro Pompeo, come potrebbe confermare il rinvenimento di un busto di Venere nell’area tra via S. Margherita e via Orefici. Venere era la mitica madre di Enea e quindi la progenitrice della gens Giulia. A Roma il tempio alla divinità tutelare di Cesare venne iniziato nel 46 a.C.; è quindi probabile che a Milano fosse posteriore a questa data, magari un omaggio reso da Augusto al padre adottivo. La scultura della Venere collocata nel tempio romano rispondeva al gusto del classicismo attico prevalente a Roma in questo periodo e venne realizzata dallo scultore Arkesilaos [31] . E’ difficile dire se il busto di Venere rinvenuto a Milano nei pressi del Cordusio rientrasse in questa concezione.


Il governatorato dei Bruti

Dopo Farsalo Cesare attuò una politica di clemenza nei confronti dei pompeiani. Nel 46 nominò governatore per la Cisalpina Marco Giunio Bruto, che successe nell’incarico a Marco Calidio.

Moneta con l'effige di BrutoBruto, secondo il racconto di Plutarco, godette a Milano di notevole celebrità:

Fu per la provincia una grande fortuna. Infatti, mentre le altre venivano spogliate come se fossero territori di conquista dai governatori insolenti e rapaci a cui furono affidate, Bruto costituì per i suoi amministrati un riposo e un conforto dopo le disavventure precedentemente subite. [34]

Tale fama si protrasse fino alla nostra età, nonostante presso i contemporanei Marco Bruto fosse famoso per essere un “banchiere” puntuale e fermissimo nell’esigere i crediti. Era poi specializzato nel ruolo di accusa nei processi, il che lo rendeva particolarmente inviso. Grazie al ruolo di tirannicida giocato nella tragedia cesariana si conquistò le simpatie dei libertari di tutti i tempi, anche cattolici:

Giunio Bruto, che divenne tanto celebre perché traviato da una falsa filosofia, credette virtù l’assassinio di un tiranno e uccise Giulio Cesare quando voleva usurpare la suprema autorità della Repubblica, governò Milano per alcun tempo nella qualità di pretore. La sua severa giustizia gli accaparrò in tal guisa l’anima dei cittadini che gli eressero una statua di bronzo nel foro e ve la mantennero coraggiosamente anche allora che poteva essere pericolo onorare il fiero Bruto, poiché Augusto, spenta del tutto la Repubblica, s’era fatto imperatore. [35]

Eppure il 46, l’anno del suo governatorato, segna anche la morte in aprile di suo zio Catone Uticense, del quale sposerà la figlia Porzia nel 45, ripudiando Claudia. Marco Bruto rientrò a Roma e nel 44, mentre ricopriva la carica di pretore urbano, insieme a circa novanta persone progettò l’assassinio di Cesare, macchiatosi ai loro occhi di ambizioni regali. Come tutti sappiamo, l’attentato ebbe luogo il 15 marzo 44 nel portico del teatro di Pompeo. Il senato mediolanense salutò l’evento erigendo una statua bronzea a Bruto, mentre era governatore della Cisalpina Decimo Bruto, altro congiurato, sostenuto da Cicerone.
Decimo Giunio Bruto era stato adottato dal console Albinio Postumio nel 99. Comandante della flotta di Cesare nel 56, nel 52 aveva combattuto contro Vercingetorige. Nel 49 Cesare gli aveva affidato la flotta per la conquista di Marsiglia e lo aveva nominato erede in seconda. Nell’estate del 43 M. Antonio occupò la Cisalpina e sconfisse Decimo Bruto che venne assassinato mentre tentava di raggiungere Marco Bruto in Macedonia.

L’erede di Cesare, il suo pronipote Ottavio, ottenne con la pressione dell’esercito la carica di console nel 43, nonostante avesse appena venti anni invece dei 42 minimi richiesti. Il suo primo atto fu di fare una proscrizione contro gli uccisori di Cesare: 300 senatori e 2000 equites rientrarono nelle liste per racimolare le enormi quantità di denaro di cui necessitava il nuovo triumvirato composto da Ottavio, Lepido e Antonio. Fra le vittime illustri ci fu anche Cicerone.  

 

Dalla tradizione celtica alla cultura romana

Si dimentica spesso che la cultura plurisecolare di un popolo non si  sradica come un albero e che la cultura colonizzatrice si sovrappone a fatica nel corso di decenni, ma difficilmente cancella il preesistente, che arriva diluito in dosi omeopatiche ma ancora efficiente fino ai nostri giorni.

La cultura celtica vantava una tradizione orale di poesia, storia, religione, astronomia, medicina, costumi e l’uso del diritto privato nella risoluzione delle controversie, da concentrarsi soprattutto in occasione delle grandi feste. Tutto ciò dovette cambiare gradualmente ma radicalmente a partire dal momento in cui Medhelan divenne una colonia latina.


La scuola

Le scuole druidiche duravano circa vent’anni, erano elittarie e si basavano sulla trasmissione orale di tutto lo scibile. Era un’organizzazione originale, l’unica nel mondo civilizzato che vedesse una casta di sapienti e religiosi custode di tutta la cultura di un popolo, col monopolio ufficiale dell’istruzione. Le scuole si collocavano lontano dai centri abitati, in radure isolate e silenti, poste per motivi rituali o a nord-est o a nord-ovest della città, mai a sud. A Medhelan la scuola druidica - tipo college - si potrebbe situare in via ipotetica a S. Ambrogio ad nemus, esagurato da S. Martino di Tours nel 356 ca., che vi istituì una cella monastica. Il luogo si trovava in una radura circondata da alberi, un nemeton, a nord-ovest del santuario, rispettando così la posizione canonica delle scuole druidiche.

Il passaggio dalla scuola druidica orale a quella che imponeva la cultura dei dominatori dovette essere vissuto in modo ambiguo: come la fine di un’epoca da parte dei conservatori insubri, come l’inizio di un nuovo mondo dove fare una rampante carriera dai giovani aristocratici, che si sottoposero volentieri alla formazione greco-latina. Il corso romano di studi era diviso in tre ordini, all’incirca come oggi: ludus litterarius o scuola elementare per bambini dai sette ai dodici anni, che non dovette comportare una grossa differenza rispetto alla scuola druidica; con le scuole superiori le cose cambiavano radicalmente, perché il giovane insubre doveva fare propri i testi classici latini e greci, studiare la storia dei suoi conquistatori adottandone l’ottica e imparare a pronunciare correttamente il latino, anche se per un aristocratico romano un celta manteneva sempre un’orribile dizione. Per gli studi di retorica, il corrispettivo dell’università, mentre i patrizi romani mandavano i rampolli a studiare presso retori famosi ad Atene, Rodi, Pergamo o Alessandria, i Cisalpini dovettero accontentarsi per qualche tempo di invitare retori famosi nelle loro città. Sappiamo che la ricca Mediolanum repubblicana intorno al 55 a.C. disponeva già  di una scuola di retorica romana, dove studiò per un certo tempo il mantovano Virgilio dopo essere stato a Cremona.  

Ancora nell'età di Traiano, alla fine del I sec. d.C., Plinio il Giovane destinava un contributo per l'assunzione di un maestro che doveva aprire una scuola a Como, onde evitare che i giovani comaschi si dovessero spostare a Milano.

 
La giustizia

Fu il settore che subì i cambiamenti più radicali: le controversie si risolvevano verbalmente davanti a un giudice nel foro che stava in piedi per i processi privati o in un tribunale fornito di sedili per le cause penali. A partire dall’inizio del III sec. a.C. Roma aveva pubblicato un formulario giuridico, del quale i pontefici erano in origine i custodi. A Medhelan l’area riservata alle controversie era stata probabilmente il brolo, uno spazio aperto di fianco a un laghetto attraversato da un ponte. Bisognava cambiare tutto. Dall’età cesariana c’erano due magistrati romani a decidere sulle liti, e non stentiamo a immaginare la fatica che dovettero fare per imporre il diritto pubblico sulla voglia di farsi giustizia da soli seppure sotto l’occhio vigile dei druidi.


La religione

Questo è un argomento di tale complessità da risultare per forza riduttivo e approssimativo l’accenno che qui facciamo. Il concetto fondamentale è che la religione romana esisteva solo a Roma o dove stavano cittadini romani maggiorenni e con pieni diritti civili. Fintanto che Mediolanum fu una colonia di diritto latino, gli unici ad essere autorizzati a celebrare secondo il rituale romano erano i governatori col loro seguito (esclusi ovviamente i servi) e gli Insubri che, per aver rivestito una carica pubblica, avevano ricevuto la cittadinanza romana. La città rimaneva nel suo insieme territorio straniero per il pantheon romano, che vi aveva una specie di consolato.

John Scheid ha spiegato egregiamente questo principio:

non ci si converte alla religione romana, non si fa atto di fede. Si nasce “fedele” o lo si diventa ottenendo la cittadinanza (...) Se uno straniero - persona o città - voleva praticare un sacrificio o dedicare beni a un santuario romano, doveva chiedere l’autorizzazione al Senato [36] .

Quando si fondava una colonia, il primo atto, a parte l’inevitabile consacrazione del luogo (che nel caso di Mediolanum venne attribuita ad Aulo Gabinio), era quello di scrivere la costituzione religiosa della nuova città. Si legge al cap. 64 della Lex coloniae genetivae: “I duumviri in carica dopo la deduzione della colonia riferivano entro i primi dieci giorni dall’assunzione della loro carica ai decurioni sul carattere e il numero delle feste, degli atti sacri che decidevano di far celebrare pubblicamente e le eventuali altre cerimonie sacre”. [37] Valeva lo stesso principio per le colonie fittizie? Crediamo di sì.

I problemi di convivenza fra la ritualità celtica e quella romana dovettero esplodere con l’assunzione del diritto romano dopo il 42 a.C.: la città doveva attrezzarsi per poter svolgere tutto il rituale al quale l’obbligava la cittadinanza, fermo restando che culti e santuari locali potevano permanere, pur con una mano di vernice romana.

In base all’interpretatio che ne fecero i Romani, la religiosità celtica dovette indossare la nuova veste imposta per motivi di comunicazione dai conquistatori, ma il suo contenuto rimase lo stesso, riaffiorando nel più tardo cristianesimo. Eliminate le figure dei druidi perché troppo intrecciate con la gestione del potere politico, resta il problema di capire come la vecchia classe sacerdotale celtica potesse continuare i suoi uffici e fino a che punto si distinguesse da quella romana.I sacerdoti romani dell’età repubblicana non appartengono per forza alla classe dirigente, non sono eletti ma si cooptano fra loro e vengono assunti dal pontefice massimo. La funzione sacerdotale, come presso i druidi, durava tutta la vita ed esentava dalla prestazione del servizio militare. 

Stele votiva alle Matrones Nehalenniane Nelle are votive mediolanensi risalenti a questo periodo restano solo pochi riferimenti a culti celtici: Belenus (CIL, V, 5762) e le Màtrone, ancora molto venerate per tutto il I sec. d.C., [38] che si trasformeranno in età cristiana in tutto il mondo celtico nel culto delle Tre Marie o delle Tre Brigide. Si possono considerare una manifestazione della Dea Madre nell’aspetto lunare che assunse in età più tarda. La dea si manifestava allora come Crescente, Piena, Calante. Portano di solito il nome di fiumi o sorgenti, soprattutto se curative.

 

Il costume

Sulla composizione etnica della popolazione mediolanense le ipotesi sono incerte, ma si può facilmente supporre che rimanesse fondamentalmente quella che i Romani avevano trovato al loro arrivo, dal momento che Strabone nella sua Geografia [39] annota la presenza degli Insubri e che nomi insubri compaiono abbondantemente in tutte le epigrafi di Milano e Transpadana ancora nel II sec. d.C. Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Giulio Cesare e console con Gabinio nel 58 a.C., veniva chiamato ironicamente da Cicerone “insubro bracato”, cioè vestito di brache, segno del suo attaccamento al costume nazionale celtico ereditato dalla madre.

Cesare, che li aveva frequentati nel bene e nel male, mette in risalto l’importanza che la tradizione orale ancora aveva per queste popolazioni:

I Galli hanno l’abitudine di fermare i viandanti, anche quando questi non ne hanno voglia, e di chiedere loro cosa abbiano sentito dire o abbiano saputo su qualche argomento; i mercanti vengono circondati sulle piazze dalla folla e devono raccontare da quali regioni vengono e quali notizie riportano. Secondo questi raconti essi poi prendono le loro decisioni anche per affari importanti ed è inevitabile che prima o poi abbiano a pentirsene, giacché danno ascolto a incerte dicerie o a risposte falsate per assecondarne la volontà [40] .


La medicina

Era un altro settore in cui eccellevano i druidi, specializzati nella raccolta di erbe. Sembra che in questo campo i Romani fossero più tolleranti. Mentre inizialmente consideravano la medicina indegna di un cittadino e quindi era indifferente chi la esercitasse, in seguito a un decreto di Cesare si previde la concessione della cittadinanza a quanti la praticavano. Fu questo un settore di apertura per molti druidi, che fecero concorrenza ai greci su un diverso piano del sapere medico. Bisognò attendere il II sec. d.C. per avere le prime associazioni mediche e le prime scuole di medicina sovvenzionate dallo Stato, che si preoccupò di rilasciare un’abilitazione all’esercizio professionale. 

[1] Così detta dal fiume Ufente nel territorio di Priverno, tribù costituita nel 318 a.C. nel territorio dei Volsci. 

Il provvedimento legislativo di Pompeo Strabone fu seguito nell’88 da quello del tribuno P. Sulpicio Rufo, sostenitore di Mario, che ripartiva tutti gli Italici che avevano ottenuto la cittadinanza romana con la guerra sociale in tutte le preesistenti 35 tribù. La proposta, che mirava a trattare i nuovi cives in modo equo, provocò nel Senato romano la proclamazione dello iustitium, ossia della sospensione generale degli affari pubblici come in caso di invasione!
[2] Plutarco, Vite parallele, Pompeo, 8: “Pompeo accorse in Gallia (Cisalpina), ove compì prodezze ammirevoli... straordinarie”.
[3] Un actus = 120 piedi romani = da 35,174 m a 34,5 m. Un piede romano varia da 0,2931 m a 0,2875 m. La centuria di 23 x 23 actus equivale a 654.517 mq. La pianta augustea di Torino era di 19 x 21 actus; il territorio centuriato a nord-est di Padova era di 20 x 20 actus (Archeo, gennaio 1993, p. 27)
[4] Mirabella Roberti, Milano romana, Milano 1984, nota 17, p. 21. Il calcolo di 23 actus di lato si basa sulla misura del perimetro delle mura urbiche. U. Tocchetti Pollini conferma che, mentre per la Lombardia orientale e per la Lomellina non è stato possibile riconoscere il tracciato della centuriazione, per il territorio di Milano e Como si sono incontrate più difficoltà. Cfr. L’avviamento del fenomeno urbano, op. cit., p. 116.
[5] M. Giunio Bruto aveva sposato Servilia, figlia di Quinto Servilio Cepione, la cui famiglia si era distinta per l’appoggio agli Italici nella guerra sociale.
 6] M. Cary-H.H. Scullard, Storia di Roma, II, Il Mulino, Bologna 1981, p. 119.
[7] Ottenuto con la minaccia dell’esercito il consolato nel 70 a.C., senza aver seguito il cursus honorum, Pompeo si rivolse a M. Terenzio Varrone, l’uomo più erudito di questo periodo, perché gli stendesse un pro-memoria su come si doveva presiedere il Senato.
[8] Troviamo un’analoga attribuzione dell’impianto murario a Pompeo Magno per Verona, Pavia, Lodi e Alba nelle rispettive tradizioni locali, mentre dal punto di vista giuridico ed archeologico si è preferito spostare il tutto all’età cesariana, quando le colonie latine cisalpine divennero municipi romani. Anche per Bergamo si parla di un primo assetto territoriale verso l’89 a.C. senza attribuzioni specifiche (U. Tocchetti Pollini, L’avvio del fenomeno urbano, op. cit., pp. 116, 124).
[9] Il giovane Gabinio venne inviato nell’anno 83 da Silla nel Ponto a soccorrere Licinio Murena che aveva proditoriamente rotto la pace stipulata con re Mitridate. L’esperienza segnò Gabinio, che impostò la sua carriera con l’obiettivo di tornare in Oriente. Il suo consolato nel 58 ebbe come unico scopo quello di farsi assegnare la Siria dietro pressione di Cesare, in cambio della condanna di Cicerone. Dal 57 al 55 lo vediamo brigare nella provincia di Siria per rimettere sul trono d’Egitto Tolomeo Aulete, a protezione del quale lasciò la sua guardia gabiniana, un esercito raccogliticcio e pericoloso, colpevole dell’assasinio di Pompeo nel 48.
[10]  Flos florum, cap. 131, f. 110.
[11] Anche a Bergamo l’incrocio di cardo e decumano è ricordato dalla Torre del Gòmbito.
[12] Grazioli, De praeclaris, p. 212; C. Torre, Ritratto di Milano, p. 357. 
[13] Il pomerio in origine era un ampio circuito, appunto di forma circolare come le capanne preistoriche, per indicare che la città era la casa comune. Varrone fa derivare urbs da orbis, “cerchio” e da urvum, “curvo”. Per il rapporto tra religione e urbanistica cfr. Mario Torelli - Pierre Gros, Storia dell'urbanistica. Il mondo romano, Laterza Bari 1988, pp. 19-23.
[14] Milano tecnica, op. cit., p. 22.
[15] M. Bolla, Le necropoli romane di Milano, Milano 1988, pp. 62-63, tav. XXXIII.
[16] U. Tocchetti Pollini, L’avviamento del fenomeno urbano, op. cit., pp. 129-130. Questa somiglianza riapre la questione irrisolta per Como di un impianto urbano all’epoca di Pompeo, che potrebbe essere il Magno invece del padre Strabone. Sarebbe interessante il confronto con le fondazioni della cerchia urbana in conglomerato di ciottoli messe in luce a Laus Pompeia.
[17] P. Tozzi, Caratteristiche e problemi di viabilità, op. cit., p. 69; Storia di Milano, I, 495-6.
[18] E’ interessante questo inciso, perché ci informa sulla possibile ubicazione della sede dei seviri augustali, magistratura istituita da Augusto.
[19] Besta, op. cit., p. 128. La tradizione è quella di Galvano Fiamma, che fu il primo a parlarne.
[20] Torre, op. cit., p. 360.
[21] Per una strana coincidenza oggi esistono un obitorio e l’ospedale proprio sulla stessa area.
22] D. Caporusso, Nuovi scavi archeologici, in Bollettino d’Arte, 43 (1987), pp. 68-69.
[23] G. Fiamma, Chronicon extravagans, fol. 45, cap. 40.
[24] Marte è il primogenito di Giove e Giunone, che qui viene detta “Februa”.
[25] Benzo Alessandrino, op. cit., p. 27
[26] Cantù, op. cit., p. 3. Nell’orazione Pro Fronteio 16, 31 però Cicerone la pensa diversamente da come vorrebbe il Cantù: “Guardateli esibirsi nel foro, pieni di allegria, di arroganza, minacciandoci, ispirando paura con la sonorità terribile della loro lingua barbara...”.
[27] Famosi sono rimasti i versi del veronese Catullo; meno conosciuti i lavori di Elvio Cinna, del cremonese M. Furio Bibaculo, avverso anche ad Augusto, di Valerio Catone, il capo-gruppo, che aveva perso i suoi beni nella guerra sillana, autore di un poema perso sulla storia di Britomarto.
[28] Cesare dà le mura a Novo-Comum poco dopo il 59 a.C. deducendovi 5000 coloni, di cui 500 greco-siculi. Il perimetro era quello di un rettangolo di m 445 x 650.
[29] P.G. Michelotto, Milano romana: dai Celti all’età imperiale, in Storia illustrata di Milano, p. 12; Giorgio Luraschi, Aspetti di vita pubblica nella Como dei Plini, Como 1986, p. 9.
[30] G. Ferrara, introduzione a G. Cesare, La guerra civile, Rizzoli, Milano, 6a ed. 1996, p. 18.
[31] R. Bianchi Bandinelli, L’arte romana, Editori Riuniti, Roma 1984, p. 35.
[32] Giorgio Giulini, Sopra l’anfiteatro di Milano, Milano, Agnelli, 1757, p. 15. Lo troviamo citato nel De situ (X secolo), in Landolfo seniore; Benzo Alessandrino lo dice “secretus locus publicum”.
[33] G. Fiamma, Chronicon majus, fol. 109, cap. 263.
[34] Plutarco, Vite parallele, Bruto, 6.
[35] C. Romussi, op. cit., p. 30. La fonte è Plutarco, Vite parallele, Dione-Bruto, 5. Il partito “pompeiano” doveva essere forte in tutta la Cisalpina se Augusto definiva scherzosamente il suo storico patavino Tito Livio “pompeiano”, ossia filo-repubblicano e ammiratore di Bruto (M. Grant, Letteratura romana, pp. 129-130).
[36] J. Scheid, La religione di Roma, UL Bari 1993, pp. 14, 17.
[37] J. Scheid, op. cit., pp. 59-60.
[38] C.I.L., V, da 5786 a 5791.
[39] Strabone, morto nel 20 d.C., fornisce i dati fino all’età augustea.
[40] Cesare, De bello gallico, IV, 5

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Ultima modifica: martedì 23 luglio 2002

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