Home | La città | Personaggi | Arte | Miti e leggende | Repertori | Cronologia | Links utili
 
sei in Repertori >> bombardamenti aerei su milano

 

I bombardamenti aerei su Milano durante la II guerra mondiale

di Mauro Colombo

Fortezza volante

 

Pochi mesi dopo lo scoppio della guerra, e prima ancora che l'Italia decidesse di prendere le armi al fianco dell'alleato tedesco, la nostra penisola fu oggetto di numerose missioni aeree di ricognizione da parte delle forze inglesi, che intendevano monitorare il più esattamente possibile il territorio di quello che, secondo il loro oculato punto di vista, sarebbe stato un futuro nemico.
Nel giugno del 1940, ad un mese dalla dichiarazione di guerra italiana, iniziarono i primi bombardamenti aerei su Torino, senza tuttavia grandi ripercussioni, sia a causa dell'ancora poco organizzato Bomber Command inglese, sia per l'esiguo numero di aeroplani utilizzati nelle missioni. Ciononostante, la popolazione delle grandi città comprese tristemente quale destino si prospettava innanzi.

 

Parte I: Lo scenario

Obiettivo Milano

Nel 1940 Milano era ritenuta dagli Inglesi un importante obiettivo militare, essendo la più sviluppata città industriale d'Italia e una delle più rilevanti a livello europeo, situata all'interno del triangolo industriale, con Torino e Genova.

Il servizio di informazioni industriali inglese, prima ancora dell'inizio dl conflitto, si era procurato notizie dettagliate e mappe di tutte le principali realtà produttive di Milano e provincia, tra le quali spiccavano la Alfa Romeo, la Edoardo Bianchi, le Officine Galileo, la Magneti Marelli, le officine Borletti, la Tecnomasio Italiana Brown Boveri, la Pirelli, la Isotta Fraschini, la Breda, la Caproni, l'Ansaldo e, ma non ultima, la Falk acciaierie.

La città era ritenuta inoltre uno dei principali snodi ferroviari del Paese, caratterizzata da 21 linee ferroviarie, da una delle stazioni più grandi d'Europa e da importantissimi scali merci, tra i quali Lambrate e Farini, snodi vitali per le suddette industrie.

I rapporti stilati a conflitto già iniziato indicavano in un milione e centomila gli abitanti della città, che gli stessi studi descrivevano divisa a cerchi concentrici, il più interno dei quali (centro storico, all'interno della cerchia dei navigli) risultava essere anche il più vulnerabile in caso di intenso attacco aereo, sia perché maggiormente abitato, sia per la vicinanza tra loro delle costruzioni, con strade prevalentemente strette. Si prevedeva così, in caso di bombardamento anche mediante spezzoni incendiari, un facile propagarsi del fuoco, pur dovendosi sottolineare che gli stessi rapporti spionistici si rammaricavano per il materiale impiegato per la costruzione degli edifici, e cioè quasi esclusivamente mattoni e cemento, causa questa di maggiore difficoltà nel propagarsi degli incendi, i quali invece avevano dato grandi risultati nelle città tedesche, ove abbondava l'impiego di materiali lignei.

Alla luce di tutto ciò, il bombardamento sistematico fu in un primo momento (fino a tutto il 1943) rivolto a colpire la città "civile", mirando su case e popolazione, affinchè questa terrorizzata spingesse sul Governo a chiedere un armistizio; in un secondo tempo (dal 1944) si accanì su fabbriche e produzione bellica, asservita alle esigenze tedesche.

 

Le difese della città

La difesa dagli attacchi dal cielo fu inizialmente affidata alla quinta legione ("La Viscontea") della Milizia Di.ca.t. (Difesa contraerea territoriale), che poteva vantare, tra ufficiali, sottufficiali e militi, quasi 9.000 uomini, dislocati sia in città sia sul resto del territorio milanese, posizionati in zone strategiche e pronti in ogni momento a mitragliare gli apparecchi nemici. Anche alcune fabbriche di grosse dimensioni erano dotate di proprie batterie antiaeree, collocate di norma sui tetti dei capannoni.

Dopo l'ottobre 1942 affluirono in Italia alcuni reparti della Flakartillerie tedesca, dipendenti dalla Luftwaffe, per dar man forte alla Dicat, la cui abilità nel difendere i cieli si era rivelata assai scarsa, tanto da non essere quasi temuta dai bombardieri.

Le batterie tedesche vennero sistemate nei pressi di quelle italiane, al fine di sfruttarne i già stabiliti collegamenti per le comunicazioni. Dopo l'armistizio, scioltasi la Dicat, la difesa dei cieli spettò esclusivamente alla Flak tedesca, che perciò venne potenziata sfruttando il personale italiano della Repubblica Sociali Italiana. Oltre alla difesa organizzata da terra, erano sempre pronti a staccarsi in volo i caccia della Regia Aeronautica, di stanza negli aeroporti di Venegono e Lonate Pozzolo (apparecchi Macchi C 202 e Fiat CR 42, più qualche Messerschmitt Bf 109 della Luftwaffe).

L'ultimo gradino della difesa era affidato agli uomini della UNPA (unione nazionale protezione antiaerea), e ai Capifabbricato, uno per ogni palazzo, questi ultimi col compito di garantire l'efficienza degli eventuali rifugi antiaerei, delle uscite di sicurezza e degli idranti, nonché di controllare che il caseggiato fosse adeguatamente oscurato, che cioè tutte le finestre degli appartamenti fossero mascherate con carta azzurra, prima vera difesa passiva contro le incursioni notturne (anche i fari di tram, autobus, auto e biciclette avevano solo una piccola fessura per la proiezione della luce, e i parafanghi dipinti di bianco).

La popolazione veniva avvisata del pericolo incombente da un primo piccolo allarme aereo (sirena), che, almeno quando ancora la difesa contraerea e gli avvistamenti erano in grado di svolgere il loro compito, era data con trenta minuti di anticipo sull'attacco. Poi seguiva una seconda sirena, di grande allarme, che precedeva di pochi minuti i primi sganci di bombe.

I cittadini avevano dunque (almeno in teoria) il tempo di raggiungere le cantine rifugio (per i palazzi predisposti o comunque attrezzati al caso) o i rifugi collettivi più vicini. I portinai degli stabili avevano inoltre il compito, durante gli attacchi, di spalancare i portoni, per permettere ai passati sorpresi dall'incursione di ripararsi dentro gli androni.

 

I bombardieri

Per poter comprendere appieno la potenza distruttiva di un bombardamento aereo alleato, è opportuno dedicare poche ma significative righe agli apparecchi utilizzati per le incursioni:

- nel 1940, il Bomber Command inglese si avvalse di bimotori Armstrong Witworth Whitley, aerei il cui carico di bombe dovette essere ridimensionato a causa del lungo viaggio che dovevano compiere (Inghilterra-Milano e ritorno), quindi non più di 2.000 chili;

- dall'autunno 1942 fino all'estate del 1943, il Bomber Command utilizzò invece i gioielli di famiglia, i quadrimotori Stirling (capaci di trasportare ciascuno ben 6.000 Kg di bombe), Halifax (5.800 Kg), e Lancaster (6.500 Kg). Venne impiegato anche il bimotore Wellington, il De Havilland Mosquito (bimotore per ricognizioni, dal quale venivano sistematicamente scattate le fotografie dei dopo-bombardamenti) e il famoso Spitfire, caccia per ricognizione e mitragliamenti al suolo;

Aerei Spitfire

- dal 1943, gli attacchi vennero affidati alla MAAF (Mediterranean allied air force) e alla USAAF, utilizzando quadrimotori Boeing B 17 Flying Fortress (le fortezze volanti) e B 24 Liberator, dotati di carichi distruttivi inferiori a quelli inglesi. Tali aerei decollavano dalla Puglia e dalla Campania, ormai liberate dal giogo nazi-fascista;

- nell'ultimo periodo di guerra, volarono su Milano anche altri aerei statunitensi, tra i quali il Republic P 47 Thunderbolt, dagli Italiani ribattezzato Pippo, tragicamente famoso per incursioni solitarie sia notturne che diurne per mitragliamento di strade e ferrovie.

Per quanto riguarda le bombe aviotrasportate, gli Inglesi utilizzarono bombe incendiarie di piccole dimensioni e classiche bombe da 250, 500, 1000 e 2000 chilogrammi. Raramente anche bombe da 6000 chili.

Gli aerei statunitensi erano equipaggiati con bombe da 250 e 500 chili, ad alto esplosivo e dirompenti.

 

Modalità degli attacchi

Gli attacchi su Milano (come del resto su altre città) furono inizialmente solo notturni: gli aerei inglesi decollavano da basi posizionate nel sud dell'Inghilterra verso l'ora di cena, attraversavano nella serata i cieli della Francia, occupata dall'esercito di Hitler, varcavano le Alpi e a mezzanotte piombavano sulla città, dove restavano per circa un'ora, per poi far ritorno alle loro basi.

Svolgendosi al buio, e non potendosi sempre contare su cieli tersi e lune piene, l'incursione era preceduta dal passaggio di aerei detti "pathfinder", cioè dei segnastrada, che lanciavano dei luminosissimi bengala onde mostrare ai bombardieri la rotta e gli obiettivi.

Dopo il 1943, gli aerei dell'USAAF attaccavano invece di giorno, a tutte le ore, con maggiori rischi di essere abbattuti ma con più probabilità di centrare i bersagli prestabiliti. Di solito decollavano al mattino dalla Puglia, sorvolavano l'Adriatico, e dalla Romagna viravano puntando su Milano. Al ritorno, questi aerei avevano la possibilità, ormai liberatisi del peso enorme delle bombe, di cacciare liberamente con le mitragliatrici, su tutto ciò che ritenevano utile colpire (treni in corsa, corriere, colonne militari in spostamento).

 

Parte II: Cronologia dei bombardamenti

Anno 1940

Notte tra il 15 e il 16 giugno

Milano subì il primo attacco aereo dopo soli cinque giorni dall'entrata in guerra dell'Italia.. L'allarme antiaereo fu dato alla 1.48. Vennero colpiti diversi edifici, e si contarono un morto e alcuni feriti.

Notte tra il 16 e il 17 giugno

Alle 22.30 suonò l'allarme in seguito all'avvistamento di 8 aerei che sorvolavano i cieli di Milano. Secondo allarme alle 0.23 per altri bombardieri in avvicinamento da sud, poi ancora un allarme quindici minuti dopo, per aerei che sganciavano bengala in zona attigua alla Caproni, che poi fu effettivamente colpita da circa 25 bombe. Alla 1.00, segnalati aerei da nord diretti a sud, alle 2.00 sgancio di bombe sulla Milano-Laghi. Ultimo allarme alle 5.04, e alle 6.22 definitivo cessato allarme. Danni non rilevanti.

Notte tra il 13 e il 14 agosto

Dopo quasi due mesi di tranquillità, alla 0.55 allarme per aerei provenienti da Como, Varese e Domodossola. Vennero sganciate bombe e volantini di propaganda. Si contarono 15 morti e 44 feriti, dovuti ad attacchi concentrati nelle vie Sarpi, Settala, Moscova, e viale Padova. Altri danni a Greco e in via Messina. La Dicat sparò numerosissimi colpi, senza tuttavia poter colpire apparecchi inglesi.

Notte tra il 15 e il 16 agosto

Allarme alle 0.40, ma a causa del fuoco contraereo della Dicat, gli aerei inglesi si liberarono del loro carico di bombe su Merate e Mariano Comense. Un velivolo Wellington fu abbattuto, provocando la morte di uno dei cinque piloti.

Notte tra il 18 e il 19 agosto

Allarme alle 0.40, furono sganciate 14 bombe (colpiti stabilimenti Innocenti a Lambrate, Caproni e aeroporto Forlanini-idroscalo).

Notte tra 24 e 25 agosto

Allarme alle 0.49, ma sgancio di bengala.

Notte tra il 26 e il 27 agosto

Allarme tra la 1.00 e le 3.00. Nessuna bomba sganciate, due aerei inglesi abbattuti (uno nell'Appennino ligure, uno presso Arese).

Notte tra il 18 e il 19 dicembre

Il Bomber Command si rifece vivo dopo più di tre mesi di silenzio. L'allarme durò dalle 2 alle 4.30: distrutta una cascina ad Assago e colpita la via Col di Lana a Milano (otto morti, 16 feriti).

Anno 1942

Se il 1941 era trascorso senza nessuna missione del Bomber Command, che aveva preferito concentrare le proprie forze in altri scenari di guerra, il 1942 (che sembrava un'annata tranquilla) mostrò la preparazione e la determinazione inglesi nel mese di ottobre.

Tardo pomeriggio del 24 ottobre

La cittadinanza fu colta di sorpresa quando il suono delle sirene si sovrappose al rumore del traffico alle ore 17.57: innanzitutto perché da più di un anno gli aerei avevano disertato i cieli milanesi, inoltre perché fino ad allora gli attacchi erano stati sempre effettuati durante la notte. Ma quello che più sorprese, fu il fatto che le prime bombe cominciarono a cadere appena tre minuti dopo l'allarme, che evidentemente era stato dato con colpevole ritardo. Circa 73 aerei Lancaster si riversano ad ondate sulla città, in un orario di affollamento e movimento intenso. La Dicat intervenne già spiazzata, cercando di rimediare a tutta una serie di errori difensivi (che infatti le vennero rimproverati nei giorni successivi, anche sulla stampa). Le bombe sganciate furono di tutte le dimensioni, tra le quali ben 12 da 2000 chili, più di 2.000 bombe incendiarie di grosso calibro e più di 28.000 di piccolo calibro.
La seconda fase dell'attacco fu disturbata dal fumo degli incendi subito divampati, che saliva a cinquecento metri di quota schermando il cielo. Si levarono in volo, per intercettare i bombardieri, cinque aerei dell'Aeronautica, senza successi importanti. Un Lancaster si schiantò al suolo dalle parti di Segrate, abbattimento forse attribuibile alla contraerea installata presso la Caproni. Al termine del raid, i morti risultarono 135, i feriti 331, alcuni dei quali non sopravvissero.
Vaste zone della città risultarono danneggiate o devastate. Secondo il rapporto della prefettura, subirono gravi danneggiamenti gli stabili in via Pantano, via Velasca e corso Roma (ora porta romana) ai civici 7,9 e 10; due stabilimenti in zona Ticinese e la via S. Cristoforo; piazza Tricolore, viale Montenero (civici dal 72 al 76 e 73), via Archimede, via Melloni, il Macello e il mercato ortofrutticolo (scalo Vittoria), via Messina, Lomazzo, Sarpi, Aleardi, corso Buenos Aires (civici 33 e 58), piazza Bacone, via Oxilia (civici dal 23 al 29 e 26), via Sauli (dal 18 al 28).
Il carcere di San Vittore fu danneggiato, e a causa dell'abbattimento di un muro perimetrale e del parapiglia seguitone, un centinaio di detenuti si diede alla fuga. Il disastro obbligò il Comune a predisporre scuole ed edifici pubblici per accogliere i senzatetto, mentre la cittadinanza si lamentò dell'insufficienza dei rifugi pubblici, dimostratisi in numero inferiore rispetto alle concrete esigenze di riparo durante gli attacchi.

Notte tra il 24 e il 25 ottobre

Gli incendi causati dall'incursione pomeridiana ancora divampavano, quando alle 22.44 piombarono su Milano altri bombardieri inglesi. Tuttavia l'attacco risultò notevolmente inferiore a quello diurno appena effettuato, a causa dei pochi aerei che effettivamente riuscirono a raggiungere la città, avendo lo stormo subito lungo il tragitto numerose perdite (causa temporale e contraerea svizzera). Molte bombe si dispersero così sul territorio circostante Milano, alcune finirono addirittura sulla certosa di Pavia e a Vigevano.
Per migliaia di milanesi iniziò lo sfollamento: tutte le sere dei giorni feriali grandi masse si accalcavano su corriere e treni (ma c'è chi doveva arrangiarsi con biciclette) per passare la notte, dopo un giorno di duro lavoro, in zone limitrofe ritenute non soggette a bombardamenti notturni, trovando casa presso locali messi a disposizione da contadini.
Alla fine del 1942 cominciarono ad essere ridotti i trasporti pubblici cittadini, soprattutto per mancanza di pezzi di ricambio. Molte linee vennero soppresse, e le corse iniziarono ad avere frequenza ridotta.

Anno 1943

Dall'inizio dell'anno la Dicat, dopo avere dato prova di scarsissima preparazione ed efficacia, era stata affiancata dalla Flak tedesca. Il Bomber Command era intanto stato potenziato e perfezionato, ed aveva iniziato la distruzione sistematica delle città tedesche.
A Milano, intanto, la razione di pane giornaliera scese a 150 grammi, i buoni del tesoro persero valore e tra la popolazione prese piede il baratto, unico sistema per procurarsi di che vivere.

Notte tra il 14 e il 15 febbraio

Il preallarme suonò alle 21.30, e dopo mezz'ora, alle 22.06, il grande allarme. Circa 138 Lancaster iniziarono a sganciare le bombe alle 22.34. La rotta era stata tracciata da numerosi pathfinder dal Lago Maggiore in poi. Un solo aereo fu colpito dalla contraerea, e si schiantò in fondo a via Boffalora, alla Barona. Un membro dell'equipaggio non fu più trovato, ed uno dei motori venne dissotterrato nel 1990, durante i lavori per la costruzione del capolinea Famagosta della metropolitana due. Durante l'attacco vennero sganciate 110 tonnellate di bombe esplosive e 166 tonnellate di ordigni incendiari.
La ricognizione inglese per la valutazione dei danni inflitti fu effettuata quattro giorni dopo da un aereo De Havilland Mosquito. Secondo il rapporto e interpretando le foto scattate dall'alto, risultarono danneggiate l'Alfa Romeo, la Caproni, la Isotta Fraschini, la Centeneri e Zinelli e la manifattura tabacchi. Danni poi allo scalo Farini, a porta Genova, al deposito tranviario di via Messina e a quello degli autobus di corso Sempione. Inoltre, 35 aree civili danneggiate in corso Roma, presso il Duomo, all'Arena, in via Mario Pagano, piazzale Loreto, alla stazione centrale nei pressi della università Cattolica.
Secondo i rilievi italiani dei giorni seguenti, danneggiati risultarono numerosi cinema, la centrale del latte, diverse centrali Stipel, più 203 case distrutte e 220 gravemente danneggiate, 376 con danni importanti, e più di 3000 quelle con danni lievi. Gravi danni subì il Corriere della Sera in via Solferino.
Per quanto riguarda il patrimonio culturale ed artistico, danneggiate risultarono le chiese di: S.Maria del Carmine, S.Lorenzo, S.Giorgio al palazzo. Inoltre il palazzo Reale, la Pinacoteca Ambrosiana, la Permanente, la Galleria d'arte moderna, il Conservatorio.
Per domare gli incendi dovettero intervenire anche i vigile del fuoco di Bologna, oltre a quelli di tutte le province vicine. Alle otto del mattino seguente riprese la circolazione dei tram e dei treni alla Stazione centrale.

Il conteggio dei morti si attestò su 133, con 442 feriti. I senza tetto risultarono 7.950, ma pochi giorni dopo quelli regolarmente registrati presso gli uffici comunali furono 10.000. La città subì un ulteriore svuotamento da parte della popolazione, sia perché rimasta senza una casa, sia per timore di ulteriori attacchi. Le scuole furono chiuse a tempo indeterminato, sia per il pericolo di bombardamenti, sia per mancanza di combustibile.

Notte tra il 7 e l'8 agosto

palazzo SormaniIl 25 luglio Mussolini era stato arrestato dopo la storica seduta del Gran Consiglio del fascismo, e tradotto sul Gran Sasso. Per accelerare la resa dell'Italia, venne allora programmato un ciclo di bombardamenti ferocissimi su Milano, che, secondo le intenzioni, dovevano distruggere la città entro un mese.
Il primo di tali attacchi iniziò con l'allarme delle 0.52 dell'8 agosto, quando aerei nemici erano stati segnalati in passaggio sulla frontiera svizzera. Le bombe iniziarono a cadere alla 1.10. I Lancaster della RAF sganciano soprattutto bombe incendiarie: presto enormi cerchi di fuoco si propagarono a Porta Venezia, porta Garibaldi, in corso Sempione, Magenta e Ticinese. Il teatro Filodrammatici andò distrutto, così come gran parte del Corriere della Sera. Risultò inservibile l'ospedale Fatebenefratelli. Pesanti danni anche al museo di Storia naturale, al Castello, alla Villa Reale, al palazzo Sormani. In totale, si ebbero 600 edifici distrutti, sotto le cui macerie persero la vita 161 persone, più 281 feriti.
La contraerea riuscì a colpire due Lancaster (che precipitarono uno in via Gustavo Modena, l'altro, a pezzi, cadde sulla via Compagnoni e dintorni). L'oscuramento della città fu imposto dalle 21.30 alle 5.30. I mezzi ATM riuscirono a riprendere servizio solo in periferia, dato che la maggior parte delle vie più centrali risultava impraticabile al passaggio veicolare, ostruita da macerie e costellata di voragini..

Notte tra il 12 e il 13 agosto

il DuomoPer questa missione il Bomber Command inglese mobilitò tutti gli apparecchi disponibili, e su Milano furono inviati addirittura 504 aerei: 321 Lancaster e 183 Halifax. Lo scopo di tale spiegamento di forze era quello di creare sulla città il cosiddetto vortice di fuoco (dai comandi inglesi tanto teorizzato quanto realizzato sulle città tedesche), per annientarla totalmente. Per questo, tra le 2.000 tonnellate di bombe trasportate quella notte, vi erano 380.000 spezzoni incendiari.
L'allarme fu dato alle 0.35, con cielo senza nubi. Neppure dieci minuti dopo iniziò lo sgancio delle bombe e degli spezzoni incendiari, il tutto per circa un'ora. La contraerea nulla poté fare. Il centro cittadino fu la zona più colpita, senza risparmiare però il quartiere Ticinese, Garibaldi, Sempione. Gli incendi divamparono ovunque, con effetti distruttivi su palazzo Marino, la Questura, il Commissariato Duomo, il Castello, la chiesa di San Fedele, Santa Maria delle Grazie (ma non il Cenacolo "ingessato" nei sacchi di sabbia); il Duomo riportò gravi danni, così come la Galleria (volta distrutta e facciata delle costruzioni "raschiate").
Piazza S. FedeleLa potenza delle fiamme era alimentata dal vento che si era alzato a causa dell'incendio stesso, che attirava aria dalle campagne per autoalimentarsi (è l'effetto, enormemente ingrandito, che si verifica quando si apre lo sportello di una stufa: le fiamme subito riprendono vigore perché attirano nuovo ossigeno dall'esterno). La scena all'alba dovette apparire apocalittica: quasi metà città era in preda alle fiamme e l'aria totalmente irrespirabile, interi quartieri erano pericolanti. Furono comunque ripristinate alcune linee automobilistiche per favorire lo sfollamento degli ultimi cittadini rimasti, all'incirca 250.000 persone.

Notte tra il 14 e il 15 agosto

Palazzo RealeQuesta volta 140 Lancaster scesero su Milano alle 0.32. In un'ora, sganciarono facilmente le loro bombe, guidati dagli incendi del precedente attacco che ancora ardevano non domanti. Furono nuovamente centrati il Castello, il Palazzo Reale, il teatro dal Verme e il teatro Verdi. Numerose industrie colpite pesantemente. I pochi cittadino presenti diedero soccorso ai vigili del fuoco e agli uomini UMPA per fermare la furia devastatrice delle fiamme, ma l'imprese fu rallentata dalla mancanza d'acqua, causata dalla distruzione delle tubature dell'acquedotto.

Notte tra il 15 e il 16 agosto

il teatro alla ScalaIl terzo attacco del ciclo programmato fece suonare l'allarme alle 0.31. Non tutti i 199 Lancaster decollati dall'Inghilterra questa volta raggiunsero Milano, in una notte per loro poco fortunata. Maggior sfortuna toccò comunque alla città: interi quartieri vennero bombardati. Segnaliamo solo: Archivio di Stato (enormi perdite cartacee), il Duomo, la Scala, che ebbe il tetto sfondato (e che sarà ricoperto con tettoie provvisorie fino all'inizio del lavori di restauro), la Rinascente (totalmente distrutta, poi demolita perché non recuperabile).
I quotidiani uscirono la sera seguente, in edizioni limitate, anche a causa della mancanza di carta per le rotative. La città era in preda agli incendi e coperta di macerie, e il Bomber Command decise di fermarsi, seppur insoddisfatto. Infatti la distruzione totale della città apparve impresa impossibile, per due ragioni.
Innanzitutto i materiali di costruzione degli edifici (pochissimo legno), e l'inversione termica che tanto afose rende le giornate di agosto: il caldo estremo anche notturno e l'umidità a livelli prossimi al 90% impedivano all'aria di circolare, ragione per la quale le fiamme non riuscivano mai a propagarsi con la facilità che si verificava sulle città tedesche. Inoltre, l'armistizio era ormai vicino: inutile insistere.

Le terribili incursioni del mese di agosto avevano colpito il 50% degli stabili, di cui il 15% gravemente danneggiato. I senza tetto furono almeno 250.000, e 300.000 gli sfollati. Per rimuovere le macerie si reclutarono con difficoltà 5.000 operai, oltre a 1.700 militari. La maggior parte degli sgomberi e delle messe in sicurezza fu affidata alla manovalanza ormai esperta della ditta Romanoni (che dall'inizio del conflitto aveva vinto l'appalto per tali incombenze).
Il servizio di trasporto pubblico fu quello che ne uscì più disastrato (acqua, luce e gas erano infatti ripresi entro le 48 ore). I tram e le filovie erano totalmente distrutti, così come le rimesse, devastate dagli incendi. Dalle vetture meno danneggiato si recuperano i pezzi per rendere efficienti pochi tram, in una sorta di cannibalismo meccanico. Inoltre, con la rete di alimentazione aerea danneggiata (i palazzi crollando avevano travolto in centinaia di punti i fili della corrente) anche i tram rimessi in servizio ebbero problemi di circolazione. Inizialmente vennero dunque impiegate le piccole locomotive a vapore dei gamba de legn (che vennero così tolte dai servizi extraurbani), le quali, con i rimorchi di fortuna, poterono garantire almeno qualche linea, soprattutto per collegare le stazioni ferroviarie.

Pietoso fu lo spettacolo dei monumenti milanesi: tra tutti, la mattinata del 16 agosto venne dedicata ad un sopralluogo della Scala, come detto centrata in pieno da una bomba di grosse dimensioni. I palchi apparvero gravemente danneggiati, solo il palcoscenico, ristrutturato notevolmente negli anni trenta, si era salvato grazie al sipario metallico che aveva impedito al fuoco di propagarsi. Per evitare che la pioggia e il gelo dell'inverno distruggessero del tutto quanto scampato, nel mese di settembre venne studiata e messa in opera una copertura provvisoria anulare, per proteggere i palchi e i fregi decorativi. La tettoia venne realizzata con materiale di fortuna, prevalentemente legno e cartone catramato. Solo a conflitto terminato sarebbe stato possibile portare a termine il restauro e il ripristino del teatro.

S. Maria delle Grazie

Santa Maria delle Grazie, eccettuato il Cenacolo, ne uscì parzialmente mutilata. La cupola bramantesca risultò alquanto danneggiata, così come il chiostro e la fontana centrale, colpita in pieno da una bomba. Anche il chiostro piccolo venne colpito, ma l'incendio propagatosi era stato coraggiosamente spento dall'opera degli stessi frati.
Ospedale Maggiore

Infine, l'Ospedale Maggiore, la storica Ca Granda, fu centrata da sei o sette bombe di grosso calibro. Andò distrutto il cortile centrale, che perse i portici. Furono colpiti anche i chiostri laterali. Dovranno passare decenni prima di poter vedere restaurato l'antico complesso ospedaliero.

L'otto settembre regalò all'Italia l'armistizio; il 24 novembre Mussolini diede vita la Repubblica Sociale italiana.

Con il sopraggiungere dell'inverno si dovettero abbattere centinaia di alberi (tra quelli sopravvissuti agli incendi) per alimentare le stufe domestiche.

Anno 1944

Dopo l'armistizio, mentre gli angloamericani risalivano lentamente dal sud Italia ormai liberato, Milano passò sotto il controllo dei Tedeschi, coadiuvati da squadre autonome di fascisti, quali la "Ettore Muti".

Notte tra il 28 e il 29 marzo

Partiti dalla Puglia, 78 Wellington arrivarono su Milano alle 22.40. L'attaccò si concentrò sullo scalo di Lambrate. L'allarme era suonato tardi, dieci minuti prima del lancio dei bengala su Rogoredo e Affori, tant'è che la contraerea, anche se allertata, non colpì aerei nemici. I danni al sistema ferroviario furono ingenti: circa 300 vagoni distrutti, e binari devastati fino a Segrate. Furono anche colpite numerose vie e piazze adiacenti gli scali attaccati, con un bilancio di 18 morti e 45 feriti.

Mattina del 29 marzo

Alle 12.15 si presentarono sulla città, ancora nel caos per l'attacco notturno, poco meno di 139 aerei (tanti erano partiti dalla Puglia, ma alcuni si erano dovuti ritirare prima di sferrare l'attacco). L'allarme fu dato col dovuto anticipo, alle 11.40, e le prime detonazioni si udirono su Lambrate, vero obiettivo del bombardamento. Distrutte risultarono cinque cabine di manovra, almeno 5 km di binari e impianti, tutta la linea di elettrificazione aerea, 5 locomotive e circa 500 vagoni.
Anche se l'attacco si era rivolto al materiale rotabile, ci furono almeno 30 morti tra Rogoredo, via Corelli, via Tertulliano, e Ronchetto sul Naviglio. Anche in questa occasione la contraerea nulla poté: anche se in mano alla Flak tedesca, con l'ausilio della'AR.CO. (artiglieria contraerei), i risultati furono deludenti come quando era gestita dalla Dicat.

Mattina del 30 aprile

L'allarme suonò alle 11.38, a mezzogiorno iniziarono a cadere le prime bombe. I bombardieri si divisero in due gruppi, con due target precisi: la Breda, sezione costruzioni aeronautiche, e lo scalo Lambrate. La Breda risultò semi distrutta, lo scalo vide ridotti in cenere 32 locomotive, 100 vagoni, l'officina rialzo (più 22 interruzioni di binario).

Notte tra il 5 e il 6 aprile

Alle 20.50 aerei inglesi del 205° Group sganciarono bombe su Lambrate. Non risultano documentazioni ufficiali della missione, è ipotizzabile un errore di obiettivo.

Notte tra il 10 e l'11 luglio

Alle 23.45 vennero lanciati razzi illuminanti, data la forte foschia afosa presente nell'aria, poi 86 Wellington inglesi si scatenarono di nuovo su Lambrate: la volontà strategica era quella di annientare il principale scalo ferroviario di Milano, dal quale passavano le merci per le industrie convertite dai tedeschi alla produzione di materiale militare. Danni limitati.

Notte tra il 13 e il 14 luglio

Il 205° Group inglese inviò per distruggere Lambrate 89 aerei, e l'allarme suonò alle 23.32. Per la prima volta la contraerea riuscì a mettere in difficoltà i bombardieri, due dei quali vennero colpiti. I danni allo scalo risultarono facilmente rimediabili, proprio a causa della sfortuna che quella notte colpì gli Inglesi.

Fine Luglio e Agosto

In questi mesi estivi gli attacchi dal cielo si concentrarono sulle strade, sui mezzi di trasporto e sulle aziende del territorio intorno a Milano. Furono bombardati i ponti sul Ticino a Boffalora e a Turbigo, il ponte sull'Oglio a Palazzolo.
Il 24 agosto due Liberator del 34° Squadron sudafricano gettarono su Milano volantini di propaganda.

Settembre

Nella notte tra il 5 e il 6 settembre furono sganciate tra bombe, che colpirono uno stabile in piazza Morbegno e la scuola di via Russo. Anche la Breda di Sesto San Giovanni fu centrata da alcune bombe di calibro minore.
Nella notte tra il 10 e l'11 settembre molti apparecchi sorvolarono Milano, colpendo solo alcuni edifici privi di interesse strategico, probabilmente per un errore di posizione.

Mattina del 20 ottobre

Alle 11.14 fu dato il piccolo allarme, seguito troppo presto dal grande allarme, alle 11.24. Le prime bombe iniziarono a colpire alle 11.29, cioè un quarto d'ora. La popolazione non ebbe dunque il tempo di mettersi adeguatamente al sicuro. Le zone interessate furono quelle adiacenti lo scalo di Lambrate, con tragiche conseguenze sulla popolazione civile. Questo infatti fu il più straziante dei bombardamenti, per la distruzione della scuola elementare di Gorla.
Qui, quando suonò il primo allarme, le maestre sollecitarono i bambini a riporre matite e quaderni nelle cartelle, e ad avviarsi nel rifugio sotterraneo. Tuttavia, durante la discesa delle scolaresche lungo le scale, suonò il secondo allarme, così inaspettato (visto che il primo era stato dato solo dieci minuti prima) da essere interpretato da taluni come il cessato allarme. Quando sulle scale, in un momento di grande incertezza e voci contrastanti, si trovarono ammassati all'incirca duecento bambini e il personale scolastico, cadde una bomba di (presumibilmente) 250 Kg, centrando in pieno la tromba della scale e il suo carico di piccole vite. Altre 170 bombe caddero sul quartiere e su Turro e Precotto, seminando stragi e lutti in intere famiglie. Alla fine dell'incursione, tra i bambini della scuola e le vittime civile dei quartieri colpiti, i morti furono circa 614.

Novembre

Il mese autunnale vide numerosissimi attacchi aventi però come obiettivo località attigue a Milano, quali Pero, Lodi, Codogno, prevalentemente per distruggere fabbriche o fermare convogli ferroviari. Anche la città subì sporadici bombardamenti, ma sempre bombe isolate, forse frutto di errori o di sganci di emergenza.

Dicembre

Come il mese precedente, continuarono attacchi su località del milanese, mentre la città venne sostanzialmente risparmiata (scalo Lambrate, deposito locomotive Greco, Breda, scalo Romana). Gli attacchi continui e sparpagliati degli ultimi mesi del 1944 avevano indotto nella popolazione grande timore ogni qual volta si dovesse organizzare uno spostamento con mezzi di trasporto (treni, tram extraurbani, ma anche corriere, auto private, carretti e perfino biciclette erano diventati gli obiettivi preferiti degli aeroplani).

Anno 1945

Milano iniziò l'ultimo anno di guerra in condizioni disperate ma ancora organizzata: si pensi alle numerose mense collettive predisposte dal Comune per supplire ai bisogni della cittadinanza, spesso impossibilitata a procurarsi il cibo o privata di una casa per cucinarlo. Se ne contavano in corso Indipendenza, in via Cimarosa, in via Verdi, in piazza Diaz (in un capannone che sorgeva dove ora c'è il giardino e il monumento ai Carabinieri), in piazzale Maciachini, in viale Padova, in piazzale Accursio. Intanto, tutte le città del Nord Italia risultavano ormai indifese, sotto i continui bombardamenti e mitragliamenti da parte dell'aviazione anglo-americana.

Gennaio

Milano subì numerosi piccoli attacchi, prevalentemente concentrati su scali ferroviari o su convogli appena usciti dalle stazioni. Si susseguivano incessantemente gli attacchi ai mezzi di trasporto, senza distinguere purtroppo fra treni che portavano merci e materiale militare in Germania (attraverso la Svizzera) e convogli carichi di operai e sfollati, come quel Gamba de Legn colpito da un caccia nella tratta fra Inveruno e Cuggiono (10 morti e 40 feriti).

Febbraio-Aprile

Ancora piccoli attacchi, per un totale di 14, che causarono circa 28 morti e una ottantina di feriti. Gli ultimi furono registrati il 12 (mitragliamento a raso lungo la via Manzoni) e il 13.
Il 25 aprile, appena fattosi buio, Mussolini abbandonò Milano diretto a Como. Il 30 aprile entrarono in città le truppe anglo americane della Quinta Armata: la guerra era finita.

 

Conclusioni

I sessanta attacchi aerei sulla città di Milano causarono tra i 1200 e i 2000 morti.

Approssimativamente, la città perse un terzo delle proprie costruzioni, distrutte direttamente dalle incursioni, dagli incendi da queste causati o per le demolizioni successive resesi necessarie o giudicate più economiche dei restauri. Dall'immensa mole di macerie sgomberate dal suolo cittadino sorse la Montagnetta di San Siro al QT8 (il quartiere modello degli anni trenta). Ancora oggi tuttavia sopravvivono ruderi cittadini che ricordano i terribili attacchi (ad esempio, il palazzo a brandelli all'incrocio delle cinque vie, proprio all'imbocco di via Santa Marta).

Degli 80.000 alberi cittadini presenti nel 1942, al termine della guerra se ne censirono solo 30.000. Per diversi anni i senzatetto dovettero abitare nelle case-minime allestite dal Comune, edificate ai limiti della città, come quelle in viale Argonne, a metà della via Lorenteggio, a San Siro.

L'11 maggio 1946, alle ore 21, si inaugurò la rinata Scala, con il concerto diretto da Arturo Toscanini e musiche di Rossini, Verdi, Puccini, Boito.

Il primo gradino di una lenta normalità da ritrovare.

Danni provocati dai bombardamenti nel centro storico

Bibliografia

Rastelli A., Bombe sulla città, gli attacchi alleati: le vittime civili a Milano, 2000;
AA.VV., Milano in guerra, 1979;
AA.VV., Milano nella resistenza, bibliografia e cronologia marzo 1943/maggio 1945, 1975;
Ganapini L., Milano nella seconda guerra mondiale, in Milano Moderna, 1992;
Ogliari F., Milano anno zero, 1999;
Ogliari F., Il Teatro alla Scala, 2001.

Ultima modifica: martedì 06 maggio 2003

maucolombo@hotmail.com