Home | La città | Personaggi | Arte | Miti e leggende | Repertori | Cronologia | Links utili
 
sei in Arte >> Le “imprese” Visconti-Sforza - cap. VIII

 

Le “imprese” Visconti-Sforza

di Franca Guerreri

La storia di una famiglia regnante vista attraverso gli stemmi personali dei suoi membri

a cura di Adriano Bernareggi

 

Capitolo VIII

Galeazzo Maria Sforza (V Duca di Milano 1467-1476)

Imprese:
Il Buratto. Motto: “Tale a ti quale a mi”
Mani divine che stringono un cuore.

 

Galeazzo Maria, primo e legittimo erede di Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, è passato alla storia come indegno di cotanti genitori, i quali non videro svilupparsi in lui quelle doti di prudenza e di saggezza che li avevano resi famosi presso tutte le Corti italiane ed europee. Galeazzo doveva essere di un’impulsività infantile se il padre lo incitava spesso a smetterla di occuparsi di “cose da puti e non da homini” e lo aveva rimproverato, in occasione di una sua spedizione giovanile in Francia, d’essersi sottratto alla più elementari norme cavalleresche non offrendogli il suo primo bottino, com’era tradizione, ma spartendolo coi suoi soldati. Alla raffinata corte di Borso d’Este, dov’era stato inviato per completare i suoi studi umanistici, aveva imparato solo il lusso e il gusto dell’esibizione. Ammetteva egli stesso di essere “pomposo un pocho”, ma non gli pareva gran male per uno nella sua posizione. Ebbe un narcisistico culto di sé, fece grande uso di imprese che volle affrescate nelle sale del castello, insieme a ritratti di sé e dei suoi familiari andati purtroppo perduti.

Galeazzo fu protagonista di una vicenda che mandò in fumo una preziosa alleanza e si trasformò in un crudele dramma personale. Necessaria per arginare la temibile potenza della Repubblica di Venezia, i cui eserciti comandati dal Colleoni minacciavano i confini dello stato di Milano, era parsa a Francesco Sforza l’alleanza col marchese Gonzaga di Mantova. Tale alleanza sarebbe stata consolidata dal matrimonio tra Galeazzo e Dorotea, figlia di Lodovico Gonzaga. Ma, passati i primi entusiasmi fatti da scambi di cortesie fra i due giovani e le rispettive famiglie, Galeazzo si sottrasse agli impegni assunti, adducendo a pretesto il timore che la deformazione della spina dorsale, purtroppo molto diffusa fra i membri della famiglia Gonzaga, potesse perpetuarsi, deturpando la sua progenie. Feriti nel loro orgoglio, i Gonzaga non vollero umiliare la figlia con i controlli medici richiesti dal duca. Si chiusero in un grande riserbo:

Non vogliamo più sentir parlare della gobba di casa nostra – scriveva risentito a Francesco il marchese Lodovico – la quale, o dritti o gobbi che siamo, non è mai stata così torta che non abbia fatto qualche favore a drizzare gli altri a mantener lo stato suo.

Dorotea, tradita nelle sue aspettative, scivolò in una depressione che la portò velocemente alla tomba. In verità Galeazzo, amante del lusso e quindi sensibilissimo al denaro, aveva rivolto le sue attenzioni a Bona di Savoja, la cognata del re di Francia, la cui cospicua dote l’aveva resa ai suoi occhi irresistibile. Stentiamo noi oggi ad immaginarne i vezzi, quando osserviamo fra i ritratti sforzeschi quella dama corpulenta, dal collo taurino, dallo sguardo ottuso e vagamente minaccioso. Francesco finì per assecondare il figlio, inviò rinforzi, guidati da Galeazzo stesso, a Luigi XI per aiutarlo nella guerra contro i suoi Baroni. Il matrimonio con Bona divenne presto una realtà, nonostante l’avversione malcelata di Bianca Maria, che diffidava di questa donna di scarso ingegno e dall’intollerabile arroganza. Siglò l’evento un’impresa recante “Due mani divine che stringono un cuore”. Ogni commento ci pare superfluo: ancora una volta il destino aveva indicato la strada da seguire, spingendo il giovane duca a scegliere una moglie economicamente così ben notata.

Tavola 44 - In alto. A sinistra, l’impresa delle Mani stringenti il cuore nel cortile della Rocchetta; a destra Bona di Savoja in un ritratto coevo. Sotto, la torre di Bona al castello sforzesco di Milano.

Legata al giovane Sforza è l’impresa del “Burato”, accompagnata dal motto “Tale a ti quale a mi”. Consiste in due mani divine che reggono le cocche di un telo, il buratto o setaccio che serve a separare la farina dalla crusca. Quest’impresa compare sui capitelli del cortile della Rocchetta e sull’abside di S. Maria delle Grazie. La sua origine ci viene spiegata dal codice Cremosano e da Gaspare Bugatti [5] nella sua “Storia Universale” (pag. 620). Nel 1470 l’isola di Negroponte cadde in mano ai Turchi: questo fatto addolorò tutti, in particolare Galeazzo Maria, che per consolarsi si diede a “novelli femminili amori”, con ovvio disappunto della duchessa Bona; ma a rialzare il morale di costei fu l’astuzia di Pandolfo Albigato, noto alla corte per le sue facezie. Le consigliò di adottare come impresa il “burato” col motto “tale a ti quale a mi”. Infatti il buratto “or da un pugno or dall’altro è percosso per assottigliar la farina”… in pratica, un pugno vendica l’altro.

Tavola 45 - Il Buratto in un clipeo di S. Maria delle Grazie.

L’arguto consiglio suscitò l’ilarità generale ma impensierì il duca, al quale non sfuggì l’idea che la moglie avrebbe potuto ripagarlo di uguale moneta. Tranquillizzatosi perché conosceva bene l’onestà della consorte, “osò tal arma [= impresa] volgendo il motto in senso di giustizia” Di quale giustizia si trattasse poi, la dice lunga il carattere del duca, avvezzo a vagliare le azioni dei suoi sudditi e a rendere “pane per focaccia”: le città ribelli furono minacciate di esser rese irriconoscibili e altrettanto fu ordinato per chi aveva commesso azioni sgradite: “Volemo che subito alla ricevuta di questa [lettera], facciate tagliare la mano dritta e così il naso…” La stessa impresa, racchiusa da un anello con diamante, si ritrova sul vestito di Beatrice d’Este in un busto di Gian Cristoforo Romano conservato al Louvre.

I meriti di Galeazzo (la diffusione della coltivazione del riso e l’introduzione dell’allevamento del baco da seta, che trasformarono l’economia milanese; l’imponente diffusione della stampa, un’invidiabile cappella di musici) non impedirono che si tramasse alle sue spalle. Il duca fu spazzato via da una congiura.

 

Vai al Capitolo IX >>>
<<< Torna al Capitolo VII
<<< Torna all'indice

 

Ultima modifica: martedì 1 febbraio 2011

adriano_1943@libero.it